Spero di non essere l’unico a vivere con grande disagio il fatto che il bilancio preventivo dello
Stato venga deciso non più a Roma al termine di un pubblico dibattito nel
Parlamento italiano democraticamente eletto, bensì a Bruxelles in incontri
a porte chiuse con tecnocrati che non sono stati eletti da nessuno.
Come la storia delle istituzioni
insegna, i Parlamenti nacquero per governare la spesa pubblica. Soltanto in
seguito divennero anche assemblee legislative. D’altra parte il governo della
spesa è la loro potestà fondamentale: se infatti si tengono i cordoni della
borsa, già solo per questo si tengono pure le redini di buona parte del potere.
Ormai da molto tempo la produzione legislativa del Parlamento italiano, come
degli altri Stati membri, consiste nell’applicazione delle direttive dell’Unione Europea, pseudo-leggi che da anni dilagano
impunemente in ogni ambito della vita pubblica, ben al di là di quelle che
dovrebbero essere le competenze della Commissione.
Dai governi Renzi e Gentiloni in poi, ma
più che mai adesso, un’umiliante spola di premier e di ministri sull’asse
Roma-Bruxelles ha reso pure evidente che non soltanto le leggi ma anche la
spesa pubblica del Paese non sono più nelle mani del Parlamento (che a questo
punto c’è da domandarsi che cosa ci stia a fare).
Non è in ballo qui l’oggetto immediato
della questione, se cioè il bilancio proposto dal governo italiano per il 2019
sia o non sia ragionevole e sostenibile. E’
in ballo qualcosa che viene prima, ovvero la democrazia, pilastro politico
della libertà. Non come dovrebbe essere, ma come in effetti oggi è,
l’Unione Europea costituisce un centro di potere neo-autoritario di fronte al
quale il Parlamento Europeo sta con gli stessi evanescenti poteri che avevano i
primi parlamenti dei regni e degli imperi dell’Europa agli albori dell’età
moderna. Nella situazione in cui siamo, non in quella in cui vorremmo essere, ogni potere che migra dagli Stati membri
all’ Unione passa dalla sfera della democrazia e del pubblico dibattito a
quella di una tecnocrazia che tratta e decide a porte chiuse rispondendo di
sicuro a qualcuno ma di certo non al popolo.
La mesta figura che l’attuale governo
sta facendo, dopo esser partito al galoppo per Bruxelles a spada sguainata,
conferma però che lo scontro con un potere costituito di questo peso non si può
affrontare con successo in modo improvvisato e a colpi di “twitter”. Potendo
contare su un elettorato capace anche di essere paziente, e tanto più avendo la
proclamata intenzione di durare cinque anni, la coalizione giallo-verde avrebbe
fatto meglio a rimandare lo scontro al momento della discussione sul bilancio
preventivo 2020 usando il primo anno di
legislatura per attrezzarsi e per organizzarsi raccogliendo tutte le competenze
e costruendo tutte le alleanze necessarie.
E aprendo la vertenza della revisione
generale dei trattati europei, se non si modificano i quali uscire dall’
attuale trappola non è possibile. Stando invece adesso le cose come stanno non
resta che dire “in bocca al lupo!” tenendosi pronti alla replica di rito.
ROBI RONZA
Nessun commento:
Posta un commento