Preoccupata per il futuro del pianeta e
per i “nuovi diritti”, ha dimenticato di prendere nota delle ansie del presente
di un’intera parte della sua popolazione, assieme a quella del diritto alla
dignità che quest’ultima giustamente rivendica: un errore imperdonabile.
C’è qualcosa di triste e di mesto nella protesta dei “gilets
jaunes” ed è costituito da quell’appuntamento
mancato tra governo e paese: è una Francia che si sta spaccando,
e non si tratta solo di una frattura economica ma anche culturale e civile, in
quanto c’è un governo che non sa
cogliere quella che, come indica Alain Finkielkraut, è una doppia insicurezza:
economica ma anche culturale.
Nel corso degli ultimi trent’anni la periferia si è
profondamente trasformata, e non solo materialmente. Ancora nei primi anni
ottanta, i comuni della couronne intorno alla capitale erano
la sede di un universo operaio e commerciale che intratteneva un rapporto
sociale e culturale con il centro della metropoli. Per quanto i divari fossero
già vistosi, il potere politico, la rete dei partiti e dei sindacati riuscivano
ancora a ricucire una trama unitaria. Uno scenario comune era ancora
percepibile e la periferia era parte integrante di uno stesso universo comune.
Ma la crisi era alle porte, l’immigrazione da un lato e la de-industrializzazione dall’altro
avrebbero sovvertito lo scenario economico e culturale delle periferie mentre,
nel contempo, avrebbero forgiato una nuova élite dominante.
Così, nei quartieri centrali, la
borghesia ad alto capitale culturale si è inserita nel processo di
globalizzazione, maturando competenze e adottando stili di vita che, mentre la
separavano sempre di più dall’universo della provincia, la ponevano sempre più
in contatto con le grandi metropoli del mondo globale. È una Francia ecologista, che parla
sempre meglio l’inglese e si muove nella metropoli su biciclette messe a
disposizione dalle amministrazioni municipali. Una Francia che dialoga
volentieri con un universo terzomondiale che comunque non vedrà insediarsi nei
costosi quartieri centrali, e che abbandona
volentieri la cultura nazionale desueta a favore del multiculturalismo
educativo.
Al contrario, nelle stesse periferie operaie si sono sempre di più venute contrapponendo
da un lato una giovane società
immigrata, unificata da un credo religioso che è anche un modello
culturale e comportamentale; fortemente coesa nei legami famigliari e nel
capitale sociale e, proprio per questo, parzialmente autonoma dalle dinamiche
occupazionali esistenti sul mercato. Dall’altro, una società locale
autoctona, meno giovane, disseminata nei nuclei famigliari e dispersa
nelle nuove generazioni; interamente dipendente da un terziario privato e
industriale manifatturiero esposto alle trasformazioni del mercato globale e,
proprio per questo, colpito da una crisi profonda.
Sarà proprio questa società autoctona,
che fino a vent’anni fa formava ancora lo zoccolo del ceto medio, ad essere
costretta a dirigersi verso l’estrema periferia e nei comuni di provincia,
esponendosi involontariamente ai costi crescenti dell’energia e dei trasporti,
e conoscendo così una lenta ma crescente erosione del proprio livello di
vita.
Dietro la crisi economica, per questa fascia sociale
c’è la sensazione di non essere presente in nessun vagone del treno dello
sviluppo. La decisione di aumentare il prezzo del gasolio da parte del
governo è molto di più di un aumento di pochi centesimi sul prezzo della
benzina, ma costituisce, per questa Francia periferica, la prova provata di quanto la propria
inesistenza politica nelle stanze del governo sia un fatto acclarato e, proprio
per questo, insopportabile.
Ovviamente le violenze, i saccheggi, le auto
incendiate se da un lato sono opera dei soliti professionisti dell’insurrezione
sempre e ovunque, dall’altro rivelano anche la tentazione di alimentare la
rivolta rifornendosi di un carburante ben più insidioso: quello del riflesso
astioso per ciò che non si ha, quello del semplice risentimento egualitario. Se la discesa in piazza sottolinea la
ripresa della vita politica e della partecipazione civile, l’abbandonarsi
all’istinto implica il lasciarsi andare alla barbarie prendendo di mira la
civilizzazione stessa; come se fosse realmente possibile fare a meno di
quest’ultima; come se la stessa partecipazione civico-politica potesse essere
ancora realizzabile ed una società democratica potesse ancora effettivamente
sorgere una volta bruciate le auto o dato l’assalto ai negozi.
Ma al di là delle violenze e del loro clamore
mediatico, resta il disagio mesto
per una classe dirigente che è riuscita a non vedere, né a percepire il
declino dell’intera “Francia periferica”.
Preoccupata per il futuro del pianeta e
per i “nuovi diritti”, ha dimenticato di prendere nota delle ansie del presente
di un’intera parte della sua popolazione, assieme a quella del diritto alla
dignità che quest’ultima giustamente rivendica: un errore imperdonabile.
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