SI DICE “RADICALIZZATO” PERCHE’ NON SI VUOL DIRE CHE CHERIF CHEKATT E’ UN TERRORISTA ISLAMICO.
La caccia all’uomo che a Strasburgo ha ucciso tre persone e ferite altre 12 si è conclusa; ma il modo con cui i media italiani hanno dato la notizia è stato penoso.
L’uomo è Chérif Chekatt, 29 anni, già segnalato con il “fichè S”. Sia nella cronaca dei giornali sia nei telegiornali, Chekatt è stato definito un «radicalizzato». Ma radicalizzato a cosa? Che significa?
Tutto questo accade perché si ha paura ad aggiungere l’aggettivo «islamico»alla parola terrorista. È evidentemente questa la matrice ideologica che lo ha spinto a compiere quel gesto, perché tutti gli indizi portano lì: le modalità con cui è stato compito l’attentato, il fatto che fosse schedato come “fichè S”, il fatto che fosse noto all’intelligence come una persona che dell’ideologia islamista è imbevuto.
Allora, perché questa cautela? Ogni qual volta accadono fatti di questo tipo in Europa, in molti media scatta questa “cautela”. Ma definire questi terroristi “islamici” o, volendo segnalare la loro ideologia, “islamisti”, non significa proporre l’equazione “musulmani uguale terroristi”, significa semplicemente prendere atto che esiste una frangia di musulmani che compie attentati in nome del jihad. Non ammetterlo per pruriti politicamente corretti significa solo negare la realtà.
Qualche tempo fa il filosofo francese Rémi Brague disse:
«La paura di nominare il nemico è antica. Chi, prima della caduta del muro, osava nominare il marxismo-leninismo o l’Unione Sovietica? Si preferiva parlare vagamente di “ideologie”. E gli uomini di Chiesa non sono stati da meno nell’applicare questa strategia evasiva. Il plurale è un escamotage conveniente. Utilizzato ancora oggi, come quando si parla di “religioni”. Allo stesso modo si preferisce usare l’acronimo Daesh, che include solo i termini arabi, piuttosto che usare il termine “Stato islamico”, in modo da evitare di nominare l’islam».
E anche l’imam Hocine Drouicheha sostenuto la necessità, innanzitutto per i musulmani di buona volontà, di prendere atto del problema
«Parlo di terrorismo islamico perché è la verità e perché sono un imam. Insegno religione e ho una grande responsabilità educativa: non posso nascondere come stanno davvero le cose. Anche perché tradirei la mia storia. […] Questo islam non deve conquistare l’Europa, dove una religione che mortifica la libertà giustamente è inconcepibile. Perché la religione esalta la libertà dell’uomo e conferisce dignità a tutti. Non può essere il contrario. […] In Francia gli imam amano ripetere che l’islam non c’entra niente. Ma non è vero. Queste cose bisogna dirle per costruire la pace e io sono lieto di prendermi qualche rischio per farlo».
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