mercoledì 24 febbraio 2021

PIGI BERNAREGGI. UNA FEDE VISSUTA OPEROSAMENTE

 di Arturo Alberti e Roberto Mingucci 

La storia di come nacque nella mente del primo missionario giussaniano l’idea di regolarizzare le favelas di Belo Horizonte, trasformando così un “cancro” della città in una risorsa per tutto il Brasile. Il racconto di due volontari che fecero con lui l’impresa


All’appello in classe al liceo Berchet di Milano era Pierluigi Bernareggi, ma gli amici lo hanno chiamato sempre solo Pigi. Poi lo hanno chiamato padre Pigi i tantissimi che lo hanno avuto come benefattore per la vita. Alcuni di noi, qui in Romagna, lo avevano già conosciuto quando, ancora universitario, già girava per l’Italia a tenere incontri. Partecipavano studenti che, avendo conosciuto qualche “giessino” come noi, andavano ad ascoltarlo. Sapeva come spiegare quella passione che già li aveva presi da quando si erano coinvolti in incontri pieni di canti e di giochi e nei cosiddetti “raggi”, raduni di Gioventù studentesca nei quali si interveniva sull’argomento all’ordine del giorno a partire dalla propria esperienza per arrivare a un giudizio.

Negli anni Sessanta, poi, tutti i giessini lo conoscevano per le “decime”, libere offerte raccolte allora per aiutare la presenza sua e di altri che come lui erano partiti per il Brasile. Di quella realtà lontana, che erano andati gratuitamente a incontrare, ci informavano le “lettere dal Brasile”, scritte da loro per raccontare e farci partecipi delle ragioni di quella scelta missionaria, ai nostri occhi di studenti così coraggiosa.

Avevamo appreso, seguendo don Giussani, che tre dimensioni qualificavano l’esperienza cristiana che ci coinvolgeva: cultura, carità e missione. La scelta di Pigi era la testimonianza concreta che effettivamente quell’esperienza si poteva proporla anche ai confini del mondo. Ma scoprivamo anche come fosse facile travisarla, in cerca di proprie soluzioni. In Brasile infatti, in pochi anni il Pigi si ritrovò solo a obbedire a quel mandato, dopo che tutti gli amici partiti con lui si erano persi. Li avevano attratti utopie di cambiamenti radicali, da realizzare più rapidamente, con le proprie mani, senza dover attendere e attingere alla carità di Cristo. Lui stesso, nei vari incontri, lo raccontava con tristezza a quelli che lo interrogavano. 

Per noi la sorprendente compagnia con lui è nata da un fatto inatteso. A fine anni Sessanta l’occasione della tesi di laurea in ingegneria edile di Roberto Mingucci (“la tesi del Rori”, la chiamava Pigi) aveva saputo cogliere l’amore che lui aveva ormai scelto per la gente di là: i favelados. Vivendo poveramente in baracche autocostruite su terreni abbandonati, sapevano reagire alla condanna alla miseria, decretata brutalmente da una società mal organizzata e rapace, trasformandola in una esperienza di povertà e di umiltà cristiana, con la libertà di condividere le loro energie e le loro povere risorse.

Questo colpiva Pigi. Che una lettura tecnica, professionale, progettuale avesse potuto documentare i valori culturali della vita in favela lo commosse, anche al di là del merito reale di quella proposta, e lo rese disponibile a presentarla in varie occasioni e a promuoverla come proposta di intervento. Scoprimmo poi che vi aveva scorto un metodo di presenza adeguato a valorizzare la condizione dei favelados del Brasile, che trasmettevano in favela la ricchezza delle ragioni cristiane di cui erano portatori per la loro cultura e che lui viveva con loro come sua responsabilità vocazionale. Ci trovammo così, di fatto, coinvolti con il suo impegno missionario.

Un obiettivo a lungo inseguito

Una decina d’anni dopo, nell’estate del 1982, l’idea di fare delle ipotesi di lavoro contenute nella tesi una mostra da presentare al Meeting per l’amicizia fra i popoli che nel frattempo era nato a Rimini portò a uno sbocco molto concreto. In quell’anno il Meeting di Rimini, come era già chiamato, avrebbe infatti ospitato la presenza di papa Giovanni Paolo II, e padre Pigi sarebbe potuto venire a presentare la mostra al Papa. Fu quindi ospite dell’evento, invitato a dare testimonianza dell’esperienza che stava conducendo a Belo Horizonte come sacerdote ormai incardinato nella diocesi di quella città e responsabile, per la stessa diocesi, della Pastorale di favela. 

