martedì 9 giugno 2020

E' RAZZISTA CHI AFFERMA "ALL LIVES MATTER"


IL PENSIERO UNICO E IL NUOVO RAZZISMO 



L’emergenza pandemica non è ancora rientrata, anche se almeno in Italia e in Europa segnali incoraggianti non mancano, che già è prepotentemente tornato al centro della scena un virus storico, che da decenni, indisturbato, ammorba l’Occidente: quello del pensiero unico e del politicamente corretto, in nome del quale le censure non si contano, anzi si moltiplicano in antitesi ad un razzismo spesso dubbio e, talvolta, del tutto inventato. A tale proposito, sono almeno tre i casi clamorosi emersi in questi giorni.
“ALL LIVES MATTER”, IL TELECRONISTA CACCIATO
Il primo è quello di Gran Napear, il telecronista dei Sacramento Kings che ha perso il posto di lavoro semplicemente per aver – ben stuzzicato via Twitter da DeMarcus Cousins, ex star dei Kings, affinché dicesse la sua sul dibattito e sugli scontri scatenatosi dopo l’uccisione di George Floyd – osato rispondere con tre parole: «All lives matter», tutte le vite contano. Come a dire: condivisibile la rabbia e il dolore per la morte di Floyd, ma ricordiamoci che appunto tutte le vite contano. Anche quelle delle vittime degli scontri successivi.

Un pensiero di elementare civiltà, quello di Napear, che però agli occhi di alcuni è suonato come una contestazione allo slogan caro ai movimenti di contestazione che stanno mettendo a ferro e fuoco gli Usa – «Black lives matter» -, motivo per cui, come si diceva, è stato allontanato. Un licenziamento grave e liberticida che però diventa spiegabile, se si guarda a come gli indignati per la morte di Floyd siano letteralmente coccolati dai mass media; basti pensare, per fare un esempio, agli assembramenti di questi contestatori, i soli che a quanto pare nessuno osa far notare. Ma andiamo avanti.
BIBLIOTECARIO SCRIVE “WUHAN VIRUS”: RAZZISTA
Un secondo caso di censura verificatosi in questi giorni – forse meno grave, ma certo non meno emblematico – è avvenuto alla Winthrop University, un ateneo pubblico della Carolina del Sud. In questa università, Mark Herring, decano dei servizi bibliotecari, a pochi giorni dalla pensione, ha visto censurato un proprio articolo sul numero di aprile di Against the Grain, storica rivista destinata principalmente ai bibliotecari. Il motivo della censura?
Eccolo: nel suo articolo, Herring, aveva in modo del tutto innocente osato chiamare il coronavirus «Wuhan virus», scelta che è stata giudicata «etnicamente offensiva»; razzista, insomma. Per questo l’intero intervento è stato cancellato. Il che è doppiamente bizzarro se si considera che il pezzo di Herring non conteneva alcun incitamento razzista né particolari bordate alla Cina per come ha gestito o, meglio, non gestito l’epidemia, almeno al suo inizio.
Semplicemente, l’articolo censurato si limitava a ricordare da dove proviene il covid-19, sottolineava che da una crisi può emergere il meglio e il peggio delle persone ed esortava ad un promemoria su ciò che davvero conta nella vita: nulla di scandaloso, insomma, anzi. Eppure quel «Wuhan virus», evidentemente, pur corrispondendo ad un incontestabile dato di realtà, è stato ritenuto inaccettabile.
FU IL CAMPIONE DELLA LIBERTÀ

Sulla statua di Winston Churchill a Londra i manifestanti del Black Live Matter hanno scritto "era un razzista". Il totalitarismo dell'ignoranza, uno sfregio alla memoria dell'uomo che sconfisse Adolf Hitler e liberò l'Europa dall'oppressione.


"Era un razzista", questa è la scritta che alcuni manifestanti del "Black Lives Matter" hanno lasciato sulla statua di Winston Churchill di fronte al Parlamento di Londra. Il ministro dell'Interno, Priti Patel, ha definito la violenza delle manifestazioni britanniche come "assolutamemnte vergognosa". Trentacinque agenti di polizia sono stati feriti nel fine settimana durante le manifestazioni. A Londra, un manifestante, è salito sul piedistallo di The Cenotaph, il monumento ai caduti di guerra a Whitehall, e ha appiccato il fuoco alla bandiera dell'Union Jack.

Un campione della libertà oltraggiato, il nome trascinato nel fango dove sguazzano masse ignoranti, la violenza contro la memoria e l'eroismo, uno sfregio doloroso a un simbolo della democrazia. Chi ha sfregiato la statua di Winston Churchill, chi ha scritto su quel monumento la parola "razzista", ha offeso la memoria di uno dei protagonisti del Novecento, un eroe della Seconda guerra mondiale, ha danneggiato la giusta marcia per l'eguaglianza, ha rivelato per sempre la sua infinita ignoranza.

NON SI DISSENTE DALLO STORYTELLING
Ora, pur nella loro chiara diversità le vicende citate evidenziano – come si diceva all’inizio – uno stesso paradosso tutto occidentale, ossia quello di una società che non perde occasione per incensare e sbandierare la libertà quale valore supremo, salvo poi limitare quella di espressione a chi viene preventivamente e inappellabilmente accusato di essere razzista o intollerante. Una contraddizione lampante.
Ma ciò, sia chiaro, non legittima un atteggiamento di resa, anzi c’è da sperare che raccontare la portata grave e paradossale di simili episodi possa servire a far aprire i tanti occhi ancora distratti o chiusi. Perché è decisamente concreto il rischio che proprio chi reputa simili censure di gravità relativa possa, un domani, trovarsi a sua volta vittima di quel politicamente corretto le cui derive liberticide, oggi, vengono invece incautamente sottovalutate.

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