No non sta andando tutto bene
Marina Corradi
Il “distanziamento sociale” mi è sempre più insopportabile. Necessario, non discuto, e obbediente lo osservo come tutti, ma vorrei potere dire che ci fa anche del male. Detesto quelli che se ti incrociano sulle scale si appiattiscono contro il muro, quasi tu avessi la lebbra. Saranno igienicamente corretti, ma mi avviliscono. Mi amareggiano quelli che non vanno neanche al funerale di un amico, pure opportunamente distanziati, perché è occasione di possibile contagio. Non andarci, invece, non è occasione certa di impoverimento umano?
Il dovere di proteggersi, trovo, sconfina spesso in uno sguardo sospettoso,
in una grifagna difesa solo della propria personale salute. Salute, poi: come
se, di malattie, esistesse solo il Covid.
Ho litigato per strada con una sconosciuta. Passavo con il cane al
guinzaglio e quella, al mio avvicinarmi, si è rintanata nell’andito di un
portone. Ho pensato avesse paura del cane. «Guardi che è buono», l’ho
rassicurata. Lei, scuotendo la testa: «La distanza, la distanza di sicurezza».
Era a quattro metri da me. «Signora, mi pare che lei esageri», dico, fredda.
«Ma lei non la vede la tv?», ribatte la sconosciuta, ora aggressiva. «Lo sa a
che velocità vanno le goccioline, quando si starnutisce? E fin dove possono
arrivare?». No, non lo so, ho risposto, però so per certo che si può morire per
tante malattie diverse dal Covid. Inoltre si può morire anche traversando la
strada, accade tutti i giorni. In realtà, signora – e qui ho cercato di
addolcire il tono della voce – la verità è che né io né lei siamo certe che
saremo vive domani…». Quella si è infuriata: «Ah grazie, lei mi sta lanciando
un malaugurio…». Mannò, signora, sto dicendo solo la verità. Nessuno al mondo
può davvero garantirci che ci sveglieremo, domattina. La signora, rossa di
rabbia, a questo punto mi ha mandato al diavolo e, aggirando con ampia prudenza
me e il cane, si è allontanata.
Psicosi, mi sono detta. Tutte le luci sono puntate sull’epidemia,
ma anche la salute mentale della popolazione dovrebbe preoccupare. Di chi,
benché non ottuagenario né “fragile”, non apre neanche al fattorino del
supermercato: solo quando quello se ne è andato, velocemente schiude la porta e
allunga le mani a ritirare la spesa. Dovrebbe preoccupare poi, almeno a me
preoccupa, la quantità di adolescenti che, lontani dalla scuola, non hanno una
famiglia affettuosa, anzi magari non hanno proprio nessuno. Che fanno chiusi in
casa, oltre a una svogliata Dad? Giocano a soldi, chattano, e con chi? I
traffici pedopornografici sono in verticale aumento. Il consumo giovanile di
alcol cresce. Di suicidi non si sente quasi parlare, ed è, convenitene, un po’
strano. Forse non se ne parla, ed è giusto, per evitare un effetto imitazione.
Temo però che non siano diminuiti.
Ci sono effetti collaterali del lockdown
di cui ci accorgeremo tardi. Già adesso, constato,
quando un’ambulanza arriva sotto casa e porta via, solo, un anziano vicino, fra
i condomini cade il silenzio. Sotto le mascherine bofonchiamo a occhi bassi un
buongiorno, e ci allontaniamo veloci. Come sta, quel signore? domandi dopo tre
giorni. E scopri che è già morto e seppellito. Funerali zero, nemmeno un
annuncio sul portone. A pensarci, di ambulanze qui attorno ne ho viste
parecchie che partivano in fretta, ma di partecipazioni di lutto sui portoni
non ne ricordo neanche una.
Quasi fosse, quella morte, qualcosa da far sapere il meno possibile: quasi
una vergogna.
“Andrà tutto bene”, scrivevano sui balconi
gli ottimisti, un anno fa. Beh, non proprio. Quanto a numero dei morti, e anche quanto al nostro modo di stare insieme.
L’ansia di proteggersi non ci sta facendo bene.
Lo so, che negli ospedali ci sono medici e infermieri che stanno dando
l’anima, per curarci, e nelle scuole insegnanti che fanno di tutto per esserci,
con i loro ragazzi. Ma sento, anche, piccole comunità di suore anziane
abbandonate dalle badanti, e rimaste sole. Di vecchi morti soli in casa, e
ritrovati dopo mesi.
Sembra che questa epidemia ci costringa a scegliere: da che parte stiamo? Con chi pensa solo a sé, o con chi pensa anche
agli altri. A tutti gli altri, a un mondo di sconosciuti malati o soli o
senza lavoro. Almeno con una preghiera, la sera: ma che sia per tutti, per ogni
uomo mai visto, dietro le finestre delle nostre città. Aprendo un po’ di cuore
alla misericordia, che etimologicamente significa “con viscere materne”, ed è il
modo di amare di Dio. Basta un piccolo spiraglio aperto, per dare una
possibilità a Dio. Sarebbe, di questo tempo di dolore, un silenzioso grande
dono.
tratto da Tempi
FOTO ANSA
Nessun commento:
Posta un commento