“L’impoverimento generale della politica e dei suoi motori è
sotto gli occhi di tutti in Europa e in Italia in modo clamoroso e penoso.” Parole
di Giorgio Napolitano.
Da uomo politico che ha attraversato un secolo scandito da
guerre mondiali e da una guerra civile italiana, che è stato protagonista della
guerra fredda dalla parte sovietica, che solidarizzò con i carri armati
sovietici in Ungheria e a Praga, che da presidente della Camera non difese
Montecitorio dalla guardia di Finanza in armi inviata dalla procura di Milano, dobbiamo
sentirci dire che l’impoverimento della politica è clamoroso e penoso?
Non si era accorto Napolitano che i partiti cominciarono a
morire sotto i colpi micidiali dell’accanimento giudiziario, dell’attacco dei poteri forti della finanza e dell’informazione?
Non si rese conto che la nomina di dirigenti e governatori della Banca d’Italia
a presidenti del Consiglio in spregio non solo al mandato popolare ma anche
alla libera dialettica parlamentare aveva cominciato a spegnere i “motori”
della democrazia politica?
E lui stesso, nominando in pochi giorni prima senatore a
vita e poi presidente del consiglio un esponente della finanza internazionale
come Mario Monti, nel pieno di una crisi politica, non capì di infliggere un
colpo durissimo alla legittimità democratica?
Proprio il non aver capito e il non aver affrontato per
tempo questa radicale crisi della rappresentanza è all’origine dell’insorgenza
dei nazionalismi e dei populismi in Italia e in Europa. I Grillo, i Di Maio e i
Salvini sono le conseguenze e non la causa.
Il “clamoroso e penoso” impoverimento della politica e “dei
suoi motori” ha origini profonde che iniziano anche dalla sfiducia nella democrazia
e dalla sovversione delle sue regole da parte delle elite del potere, e di chi
come Napolitano aveva il compito di difenderle e di custodirle.
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