18 GEN 2018
Non poteva che essere inglese il Ministro per
la Solitudine, nominato ieri dalla premier Theresa May. E' il
primo del genere nel mondo, e non è detto che sarà l'ultimo. Suona tanto
“Harry Potter” e forse anche per questo è stato letto più come bizzarrìa
malinconica che per quello che effettivamente è: la certificazione del fallimento totale della società britannica,
avamposto del nostro occidente.
Hanno subito cercato di buttarla in politica, e si
sono resi subito ridicoli: quelli del partito del Labour (sinistra), hanno
accusato i conservatori della May di aver
contribuito alla nuova emergenza sociale della solitudine chiudendo biblioteche
e centri sociali (sic!). Se così fosse, chissà quanta solitudine fino al
secolo scorso, nelle campagne, nelle comunità montane, nei villaggi di
pescatori, dove viveva la gran parte della gente, completamente analfabeta, e i
centri sociali non li avevano ancora inventati!
Ma nella
patria della pecora Dolly e dei medici e giudici che hanno fatto morire Charlie
Gard non poteva che andare a finire così, e
bisognerà pur dirlo a chiare lettere. Se limite e dipendenza sono visti come
ostacolo alla realizzazione di sé, e non sono riconosciuti come le condizioni
della nostra vita, le relazioni umane sono le prime a farne spese, a scapito
dell’illusione che effettivamente ci si possa autodeterminare, cioè si possa effettivamente
decidere autonomamente in tutto e per tutto della nostra esistenza.
Ci si illude
che si possano cancellare limite e dipendenza, e che questo elimini la fatica
del vivere. E la felicità, anziché
essere la difficile maturazione della persona, si confonde con il piacere
momentaneo ed effimero, che invece, per definizione, non può che durar poco.
Vivere in due è faticoso per tutti, nel tempo, e
quindi si rinuncia a sposarsi e le convivenze si spengono alle prime
difficoltà. Avere figli non è più l’esito naturale di una relazione d’amore, ma
una scelta “ponderata” che mette sempre più paura, perché poi non si può più
disporre “liberamente” della propria vita: molto banalmente, con i bambini non
puoi più fare la vita di prima.
E non si venga qua a blaterare di problemi economici o
di leggi inadeguate: è di questi giorni la notizia del crollo della natalità in
Francia, paese da sempre indicato come modello per le politiche familiari (e da
sempre chi scrive ha contestato questa ammirazione: in Europa nessun paese ha
un tasso di natalità che supera quello di sostituzione, il che significa che
qualcuno si estinguerà prima e qualcun altro dopo, ma il nostro continente sta
morendo tutto quanto, senza eccezioni).
A maggior
ragione gli anziani sono un problema, aggravato
dal fatto che i bambini sono faticosi ma cresceranno, e poi fanno
istintivamente tenerezza, ma la vecchiaia invece mette paura, perché mostra a
tutti come inevitabilmente si scivola verso la dipendenza più
totale, aggravata dal fatto che “non si riconosce più”, “non è più la persona
di prima”; oltre che la forma fisica, sono le capacità cognitive a crollare, e
questo terrorizza. E’ l’Alzheimer la
temuta peste del nuovo mondo, e stavolta non ci sono untori da cercare. E
allora quando guardi un vecchio temi di vedere te stesso, in futuro, e pensi
che in quelle condizioni non ci vuoi proprio arrivare, e che devi essere tu a
decidere quando farla finita. Anche perché non puoi contare sul fatto che
qualcuno ti aiuti e resti al tuo fianco: di chi ti puoi fidare? Dell’ultimo
“partner” avuto in ordine di tempo? Dell’unico figlio (su cui un genitore non
vuole pesare), o di quello che non hai mai voluto? Dei parenti che non hai,
perché con la denatalità sparisce anche tutta la rete di protezione fatta da cugini,
zii e prozie varie? Del medico di famiglia, a cui hai lasciato disposizioni
scritte dal notaio proprio per essere sicuro che le rispetti senza fare storie?
Volendo
negare il limite e la
dipendenza si uccidono le relazioni umane: questo è il punto. Una situazione che sta diventando diffusa nel nostro occidente
secolarizzato, ben rappresentata di recente anche da un documentario di
Erik Gandini, “La teoria svedese dell’amore”, nel quale si descrivono le
coordinate di riferimento della società svedese: “Tutti i rapporti umani
autentici si devono basare sulla sostanziale indipendenza delle persone. Se una
donna dipende dal suo uomo, come facciamo a sapere che quelle due persone
vivono volontariamente il loro rapporto? Non staranno insieme perché dipendono
l’uno dall’altro o per esigenze economiche?”. In Svezia anziché
un Ministero dedicato c’è una più pragmatica agenzia statale dotata di “squadra
di investigatori” per rintracciare i familiari di chi muore da solo, e magari
viene scoperto dopo mesi o anni, perché non c’è nessuno che lo cerca.
Chissà se al nuovo Ministro inglese l’idea piacerà.
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