Quell’occasione fece nascere in lui l’idea di un progetto di cooperazione internazionale di più ampio respiro, da collegare a quelli che già stava realizzando con l’aiuto di Arturo Alberti, allora presidente di Avsi, Ong fondata con altri amici di Cesena. Un progetto che proponesse il recupero e la legalizzazione di tutte le favelas di Belo Horizonte. Era quello l’obiettivo che da tempo perseguiva con la sua Pastorale di favela: fare sì che le famiglie dei favelados non fossero più espulse violentemente dalla polizia, mentre le loro case venivano demolite con le ruspe. I proprietari dei terreni, che prima dell’insediamento della favela erano sempre abbandonati, avrebbero potuto essere indennizzati in altro modo, senza privare quelle famiglie, quasi sempre poverissime, della loro unica possibilità di alloggio.

Fu così che decise, per avviare quel lavoro, di presentare il Rori all’Arturo, che in realtà già si conoscevano da anni, ma che senza di lui non avrebbero forse iniziato nulla di così complesso. Pigi diceva già allora con entusiasmo, fiducioso nella cultura della “povertà solidale”, che la legalizzazione avrebbe stabilizzato le famiglie e che gli abitanti stessi, resi sicuri del loro futuro su quei piccoli lotti di terreno, sarebbero diventati i protagonisti del miglioramento abitativo, avrebbero fatto diventare legali gli allacciamenti alle utenze di acqua e luce, fino ad allora abusive e precarie, e si sarebbe potuto ottenere anche l’intervento ufficiale del Municipio per le opere di urbanizzazione importanti, visto che la favela diventava in quel modo legalmente parte della città.

Attraverso Avsi fu chiesto e ottenuto un finanziamento europeo e già nel giugno del 1983 l’Arturo e il Rori volavano per la prima volta a Belo Horizonte. Quello sarebbe stato il primo di 23 viaggi per l’Arturo, e di molti di più, che però non ha mai contato, per il Rori, che da quella tesi aveva iniziato la carriera universitaria e su quei temi aveva coinvolto molti dei suoi colleghi dell’allora istituto di Architettura della facoltà di Ingegneria dell’Università di Bologna. 

L’inizio dell’avventura


Entrambi non potranno mai dimenticare l’emozione provata quando l’aereo si abbassò per atterrare all’aeroporto di Pampulha, dal nome del lago artificiale in piena città, e videro per la prima volta la terra rossa di Belo Horizonte, che tante volte avevano cantato alla caritativa domenicale o nei raduni dei raggi. Ora erano anche loro su quella terra, per portare avanti un impegno affascinante col Pigi e Rosetta Brambilla, la volontaria laica di estrazione ciellina che pochi anni dopo l’aveva raggiunto, e che si sarebbe dedicata soprattutto alle opere educative (famosi gli “asili di Rosetta”). Più tardi, nel 1981, sarebbe ripresa la missione di Comunione e Liberazione con l’arrivo di don Virgilio Resi e dei coniugi Brughera. 

È Pigi ad accoglierli in aeroporto e subito via, a bordo del suo malandato pick-up dono delle suore di madre Teresa, si va verso casa di Rosetta, la “mamma” di tutti gli ospiti del Pigi. È nata così una avventura che si è protratta per molti anni e che è stata apprezzata da tanti, persone ed enti (nazionali, europei e delle Nazioni Unite), sia sul piano metodologico, sia su quello culturale e operativo. Pigi aveva già fatto passare anche presso le autorità brasiliane un realistico ma geniale giudizio: la favela è prima una risorsa che non un problema e va inserita nel contesto della città, non espulsa brutalmente. Con la legalizzazione, le mappe ufficiali ne avrebbero dovuto documentare la presenza e non ignorare più quegli spazi già densamente abitati e fino ad allora segnalati solo come aree verdi, disponibili per future speculazioni edilizie. 

