MA LA PROCURA INTERVIENE. E SE ACCADESSE IN
ITALIA?
La notizia è stata riportata in questi giorni da una delle principali agenzia di stampa internazionali, la Reuters, e subito ripresa dalla Nbc, dal New York Times con il medesimo titolo: «Manager IKEA in Polonia accusato di aver licenziato un dipendente per commenti anti-gay» e il medesimo testo.
Secondo
quanto riportato dai media in questione un dipendente di Ikea sarebbe
stato licenziato per aver definito l’omosessualità «un abominio» sull’intranet
aziendale. A seguito del licenziamento, avvenuto lo scorso anno, un pubblico
ministero ha accusato il dirigente che ha disposto il licenziamento di
discriminazione per motivi religiosi. Gli articoli citati, oltre a raccontare
quanto sopra, stigmatizzano la Polonia per essere un fanalino di coda in Europa
sul tema dei cosiddetti diritti Lgbt. E’ probabile che anche sui media italiani
vedremo nei prossimi giorni la notizia riportata nello stesso modo. Ma
cercando, basta Google e un po’ di volontà, si possono trovare informazioni che
chiariscono i contorni della vicenda.
La causa
del licenziamento del dipendente, spiega il procuratore Marcin Sadus, «è il
suo rifiuto di partecipare alla giornata di sensibilizzazione sulle tematiche
Lgbt che l’azienda ha imposto a tutti i dipendenti polacchi del gruppo Ikea».
Nel giugno dello scorso anno sulla intranet aziendale è apparso un articolo dal
titolo «L’inclusione Lgbt+ è responsabilità di tutti noi», un testo che
spiegava la volontà dell’azienda di promuovere una giornata dedicata al tema. A
quel punto il dipendente in questione, Thomas K., ha utilizzato la medesima
intranet per spiegare perché non avrebbe preso parte alla giornata, ovvero a
motivo della propria fede. Nel testo l’uomo ha inserito due citazioni bibliche,
la prima tratta dal Vangelo di Matteo: «Chi scandalizza anche uno solo di
questi piccoli, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una
macina, e fosse gettato negli abissi del mare», e uno del Levitico: «Se uno ha
rapporti con un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso un
abominio; dovranno essere messi a morte; il loro sangue ricadrà su di loro».
A quel
punto l’azienda ha contattato il dipendente chiedendogli di rimuovere i
contenuti in questione, «Non posso – ha risposto l’uomo, le cui parole sono
state riportate dall’edizione polacca di Newsweek – sono
citazioni delle Sacre Scritture e come cattolico non posso censurare Dio». A
quel punto è scattato il licenziamento per «violazione delle norme interne
dell’azienda e dei principi di convivenza sociale».
Un anno
dopo, il procuratore Marcin Sadus spiega: «Le prove raccolte dalla Procura del
distretto di Varsavia-Praga mostrano che la decisione di licenziare era frutto
di valutazioni e pregiudizi arbitrari da parte del capo delle risorse umane nei
confronti di un dipendente che, a suo avviso, faceva riferimento a valori
cristiani. L’analisi delle voci intranet in questione infatti riscontra che non
c’è alcuna violazione dei principi di convivenza sociale o volontà di escludere
altre persone impiegate presso Ikea». La procura ricorda inoltre che la
Costituzione polacca garantisce la libertà di coscienza, di espressione e di
religione e che un datore di lavoro, «incluso un gruppo internazionale, è tenuto
a rispettare la privacy dei dipendenti, evitando le azioni ideologiche al di
fuori della sfera di competenza e a non discriminare i dipendenti a causa della
loro visione del mondo».
Resta il
fatto che un uomo è stato licenziato per aver citato la Bibbia, in Europa. E
se accadesse in Italia?
E se passasse il Ddl Zan-Scalfarotto sulla cosiddetta
omofobia? Sarà ancora possibile esercitare il diritto di non partecipare – o a
non far partecipare i figli – ad eventi di cui non si condivide la
visione? Sarà ancora possibile citare il Vangelo e la Bibbia in pubblico?
Saranno ancora garantite libertà di coscienza, di espressione e di religione?
Quanto ci costerà professare la nostra fede?
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