Si schiera decisamente dalla parte dei “bifolchi” che
sono insorti e contro l’élite dei privilegiati che vorrebbero fare loro la
morale, ma mette in guardia dai processi di corruzione che già si
manifestano nel movimento e condanna senza tentennamenti le violenze delle manifestazioni parigine.
manifestano nel movimento e condanna senza tentennamenti le violenze delle manifestazioni parigine.
In un’ampia intervista rilasciata a Le Figaro Alain Finkielkraut dice con forza la sua sui gilet
gialli e sulla crisi di cui sono sintomo.
PERSA LA “GUERRA DEGLI OCCHI”
«La classe media e le
classi popolari», spiega, «vivono in Francia in un doppio stato di insicurezza
economica e culturale. Questa gente comune è stata cacciata dalle metropoli a
causa degli affitti proibitivi e dalle banlieue dove ha perduto la “guerra
degli occhi” (l’ingiunzione di tenere lo sguardo basso che le bande di
quartiere impongono a chi non appartiene alla loro etnia – ndt). Altri, che
abitano da molto tempo nelle città di media grandezza, sono costretti a
chiudere i propri negozi a causa della concorrenza dei grandi centri
commerciali e hanno visto i loro posti di lavoro distrutti dalla
deindustrializzazione provocata dalla globalizzazione. Questa, che doveva
segnare l’apoteosi dell’Occidente, si è trasformata in sconfitta, almeno
provvisoria. Non c’era posto nella sociologia ufficiale per lo sgomento della
gente suddetta, segno di infamia per l’opinione cosiddetta illuminata. Ci
ricordiamo il rapporto Terra Nova 2012 che auspicava una nuova coalizione fra
diplomati, giovani e minoranze. Questa
“Francia arcobaleno”, tollerante, aperta, solidale e ottimista si opponeva alla
Francia pallida e piagnona del “Era meglio prima”. Le classi popolari non erano
più all’avanguardia della storia. Avevano abbandonato il campo del progresso
per quello del ripiegamento protezionista e particolarista. Ed ecco che il vecchio mondo oppone
resistenza, esce dall’invisibilità. Questa insurrezione improvvisa, questa
rivolta della gente che appartiene a un luogo contro la gente di nessun luogo,
mi ha effettivamente reso felice».
L’ERRORE DEI MEDIA
Sull’invisibilità fino a
ieri di questa Francia e sulla sua improvvisa sovraesposizione Finkielkraut
commenta: «Non si vedeva questa Francia
perché non si voleva vedere altro che la diversità. Tutte le riserve di
curiosità e di compassione dell’opinione pubblica progressista erano esaurite
dalle banlieue e dai migranti. In nome dell’apertura, la diversità ci
nascondeva l’esistenza di una Francia maggioritariamente bianca che non è
razzista neanche per un centesimo e che fa fatica a tirare la fine
del mese. Ora c’è un fenomeno di disperato recupero da parte dei media, accusati del loro passato accecamento: i gilet gialli ieri non erano nulla, oggi occupano tutto lo schermo. Questa esaltazione ha
un effetto molto corruttore: passare dall’invisibilità al tappeto rosso fa nascere in alcuni dei gilet gialli il sentimento che tutto è possibile. Certi non mettono più alcun limite alle loro rivendicazioni».
del mese. Ora c’è un fenomeno di disperato recupero da parte dei media, accusati del loro passato accecamento: i gilet gialli ieri non erano nulla, oggi occupano tutto lo schermo. Questa esaltazione ha
un effetto molto corruttore: passare dall’invisibilità al tappeto rosso fa nascere in alcuni dei gilet gialli il sentimento che tutto è possibile. Certi non mettono più alcun limite alle loro rivendicazioni».