Profetico dom Serafim

Il progetto così concepito meritava una presenza continuativa per garantirne uno sviluppo adeguato, e nel 1984 i coniugi Michelini (Anna Conigliaro e Livio Michelini) accettarono di partire come cooperanti per esserne i responsabili locali. Il loro fu un lavoro straordinario, durante i 12 anni della loro presenza, che li rese indispensabili attori di una serie di eventi internazionali e di progetti successivi allora impensabili. Al loro arrivo, accolti da Pigi e da lui introdotti presso la Pontificia università cattolica e la diocesi, guidata dall’arcivescovo di Belo Horizonte (e futuro cardinale), dom Serafim Fernandes De Araújo, furono subito indirizzati con suggerimenti che risultarono poi profeticamente adeguati. Il saggio dom Serafim spiegò: «Se volete aiutare i favelados non dovete accontentarvi di divenire favelados voi stessi. Dovete invece svolgere un grande lavoro per rappresentarli nell’ambito politico e amministrativo, dovete portare all’attenzione degli enti di cooperazione e di finanziamento internazionali i loro reali bisogni, perché queste persone siano guardate con l’attenzione che la loro situazione merita e sia riconosciuta e sostenuta con aiuti adeguati la loro esistenza». 

Per questo il lavoro di Anna e Livio si è preoccupato anche di stabilire utili alleanze con tanti soggetti della città: università, centri culturali, politici locali e federali, sensibilizzati ai bisogni di quella parte di popolazione, senza trascurare una assidua frequentazione dei vari gruppi e associazioni di favelados che di volta in volta erano coinvolti. Il loro lavoro e quello di Avsi fu foriero di esiti così significativi da determinare una svolta importantissima per l’affronto della questione favela intesa come risorsa piuttosto che come cancro da estirpare. Portò all’approvazione della famosa “legge pro favela”, prima nella città di Belo Horizonte poi in tutto lo stato del Minas Gerais e in altri stati della federazione brasiliana.

L’impostazione culturale di Pigi non fu mai abbandonata e ha guidato sempre l’ideazione e il percorso dei vari progetti da allora realizzati da Avsi, senza mai cedere all’ideologia terzomondista allora dominante. Durante i molti viaggi in Brasile si era sempre coinvolti nella sua inesausta operosità (anche come ideatore e costruttore di chiese per le favelas). Si poteva continuamente verificare come per lui la Dottrina sociale della Chiesa non fosse una premessa teorica da utilizzare solo come discorso, ma il frutto di una cultura che diveniva esperienza. 

Dal campo ai libri

L’ultima compagnia e collaborazione che è stata possibile con lui ha riguardato proprio questo aspetto: un aiuto al suo lavoro per la diffusione, nella società, della Dottrina sociale della Chiesa. Si era reso conto dell’importanza di quel sorprendente patrimonio dell’attività dei pontefici quando, come lui stesso raccontava, aveva avuto modo e tempo di approfondirne lo studio. Aveva potuto constatare, con profonda gratitudine, una sintonia totale con quanto, come scelte e come azione, aveva sperimentato nella sua vita dedicata ai senza casa, assieme a quelli che avevano lavorato con lui. Nelle lunghe giornate passate al capezzale del padre ammalato, nei primi anni Duemila, dopo aver approfondito le fonti del Magistero da Pio IX a Giovanni Paolo II, le aveva organizzate in 32 tematiche, quelle che a suo giudizio ne rappresentano i contenuti guida. Una formulazione diversa da quella che negli stessi anni era stata realizzata con il Compendio della Dottrina sociale, che aveva invece sintetizzato i contenuti delle fonti originali.

Il materiale da lui pazientemente dattiloscritto (più di 1.300 pagine) è stato quindi composto nel volume Dottrina sociale della Chiesa. Presentazione sistematica delle fonti, in versione digitale (di cui Bruno Venturi e il Rori sono stati i redattori) perché potesse essere messa in rete gratuitamente, a disposizione di chi voglia approfondirla. Il cardinale Angelo Scola, suo grande amico, ne scrisse la presentazione con immensa gioia di Pigi, che per godersi la realizzazione di quel lavoro finalmente portato a termine, ne volle per sé – da amico della carta più che del web – una copia a stampa che ora resterà custodita, ha detto il suo arcivescovo, nella sala dell’arcidiocesi di Belo Horizonte che sarà a lui dedicata. 

L’amicizia con Pigi Bernareggi è stata un proficuo cammino che ha inciso su tutti gli aspetti della nostra vita e siamo certi che vorrà continuare ad accompagnarci, dal Paradiso.

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