Dopo lo sgradevole intervento di Melloni su
Repubblica, ci aspettavamo una replica da parte del Movimento. … ma forse questo non è importante
Ecco allora un
intervento di Mauro Grimoldi, insegnante di lettere al
liceo Don Carlo Gnocchi di Carate Brianza, in risposta all’articolo di Alberto Melloni e incentrato sulla presunta «egemonia di Cl»
all’interno dell’ateneo milanese «decisa» secondo lo storico della Chiesa da san
Giovanni Paolo II negli anni Ottanta e proseguita fino a oggi.
Inaugurazione anno accademico 2017 (foto La Presse) |
Quando
Giovanni Paolo II, durante la visita a Milano del maggio 1983, l’annus
horribilis indicato da Melloni nel suo articolo del 4 gennaio su Repubblica,
si rivolse ai docenti dell’Università cattolica, verso la fine del suo
intervento si espresse in questo modo: «Sarà grazie all’impegno
generoso di tutte le forze operanti nell’Università, in costante dialogo con
quelle diffuse nel Paese, che si giungerà ad elaborare una vigorosa cultura cattolica
e popolare, in cui liberamente si riconosca sempre più la nazione italiana
nella sua tradizione rinnovata e nei suoi valori più autentici».
Lo ricordo
bene, dal momento che in quegli anni ero
studente in Cattolica e, con altri amici, condividevo la responsabilità della
locale comunità di CL.
In fondo credo
che la vera differenza tra l’impostazione di Melloni e quella di Giovanni Paolo
II e Cl si comprenda a partire da questa citazione.(…)
Quella che
viene presentata come «egemonia» di Cl frutto della decisione del Papa polacco
(per la verità la presenza di Cl in Cattolica è iniziata nel 1969, quasi dieci
anni prima dell’elezione di Giovanni Paolo II) è in realtà la proposta di una
«vigorosa cultura cattolica e popolare», la cui elaborazione definisce lo
scopo, secondo il testo papale, a cui tutte le componenti dell’Università, in
dialogo con le forze operanti nel paese, dovrebbero tendere. Bisogna peraltro
osservare che molti tra i docenti, i dirigenti e gli studenti della Cattolica,
in quell’occasione e anche negli anni successivi, non hanno affatto dimostrato
simpatia e accordo con il modo di intendere del Pontefice.
Al netto di
ogni polemica, la differenza tra la posizione di Melloni e quella da lui
indicata come propria di Giovanni Paolo II e Cl è qui: da una parte una visione elitaria (verrebbe da dire sacerdotale) della
cultura e dell’educazione, dall’altra una visione popolare (laica) delle stesse.
In effetti, la
nascita e lo sviluppo del movimento di Cl, e non solo, ha rappresentato un
fenomeno “popolare” di grande rilievo: diverse generazioni di giovani, per cui
il cristianesimo era finito, lo hanno riscoperto quanto mai vivo, capace di
ridare significato e vigore alle loro esistenze, tanto da volerlo proporre a
tutti in ogni ambiente della società e ad ogni livello di responsabilità
fossero impegnati.
Non uno scelto
manipolo di professionisti preparati, ma una “presenza” comunitaria e comunionale,
non solo nelle parrocchie, ma in ogni ambiente di vita e di lavoro, che non ha
generato uomini “delle” istituzioni, “dei” partiti, “di” cultura (le mitiche
figure di «riserva» per dirla con Melloni), ma cattolici riconoscibili come
tali (quelli “di” CL si è sempre detto), impegnati in piena e totale
responsabilità personale, nelle istituzioni, nei partiti, nella cultura e via
dicendo.
Così in anni in cui gli ambiti consueti di
educazione cattolica si erano spopolati da un pezzo (ricordiamo ancora piazza
San Pietro semideserta nella domenica delle Palme del 1975, quando i giovani
cattolici convocati da Paolo VI erano in grande maggioranza i ragazzi di Cl),
nelle scuole, nelle fabbriche, nelle università, negli uffici, nelle periferie
e nei diversi palazzi del paese riprendeva vita una vivace, ingombrante e
fastidiosa per molti, presenza di cristiani, decisi a dar ragione della loro
presenza, tanto negli anni duri del terrorismo (e forse si deve a loro, insieme
ai giovani del Pci, aver impedito che i gruppi armati arrivassero a giocare un
ruolo, quello sì egemone, nelle scuole e nelle università) quanto in tempi
solipsistici, rancorosi, come si dice, e non meno violenti come quelli che
stiamo vivendo oggi.
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