IL
CONFRONTO SALVINI –ZINGARETTI
di ANTONIO SOCCI
Certe notizie passano
quasi inosservate, ma sono le più rivelatrici. Mi ha colpito una cosa accaduta,
nella disattenzione generale, durante le consultazioni di Mario Draghi per
formare il nuovo governo.
Così venerdì sera,
ascoltando la lista dei ministri, l’ho sintetizzata in questo tweet: “Da
padre che vive il (vero e proprio) dramma della disabilità, ringrazio Matteo
Salvini perché è stato l’unico che ha portato sul tavolo del premier incaricato
la sofferenza di milioni di persone dimenticate da tutti e inascoltate: un
ministero per i disabili è una grande cosa”.
Il leader della Lega ha
spiegato, in un’intervista a Mentana, che negli incontri con Draghi – oltre
all’ovvio e primario obiettivo di spazzar via il flagello Covid – ha portato
alla sua attenzione la necessità di “un ministero per le disabilità,
perché in Italia ci sono sei milioni di disabili troppo spesso
inascoltati, ed (il ministero) è stato creato”.
Salvini ha segnalato
anche la necessità di un ministero “ad hoc” per il turismo, “che è
il settore che ha sofferto di più in questo anno di crisi e
che rappresenta il 13 per cento del Pil”.
Inoltre ha
affrontato il problema centrale del Paese, quello delle impreseche
hanno necessità di essere sostenute per riprendere vigorosamente a produrre
ricchezza e costruire il futuro dell’Italia.
Il leader della Lega ha
concluso: “non ho parlato di poltrone o di nomi, ma di cose da fare per
il Paese”. Fra le cose da fare mi ha colpito la sua attenzione a quei milioni
di persone che soffrono per disabilità spesso terribili perché sono
soli e abbandonati e spesso nessuno li ascolta.
Il confronto con
Zingaretti e il Pd si è imposto ieri mattina aprendo il “Corriere
della sera” e leggendo questo titolo su un’intera pagina riferito al
nuovo governo: “Il segretario del Pd soddisfatto: ‘Così possiamo
impedire che centrodestra e Renzi prendano il sopravvento’”.
La differenza è
abissale. Il primo, Salvini, ha parlato con Draghi degli italiani (i disabili,
il settore turismo che è ko, le imprese che devono riprendere a lavorare). Il
secondo, Zingaretti, si è preoccupato di poltrone e di piantare bandierine di
partito, cosa che confessa
apertamente: “Il Pd ha mantenuto una grande unità che gli ha permesso di
collocarsi bene… Non era scontato. E’ stata un’altra importante prova che
ripropone il Pd come forza centrale del cambiamento”.
A parte l’uso a sproposito della parola cambiamento (giacché il Pd è sempre al governo e c’è pur avendo perso le elezioni, cosicché l’unico cambiamento vero sarebbe il suo passaggio all’opposizione dove lo avevano messo gli italiani con il voto del 2018), appare chiaro che Zingaretti è andato da Draghi con questo unico obiettivo: le poltrone.
Avendogli tolto gran
parte del potere, Draghi (secondo gli osservatori, come Marzio Breda, avrebbe
avuto un ruolo anche Mattarella) ha fatto concessioni d’immagine al Pd,
per esempio lasciando alcuni (pessimi) ministri del governo Conte, cosicché
Zingaretti ora parla di una certa continuità e vanta un successo mentre
in realtà la sua è una disfatta.
Il mandato di Draghi
infatti stava in queste parole di Mattarella: “Avverto il
dovere di rivolgere un appello a tutte le forze politiche presenti in
Parlamento perché conferiscano la fiducia a un governo di alto
profilo”.
Il monopolio del potere
PD/M5S nei fatti è stato archiviato. Si deve aprire una stagione nuova all’insegna dell’unità della
nazione e dei partiti: a questo appello hanno aderito Lega e FI. Però
Zingaretti, per non apparire il grande sconfitto, sbandiera le poltrone
ottenute e l’unità col M5S (che in realtà sta esplodendo) come l’asse che
condizionerà questo governo.
Il confronto fra
Zingaretti e il comportamento tenuto da Salvini e Berlusconi è impietoso per il
segretario Dem. La presunta (e
autocertificata) superiorità culturale e morale della
Sinistra, sempre sbandierata sui giornali progressisti, non si è vista. Anzi,
si è visto l’esatto contrario.
Fra l’altro Zingaretti è
incorso nell’ennesimo incidente che evidenzia la storica ipocrisia della
Sinistra. L’ha sottolineato perfino Concita de Gregorio sulla
prima pagina di Repubblica: “Parole tante. Alla prova dei fatti,
poi, la sinistra non porta donne al governo. Zero, dal Pd e da Leu.
E’ tristissimo, è antistorico, desolante, ma è così: inconfutabile”.
E anche qui il
confronto con il Centrodestra è micidiale, perché Forza Italia e Lega,
senza mai aver fatto proclami femministi, né quote rosa, hanno tre ministri
donne e tre uomini.
Ma soprattutto risalta
la diversità di atteggiamento culturale, morale e politico. Le
parole di Mattarella invitavano tutti i partiti a voltare pagina e a dare al
Paese un segnale di forte coesione in questo momento
drammatico.
Ieri, tramite il solito
quirinalista, dal Colle più alto è stato fatto arrivare un messaggio che va
nella stessa direzione, condensato in una frase di Albert Camus che
“in tempi di catastrofi” invitava a fare “lo sforzo di dominare i
propri risentimenti”.
Una splendida
esortazione, che però Pd e M5S non mostrano di voler ascoltare. I
Dem e i grillini non si sono ancora accorti che la guerra è finita e sono in
subbuglio.
Zingaretti anche ieri
rivendicava il merito di aver “salvato il Paese dalla marea populista”:
l’ennesima gaffe visto che il Pd, proprio grazie alla “marea populista” del
M5S, è tornato al potere dopo la sconfitta elettorale.
A prendere sul serio
l’esortazione del Capo dello Stato è stato solo il centrodestra che non
ha messo veti a nessuno. In particolare Salvini – a costo di scandalizzare
qualche suo tifoso superficiale – ha dato l’esempio di una politica che
sa mettere da parte gli interessi di partito e sa trovare l’unità d’intenti nei
momenti drammatici: ha evocato il governo di unità nazionale guidato
da De Gasperi nel dopoguerra, quando il Paese era in macerie
(un po’ come oggi), si è detto pronto a collaborare con chiunque e ha perfino
glissato, venerdì, sull’incomprensibile riconferma dei ministri Speranza
e Lamorgese, dichiarando che, se non cambiano approccio, “avranno
bisogno di aiuto e sostegno”. Insomma un dialogo costruttivo.
Più collaborativi di
così non si può essere. Ma a Sinistra, anziché cogliere questa mano tesa e
rispondere con eguale disponibilità, si sono scatenate le tifoserie dei
social e dei giornali per irridere le “conversioni” di
Salvini.
E’ una Sinistra che è
vissuta finora di odio e non sa uscirne. Col governo Draghi riuscirà a pensare
finalmente al Paese e a fare a meno di un nemico da indicare al pubblico
disprezzo?
Antonio Socci
Da “Libero”, 14 febbraio
2021
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