ASSORBIMENTO DEL CAMERATISMO
Finkielkraut condanna senza esitazioni lo
«scatenamento di barbarie» delle manifestazioni parigine, nel corso della quali
«è stato attaccato non il governo, ma la civiltà stessa». Tuttavia concentra le
sue critiche su dinamiche del movimento che non hanno a che fare direttamente
con la violenza: «Il loro desiderio di essere ascoltati va di pari passo con il
rifiuto di avere dei portavoce. Se non riusciranno a domare questo furore di
orizzontalità, costoro che si vantano di essere il popolo e di parlare con una
sola voce rischiano di divorarsi fra di loro. In questo movimento di fratelli
le gerarchie sono rifiutate, il tran-tran quotidiano è abolito, la solitudine
dei quartieri residenziali è sconfitta dalla felicità di agire insieme e
dall’ebrezza di scrivere la storia. Ma questa fraternità ha il suo rovescio: è
quello che lo scrittore tedesco Sebastian Haffner definisce l’“assorbimento nel
cameratismo”. Trascinato dalla folla,
nessuno osa più pensare in proprio. L’assorbimento nel cameratismo coincide con
il contagio mimetico, è la sorveglianza di ciascuno da parte di tutti in forma
di deliberazione collettiva».
TASSA ECOLOGICA RIDICOLA
Sulla causa scatenante
delle proteste, l’aumento del prezzo dei carburanti allo scopo di scoraggiare i
consumi e quindi ridurre le emissioni, Finkielkraut è critico col governo:
«Credo che il governo avrebbe dovuto annullare subito una tassa ridicola,
considerato che la Francia rappresenta soltanto l’1 per cento delle emissioni
di gas a effetto serra nel mondo. La
causa ecologica deve riconoscere delle priorità. Quando sento dire che, per
garantire la transizione energetica, occorre ampliare massicciamente gli
insediamenti di pale eoliche, resto inorridito. Le pale eoliche rendono la
terra inabitabile dal punto di vista visivo.
Penso che l’ecologia abbia come prima missione di salvare quel che resta della
bellezza del mondo».
RISENTIMENTO EGUALITARISTA
L’intervistatore
conclude chiedendo se l’odio per le élites che traspare dalle azioni dei gilet
gialli non sia pericoloso. Nella risposta a quest’ultima domanda il filosofo dà
il meglio di sé:
«La classe dominante, quella che non appartiene a
nessun luogo, ha fallito. La borghesia aveva cattiva coscienza perché era
criticata in nome dei valori di uguaglianza che aveva essa stessa promosso per
rovesciare l’antica aristocrazia. Ma i
privilegiati di oggi giocano su due tavoli: possiedono il benessere materiale e
la superiorità morale che gli sono conferite dalla loro apertura di spirito e
dall’apologia di un’ospitalità di cui non patiscono le conseguenze. Non ho
nessuna indulgenza per questa élite autoproclamata. Ma c’è un pericolo, in
effetti, nell’antielitismo. Nel corso di una trasmissione televisiva un gilet
giallo ha chiesto in modo aggressivo a un ministro, persona dignitosa, quanto
guadagna. Questo comportamento detestabile testimonia il risentimento che
esiste nella passione per l’uguaglianza quando questa non è accompagnata da
aspirazioni più alte.
Ecco cosa scriveva a
questo proposito Charles Péguy nel
suo De Jean
Coste: “A motivo della fraternità siamo
tutti tenuti a strappare alla miseria i nostri fratelli uomini; è un dovere
prioritario; il dovere dell’uguaglianza,
al contrario, è un dovere molto meno pressante; (…) non riesco ad
appassionarmi alla famosa questione di sapere a chi toccheranno, nella città
del futuro, le bottiglie di champagne, i migliori purosangue, i castelli della
valle della Loira; spero che le cose si aggiusteranno; a condizione che ci sia
una città, che non ci sia alcun uomo che viene bandito dalla città, tenuto in esilio
nella miseria economica”.
Combattere la miseria
economica, ma anche culturale ed estetica, senza cedere al risentimento
egualitarista, tale è la missione della politica».
Di Rodolfo Casadei, tratto da Tempi
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