di Arturo Alberti e Roberto Mingucci
La storia di come nacque nella mente del primo missionario giussaniano l’idea di regolarizzare le favelas di Belo Horizonte, trasformando così un “cancro” della città in una risorsa per tutto il Brasile. Il racconto di due volontari che fecero con lui l’impresa
All’appello in classe al
liceo Berchet di Milano era Pierluigi Bernareggi, ma gli amici lo hanno
chiamato sempre solo Pigi. Poi lo hanno chiamato padre Pigi i tantissimi che lo
hanno avuto come benefattore per la vita. Alcuni di noi, qui in Romagna, lo
avevano già conosciuto quando, ancora universitario, già girava per l’Italia a
tenere incontri. Partecipavano studenti che, avendo conosciuto qualche
“giessino” come noi, andavano ad ascoltarlo. Sapeva come spiegare quella
passione che già li aveva presi da quando si erano coinvolti in incontri pieni
di canti e di giochi e nei cosiddetti “raggi”, raduni di Gioventù studentesca
nei quali si interveniva sull’argomento all’ordine del giorno a partire dalla
propria esperienza per arrivare a un giudizio.
Negli anni Sessanta,
poi, tutti i giessini lo conoscevano per
le “decime”, libere offerte raccolte allora per aiutare la presenza sua e di
altri che come lui erano partiti per il Brasile. Di quella realtà lontana,
che erano andati gratuitamente a incontrare, ci informavano le “lettere dal
Brasile”, scritte da loro per raccontare e farci partecipi delle ragioni di
quella scelta missionaria, ai nostri occhi di studenti così coraggiosa.
Avevamo appreso, seguendo don Giussani, che tre
dimensioni qualificavano l’esperienza cristiana che ci coinvolgeva: cultura,
carità e missione. La scelta di Pigi era la testimonianza concreta che effettivamente
quell’esperienza si poteva proporla anche ai confini del mondo. Ma scoprivamo
anche come fosse facile travisarla, in cerca di proprie soluzioni. In Brasile
infatti, in pochi anni il Pigi si ritrovò solo a obbedire a quel mandato, dopo
che tutti gli amici partiti con lui si erano persi. Li avevano attratti utopie
di cambiamenti radicali, da realizzare più rapidamente, con le proprie mani,
senza dover attendere e attingere alla carità di Cristo. Lui stesso, nei vari
incontri, lo raccontava con tristezza a quelli che lo interrogavano.
Per noi la sorprendente
compagnia con lui è nata da un fatto inatteso. A fine anni Sessanta l’occasione
della tesi di laurea in ingegneria edile
di Roberto Mingucci (“la tesi del Rori”, la chiamava Pigi) aveva saputo
cogliere l’amore che lui aveva ormai scelto per la gente di là: i favelados.
Vivendo poveramente in baracche autocostruite su terreni abbandonati, sapevano
reagire alla condanna alla miseria, decretata brutalmente da una società mal
organizzata e rapace, trasformandola in una esperienza di povertà e di umiltà
cristiana, con la libertà di condividere le loro energie e le loro povere
risorse.
Questo colpiva Pigi. Che
una lettura tecnica, professionale, progettuale avesse potuto documentare i
valori culturali della vita in favela lo commosse, anche al di là del merito
reale di quella proposta, e lo rese disponibile a presentarla in varie
occasioni e a promuoverla come proposta di intervento. Scoprimmo poi che vi
aveva scorto un metodo di presenza adeguato a valorizzare la condizione dei
favelados del Brasile, che trasmettevano in favela la ricchezza delle ragioni
cristiane di cui erano portatori per la loro cultura e che lui viveva con loro
come sua responsabilità vocazionale. Ci trovammo così, di fatto, coinvolti con
il suo impegno missionario.
Un obiettivo a lungo inseguito
Una decina d’anni dopo,
nell’estate del 1982, l’idea di fare delle ipotesi di lavoro contenute nella
tesi una mostra da presentare al Meeting per l’amicizia fra i popoli che nel
frattempo era nato a Rimini portò a uno sbocco molto concreto. In quell’anno il Meeting di Rimini, come
era già chiamato, avrebbe infatti ospitato la presenza di papa Giovanni Paolo
II, e padre Pigi sarebbe potuto venire a presentare la mostra al Papa. Fu
quindi ospite dell’evento, invitato a dare testimonianza dell’esperienza che stava
conducendo a Belo Horizonte come sacerdote ormai incardinato nella diocesi di
quella città e responsabile, per la stessa diocesi, della Pastorale di
favela.
