Quali sono le ragioni del gesto proposto a tutti i cristiani da papa Francesco, che oggi consacra Russia e Ucraina a Maria?
Dialogo di Emanuele Boffi con mons. Francesco Braschi, dottore della Biblioteca ambrosiana
“Guerra in Ucraina, preghiera e digiuno, perché?” è la domanda che fa da titolo all’incontro che si svolgerà a Milano il 31 marzo. Un convegno cui parteciperà monsignor Francesco Braschi, dottore della Biblioteca ambrosiana, che ha accettato di anticipare qualche sua riflessione a Tempi. Oggi, infatti, è il giorno in cui papa Francesco ha chiesto a tutti i vescovi e a tutto il popolo cristiano di pregare per la pace, dopo avere invitato a digiunare lo scorso 2 marzo, mercoledì delle ceneri. Oggi è il giorno in cui il pontefice consacrerà Russia e Ucraina al cuore immacolato di Maria.È trascorso un mese dalla sciagurata
invasione ordinata dal presidente Putin. Abbiamo visto le città ucraine
bombardate, i morti, le reciproche accuse, i profughi ai confini, l’inasprirsi
delle sanzioni. Dopo un mese dobbiamo constatare che tutti i tentativi
diplomatici di porre fine al conflitto hanno fallito. Dunque: che senso ha
digiunare e pregare per la pace? È forse atto illusorio di chi fatalisticamente
s’affida a Dio non sapendo che altro fare? «La preghiera e il digiuno», dice
Braschi a Tempi, «sono le armi che ci sono state consegnate da Gesù
per sconfiggere il male che sfigura l’uomo. Se noi le riteniamo illusorie
stiamo imputando a Gesù di non averci consegnato le armi adatte».
Preghiera e
digiuno, le nostre armi
Per spiegarsi, Braschi ripercorre
l’episodio evangelico in cui un uomo presenta a Cristo il figlio epilettico che
«cade spesso nel fuoco e spesso anche nell’acqua; l’ho già portato dai tuoi
discepoli, ma non hanno potuto guarirlo». Gesù fa condurre a sé il ragazzo e lo
libera dal demonio. Alla domande dei discepoli sul perché loro non siano stati
capaci di scacciarlo, Gesù risponde: «Per
la vostra poca fede. […] Questa razza di demoni non si scaccia se non con
la preghiera e il digiuno».
Ecco, chiosa Braschi, è Cristo stesso a
dirci che queste sono le due armi per fermare il male: «Il digiuno è il gesto che più d’ogni altro ci aiuta a renderci
conto che, di fronte al male, come i discepoli, da soli non siamo capaci di
nulla. Col digiuno sentiamo venire meno le nostre forze, ci accorgiamo della
nostra fragilità. È uno strumento formidabile per farci toccare con mano quanto
sia illusoria la nostra capacità di cavarcela da soli. E la preghiera è ciò che ci rende più
consapevoli che non siamo noi i padroni della realtà, che nulla possiamo se non
in un dialogo con Cristo. Diciamo di più: ci accorgiamo che nemmeno il bene
siamo capaci di compierlo da soli, in maniera autoreferenziale, ma solo dentro
un rapporto col Mistero».
Prosegue Braschi: «Questo non significa,
come ha sottolineato anche papa Francesco, che gli sforzi diplomatici siano
vani, tutt’altro. Ma il
gesto di oggi ha il senso di aiutarci ad avere una concezione più realistica di
noi stessi e delle nostre possibilità. Lo sappiamo: spesso, anche quando
siamo animati dalle migliori intenzioni, vediamo accadere disastri. Il nostro
deve essere quindi un criterio non moralistico, ma illuminato da una spietata
ragionevolezza che ci porta a comprendere che di fronte a “una certa razza di
demoni” non possiamo nulla senza di Lui».
E Pietro
dubitò
Ieri Francesco, durante un incontro con il Centro femminile italiano, ha parlato del
conflitto. Ha detto che per ottenere la pace «la vera risposta» non può essere
quella che viene «dalle armi, dalle sanzioni, da altre alleanze
politico-militari», ma da «un’altra
impostazione, un modo diverso di governare il mondo»: «La scuola di Cristo».Mons. Francesco Braschi
«In questi giorni», nota Braschi,
«abbiamo sentito tante spiegazioni politiche e geopolitiche sul conflitto,
capito quali cose potevano essere fatte prima e non sono state fatte… La nostra incapacità di trovare una
soluzione ci scandalizza. Ma anche questa è una prospettiva non corretta perché
ci fa ricadere nell’errore di pensare che siamo noi a dover costruire la nostra
salvezza».
Per farsi comprendere, il monsignore
della Biblioteca ambrosiana ricorre ancora al Vangelo, citando l’episodio in
cui Pietro vuole seguire Gesù che cammina sulle acque: «Cristo lo invita a
seguirlo, ma il discepolo dubita, ha paura, comincia ad affondare e urla finché
Gesù non lo salva. Ecco, Pietro, che pure
era animato dalle migliori intenzioni, pensa di cavarsela da solo, ma poi
quando si accorge di non farcela, grida. Con il gesto del digiuno e della
preghiera, papa Francesco ci ricorda su cosa si fonda la salvezza cristiana. Non siamo noi in grado di salvarci,
possiamo farlo solo in rapporto e dialogo con Lui».
Costruire
la pace
In mezzo a tante tragedie e distruzione,
fiorisce anche il bene. Lo si vede soprattutto nell’accoglienza generosa dei profughi ucraini. «Il gesto dei
polacchi e dei rumeni in questi giorni è meraviglioso, da loro c’è solo da imparare.
Raccontare la vera solidarietà è il modo che abbiamo per far capire che ciò che
costruisce la pace è la carità. Anche qui, però, bisogna stare attenti, perché
dobbiamo riconoscere che questa carità è una grazia e che se non è così intesa,
rischia di piegarsi velocemente ai nostri criteri. Lo dico perché è notizia
confermata che alcune persone di origine asiatica sono state trattate
diversamente dagli europei quando hanno cercato di varcare i confini. Anche la carità, se non è originata da
Cristo, rischia di trasformarsi in sopruso e violenza».
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