martedì 23 febbraio 2021

“CHRISTUS PATIENS”

Nella nuova «Pietà» di dolore universale il senso profondo del Cristianesimo

VITTORIO SGARBI

U n commando composto da sei uomini armati ha attaccato il convoglio dei quale faceva parte il nostro ambasciatore italiano a Kinshasa, Luca Attanasio, ucciso insieme al carabiniere di scorta Vittorio Iacovacci ed all’autista congolese.

L'attacco è avvenuto tra Goma e Bukavu».

Così il dispaccio di agenzia ci ha informato nella tarda mattinata di ieri della morte di tre persone in Congo. Poi è arrivata una fotografia e quella notizia triste, nella quale si agitava un ferito orgoglio patriottico, ha assunto una diversa dimensione.

 Negli uomini africani che abbracciano il corpo 
la vera «Pietà» cristiana

Abbiamo visto la morte sul volto di Luca. Senza forze, nei suoi ultimi istanti.

Una immagine di dolore universale,  fuori del tempo, legata alla condizione umana, alla vita di un giovane uomo e alla improvvisa irruzione della morte, che interrompe l'ordine del mondo. Una ingiustizia, una tempesta.

Come scrive Plutarco: «La morte diun giovane è un naufragio, la morte di un vecchio è un approdare al porto». Non ci sarà un porto per Luca, che non è più l'ambasciatore d'Italia

In un Paese difficile, una sede disagiata, come si dice nel linguaggio diplomatico, ma un giovane uomo pallidissimo, come un Christus patiens, deposto fra le braccia di due congolesi che lo soccorrono e lo trasportano verso l'ospedale.

Ecco il senso profondo del cristianesimo, la forza di un Dio che sceglie di farsi uomo con il rischio di morire. È incommensurabile la distanza fra la vita e la morte, ma è un istante il passaggio dall'una all'altra.

La vita si interrompe con la fine del respiro. Lo vediamo, Luca Attanasio, pallido, esanime, mentre le sua mani stringono debolmente quelle dei soccorritori congolesi, e il suo sangue si è versato sulle braghe di uno di loro. L'altro sostiene la testa di Luca che ha la bocca socchiusa, cercando aria. Sta per andarsene. Come Nicodemo, soffre in una smorfia anche il nero che lo sostiene. Luca è stato giustiziato da uno di loro, bestia, assassino, e non per errore.

Lo dice un altro dispaccio: «Portati nella foresta, dopo aver eliminato l'autista, e uccisi: così sarebbero morti l’ambasciatore italiano in Congo e il carabiniere di scorta, secondo una pri ma ricostruzione delle fonti di polizia locali, al vaglio degli inquirenti italiani.

Il commando di 6 persone avrebbe prima attaccato il convoglio e ucciso l'autista. Gli assalitori avrebbero quindi condotto gli altri nella foresta e, proprio mentre stavano arrivando forze locali in soccorso, avrebbero sparato al carabiniere, circostanza nella quale anche l'ambasciatore è morto».

Luca ha sentito la vita andare via. Leggiamo nei suoi occhi la fine, in quella commovente deposizione. Ci turba la sensazione che la vita stia passando, vedendolo disteso, con la vita che lo abbandona.

Aveva poco più di quarant'anni, un volto luminoso, una quantità di speranze, in una terra diflicile, dominata dalla disuguaglianza. Ambasciatore dal 2017, nel 2020 aveva ricevuto il Premio internazionale Nassirya per la Pace «per il suo impegno volto alla salvaguardia della pace tra i popoli». L'aveva inseguita, la pace, in un Paese difficile, dove i ribelli ruandesi di etnia Hutu combattono per affermare la supremazia insensata della loro razza.

Luca ha pagato per tutta l'umanità. Chi lo ha ucciso non ha ottenuto nulla. Ci ha lasciato un uomo che continua a vivere, come le sue idee. E con quella immagine resta dentro di noi.

Foto La Presse tratta da Il Giornale

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