Quell’occasione fece
nascere in lui l’idea di un progetto di cooperazione internazionale di più
ampio respiro, da collegare a quelli che già stava realizzando con l’aiuto di Arturo Alberti, allora
presidente di Avsi, Ong fondata con altri amici di Cesena. Un progetto che
proponesse il recupero e la legalizzazione di tutte le favelas di Belo Horizonte.
Era quello l’obiettivo che da tempo perseguiva con la sua Pastorale di favela:
fare sì che le famiglie dei favelados non fossero più espulse violentemente
dalla polizia, mentre le loro case venivano demolite con le ruspe. I
proprietari dei terreni, che prima dell’insediamento della favela erano sempre
abbandonati, avrebbero potuto essere indennizzati in altro modo, senza privare
quelle famiglie, quasi sempre poverissime, della loro unica possibilità di
alloggio.
Fu così che decise, per
avviare quel lavoro, di presentare il Rori all’Arturo, che in realtà già si
conoscevano da anni, ma che senza di lui non avrebbero forse iniziato nulla di
così complesso. Pigi diceva già allora con entusiasmo, fiducioso nella cultura
della “povertà solidale”, che la legalizzazione avrebbe stabilizzato le
famiglie e che gli abitanti stessi, resi sicuri del loro futuro su quei piccoli
lotti di terreno, sarebbero diventati i protagonisti del miglioramento
abitativo, avrebbero fatto diventare legali gli allacciamenti alle utenze di
acqua e luce, fino ad allora abusive e precarie, e si sarebbe potuto ottenere
anche l’intervento ufficiale del Municipio per le opere di urbanizzazione
importanti, visto che la favela diventava in quel modo legalmente parte della
città.
Attraverso Avsi fu
chiesto e ottenuto un finanziamento europeo e già nel giugno del 1983 l’Arturo
e il Rori volavano per la prima volta a Belo Horizonte. Quello sarebbe stato il
primo di 23 viaggi per l’Arturo, e di molti di più, che però non ha mai
contato, per il Rori, che da quella tesi aveva iniziato la carriera
universitaria e su quei temi aveva coinvolto molti dei suoi colleghi
dell’allora istituto di Architettura della facoltà di Ingegneria
dell’Università di Bologna.
L’inizio dell’avventura
Entrambi non potranno
mai dimenticare l’emozione provata quando l’aereo si abbassò per atterrare
all’aeroporto di Pampulha, dal nome del lago artificiale in piena città, e
videro per la prima volta la terra rossa di Belo Horizonte, che tante volte
avevano cantato alla caritativa domenicale o nei raduni dei raggi. Ora erano
anche loro su quella terra, per portare avanti un impegno affascinante col Pigi
e Rosetta Brambilla, la volontaria laica di estrazione ciellina che pochi anni
dopo l’aveva raggiunto, e che si sarebbe dedicata soprattutto alle opere
educative (famosi gli “asili di Rosetta”). Più tardi, nel 1981, sarebbe ripresa
la missione di Comunione e Liberazione con l’arrivo di don Virgilio Resi e dei
coniugi Brughera.
È Pigi ad accoglierli in
aeroporto e subito via, a bordo del suo malandato pick-up dono delle suore di
madre Teresa, si va verso casa di Rosetta, la “mamma” di tutti gli ospiti del
Pigi. È nata così una avventura che si è protratta per molti anni e che è stata
apprezzata da tanti, persone ed enti (nazionali, europei e delle Nazioni
Unite), sia sul piano metodologico, sia su quello culturale e operativo. Pigi
aveva già fatto passare anche presso le autorità brasiliane un realistico ma
geniale giudizio: la favela è prima una risorsa che non un problema e va inserita
nel contesto della città, non espulsa brutalmente. Con la legalizzazione, le
mappe ufficiali ne avrebbero dovuto documentare la presenza e non ignorare più
quegli spazi già densamente abitati e fino ad allora segnalati solo come aree
verdi, disponibili per future speculazioni edilizie.
