La riflessione di monsignor Luigi Negri, vescovo emerito di Ferrara, sulla battaglia di Don Giussani per una fede “politica”.
Era
presente un editoriale, che Giussani lesse e riprese in più interventi, nel
quale si diceva: «Non ci basta più la libertà della Resistenza, facciamo
resistenza per la libertà». Venivano poi segnalate anche le battaglie per
le quali valeva la pena impegnarsi. Quella che era indicata come prioritaria
rispetto a tutte le altre era la libertà di educazione perché un popolo
cristiano che non è educato, o peggio, viene diseducato dalla scuola
ideologizzata, perde la propria identità“.
Per Giussani l’educazione era davvero un punto imprescindibile tanto da
sostenere all’infinito la formula «mandateci in giro nudi, ma lasciateci
liberi di educare». Egli ha cercato di promuovere in tutti i modi la
consapevolezza dell’importanza della libertà di educazione, in un mondo in cui
né i laici né i cattolici sembravano rendersene conto; un mondo dove
l’impostazione ideologica tendeva a identificare la scuola statale con la
scuola pubblica, di fatto affermando che solo lo Stato avesse il diritto di
educare, retaggio del totalitarismo risorgimentale prima, fascista poi e infine
comunista“.
DON GIUSSANI E LA CHIESA “MADRE E
MAESTRA”
Nell’anticipazione, pubblicata da “La Verità”, Negri prosegue ammettendo che “da un punto di vista politico i risultati ottenuti sono stati forse modesti perché, se si escludono alcuni provvedimenti legislativi locali e qualche piccolo passo verso la parità scolastica, ancora oggi solo parzialmente realizzata, la società italiana è tra quelle in cui la libertà educativa risulta essere meno rispettata. Tuttavia, l’insistenza di Giussani per la lotta a favore della libertà di educazione ha avuto un risultato importantissimo: mobilitare migliaia di adulti, insegnanti e genitori, che, in nome della libertà di educazione, si sono sacrificati per dare vita o sostenere scuole libere, spesso pagando di tasca propria cifre imponenti per il bilancio delle famiglie“. Don Negri però mette in guardia: “Anche un grande movimento di popolo, come quello che ha originato tali importanti opere di carattere educativo, rischia di affievolirsi e ridimensionarsi fino a venir meno; non solo per le durissime condizioni di carattere economico, che in modo discriminatorio colpiscono maggiormente le scuole paritarie delle scuole statali, ma ancora di più per la perdita della memoria di quanto è stato generato a partire dal carisma di Giussani“.
Secondo Giussani la Chiesa non poteva “vivere
fino in fondo la propria natura senza essere «madre e maestra», senza prendere
sul serio la propria responsabilità educativa“. La comunità era il
luogo” dove “doveva essere fatta ai giovani una proposta di vita; dove
essi dovevano essere aiutati a vivere la novità della vita cristiana non
secondo un generico richiamo, ma attraverso un’esperienza autentica“.
Questa doveva essere:
“1. «Chiara di fronte a chiunque», cioè senza indecisioni causate da eccessive remore o
timori di urtare gli altri;
2. «elementare nella comunicazione», cioè capace di coinvolgere la libertà dei ragazzi in
un’azione concreta;
3. «integrale nelle dimensioni», cioè capace di tenere insieme cultura, carità e
missione;
4. «comunitaria nella realizzazione», cioè sviluppata senza trascurare nessuno dei fattori
costitutivi della comunità (l’adesione personale, le diverse funzioni e
responsabilità, l’autorità, l’unità). Come si può educare a vivere la novità
cristiana, se non favorendo il pieno riconoscimento del desiderio del vero, del
bene, del giusto, di quell’insieme di esigenze ed evidenze del cuore che
Giussani chiamava «esperienza elementare»?“.
DON GIUSSANI: L’INEVITABILE DIMENSIONE
POLITICA DELLA FEDE
Monsignor
Negri insiste ricordando: “Non bisogna dimenticare che, secondo la dottrina
sociale della Chiesa, spesse volte richiamata proprio su questo punto da
Giussani, l’educazione è affidata alla famiglia, poi in modo
sussidiario alla Chiesa, ma non direttamente allo Stato. Giussani ha
favorito, allora, lo sviluppo, a livello ecclesiologico, del concetto di dottrina sociale come difesa
della libertà della Chiesa e del popolo, soprattutto assimilando e
approfondendo il grande magistero di Giovanni Paolo II; ma non è stata solo una
riscoperta teorica, perché ha saputo favorire la creazione di un numero davvero
impressionante di opere.
Penso
che anche oggi non si possa pensare di proseguire sulla strada da lui avviata
dimenticando il concetto di opera e pensando la fede in termini intimistici.
Per questo, credo anche che la questione della politica non possa
venire trascurata. La dimensione politica della fede è inevitabile perché,
da una parte, è resa necessaria per la difesa della libertà della Chiesa, a
partire dalla difesa della missione, dall’altra, coincide con un’espressione
importante dell’amore al popolo che si realizza nelle opere.
L’opera,
infatti, non è solo un’iniziativa di carattere sociale perché, da un lato,
esprime la capacità del singolo o del gruppo di interagire con i problemi
reali, svolgendo nell’assunzione dei problemi reali tutte le
capacità scientifiche, culturali delle quali si dispone; dall’altro,
costituisce un àmbito di testimonianza e missione. Anche l’impegno per i diritti fondamentali, come il
diritto alla vita, il principio di sussidiarietà o
quello di solidarietà, non è qualcosa di secondario, perché questi, sebbene
possano essere formulati diversamente a seconda delle circostanze, sono
veramente diritti inalienabili, come ci ha ricordato Benedetto XVI,
e quindi imprescindibili, se si vuole contribuire significativamente alla
costruzione del bene comune. La missione coincide con questo impegno
continuativo, che si rinnova ogni giorno, a investire tutte le circostanze
della vita di quella umanità nuova, di quella mobilitazione nuova
dell’intelligenza e del cuore che nasce dall’appartenenza a questa compagnia“.
Don
Negri conclude: “Il popolo si realizza nella missione.
Ripeteva spesso Giussani che Giacomo, Andrea e Giovanni, neanche per un
momento, hanno pensato moralisticamente di cambiare vita; hanno piuttosto
pensato di andare dietro all’Avvenimento più grande di loro che li aveva presi
e li aveva portati magari dove non volevano. In questo seguire quello che
avevano incontrato è poi scaturito inesorabilmente il cambiamento della loro
vita. Se invece avessero preteso, come condizione necessaria per andare dietro
al Signore, di cambiare, di non vivere più come gli altri, prima di seguire,
non si sarebbero mossi. La missione è il grande movimento di
autorealizzazione della Chiesa. In che cosa consiste il nesso
straordinario tra Giovanni Paolo II e don Giussani? Certamente in
un’affinità di temperamento, in un’ampiezza di cultura che per certi aspetti
aveva visitato gli stessi grandi autori. Ma dove si radicano l’apertura
intellettuale, la vivacità umana, il non clericalismo di Giovanni Paolo II e di
Giussani? Nell’idea che la missione è il movimento che compie la Chiesa“.
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