Profetico dom Serafim
Il progetto così
concepito meritava una presenza continuativa per garantirne uno sviluppo
adeguato, e nel 1984 i coniugi Michelini (Anna Conigliaro e Livio Michelini)
accettarono di partire come cooperanti per esserne i responsabili locali. Il
loro fu un lavoro straordinario, durante i 12 anni della loro presenza, che li
rese indispensabili attori di una serie di eventi internazionali e di progetti
successivi allora impensabili. Al loro arrivo, accolti da Pigi e da lui
introdotti presso la Pontificia università cattolica e la diocesi, guidata
dall’arcivescovo di Belo Horizonte (e futuro cardinale), dom Serafim Fernandes
De Araújo, furono subito indirizzati con suggerimenti che risultarono poi profeticamente
adeguati. Il saggio dom Serafim spiegò: «Se volete aiutare i favelados non
dovete accontentarvi di divenire favelados voi stessi. Dovete invece svolgere
un grande lavoro per rappresentarli nell’ambito politico e amministrativo,
dovete portare all’attenzione degli enti di cooperazione e di finanziamento
internazionali i loro reali bisogni, perché queste persone siano guardate con
l’attenzione che la loro situazione merita e sia riconosciuta e sostenuta con
aiuti adeguati la loro esistenza».
Per questo il lavoro di
Anna e Livio si è preoccupato anche di stabilire utili alleanze con tanti
soggetti della città: università, centri culturali, politici locali e federali,
sensibilizzati ai bisogni di quella parte di popolazione, senza trascurare una
assidua frequentazione dei vari gruppi e associazioni di favelados che di volta
in volta erano coinvolti. Il loro lavoro e quello di Avsi fu foriero di esiti
così significativi da determinare una svolta importantissima per l’affronto
della questione favela intesa come risorsa piuttosto che come cancro da
estirpare. Portò all’approvazione della famosa “legge pro favela”, prima nella
città di Belo Horizonte poi in tutto lo stato del Minas Gerais e in altri stati
della federazione brasiliana.
L’impostazione culturale
di Pigi non fu mai abbandonata e ha guidato sempre l’ideazione e il percorso
dei vari progetti da allora realizzati da Avsi, senza mai cedere all’ideologia
terzomondista allora dominante. Durante i molti viaggi in Brasile si era sempre
coinvolti nella sua inesausta operosità (anche come ideatore e costruttore di
chiese per le favelas). Si poteva continuamente verificare come per lui la
Dottrina sociale della Chiesa non fosse una premessa teorica da utilizzare solo
come discorso, ma il frutto di una cultura che diveniva esperienza.
Dal campo ai libri
L’ultima compagnia e
collaborazione che è stata possibile con lui ha riguardato proprio questo
aspetto: un aiuto al suo lavoro per la diffusione, nella società, della
Dottrina sociale della Chiesa. Si era reso conto dell’importanza di quel
sorprendente patrimonio dell’attività dei pontefici quando, come lui stesso
raccontava, aveva avuto modo e tempo di approfondirne lo studio. Aveva potuto
constatare, con profonda gratitudine, una sintonia totale con quanto, come
scelte e come azione, aveva sperimentato nella sua vita dedicata ai senza casa,
assieme a quelli che avevano lavorato con lui. Nelle lunghe giornate passate al
capezzale del padre ammalato, nei primi anni Duemila, dopo aver approfondito le
fonti del Magistero da Pio IX a Giovanni Paolo II, le aveva organizzate in 32
tematiche, quelle che a suo giudizio ne rappresentano i contenuti guida. Una
formulazione diversa da quella che negli stessi anni era stata realizzata con
il Compendio
della Dottrina sociale, che aveva invece sintetizzato i contenuti delle
fonti originali.
Il materiale da lui
pazientemente dattiloscritto (più di 1.300 pagine) è stato quindi composto nel
volume Dottrina
sociale della Chiesa. Presentazione sistematica delle fonti, in versione digitale
(di cui Bruno Venturi e il Rori sono stati i redattori) perché potesse
essere messa in rete gratuitamente, a disposizione di chi
voglia approfondirla. Il cardinale Angelo Scola, suo grande amico, ne scrisse
la presentazione con immensa gioia di Pigi, che per godersi la realizzazione di
quel lavoro finalmente portato a termine, ne volle per sé – da amico della
carta più che del web – una copia a stampa che ora resterà custodita, ha detto
il suo arcivescovo, nella sala dell’arcidiocesi di Belo Horizonte che sarà a
lui dedicata.
L’amicizia con Pigi
Bernareggi è stata un proficuo cammino che ha inciso su tutti gli aspetti della
nostra vita e siamo certi che vorrà continuare ad accompagnarci, dal Paradiso.
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