Rodolfo Casadei
Il tormentone non finirà con la campagna
elettorale. Lo si capisce dai primi dibattiti post-elettorali: il motto “Dio, patria, famiglia”
continuerà ad essere rinfacciato a Giorgia Meloni e verosimilmente al prossimo
esecutivo italiano che avrà la fiducia del suo partito come la prova di una
continuità ideale col fascismo e di una palese volontà reazionaria.
E' successo anche lunedì sera a Quarta Repubblica, la trasmissione televisiva di Nicola Porro, dove Valentina Furlanetto (Il Sole 24 Ore e Radio24) ha di nuovo sottolineato che il credo della leader di Fratelli d’Italia è in realtà uno slogan del passato regime fascista. A poco è servito che un solitamente mite Alessandro Campi si inalberasse e le ricordasse che in realtà il motto è mazziniano, dunque risorgimentale. La giornalista della stampa finanziaria non ha affatto battuto in ritirata, e ha rilanciato affermando che dei tre termini quello più problematico è “Dio”, che non dovrebbe avere nulla a che fare con la politica, che dovrebbe restare una questione privata, perché «non siamo in una repubblica islamica».
A sentire questa cosa cadono le braccia
non solo a Campi (ex consigliere di Gianfranco Fini), ma anche a Federico Rampini, che in collegamento
dagli Usa ha testimoniato che il motto
“Dio, patria, famiglia” è pane quotidiano della maggior parte degli esponenti
del Partito Repubblicano, che islamici non sono. Ma in realtà non c’è
nessun bisogno di andare fino in America (dove Dio è menzionato pure sulle
monete e sulle banconote): costituzioni di paesi europei che fanno parte della
Ue onorano il nome dell’Altissimo e lo menzionano nei loro preamboli.
E non parliamo soltanto della “famigerata” costituzione ungherese del 2011, che si apre con l’invocazione “Dio benedica gli ungheresi” e si conclude con la frase «Noi, i membri del Parlamento eletto il 25 aprile 2010, essendo consapevoli della nostra responsabilità davanti a Dio e agli uomini e nell’esercizio del nostro potere costituzionale, adottiamo la presente a che sia la prima Legge fondamentale unitaria di Ungheria».
Ben prima che Viktor Orban diventasse
primo ministro ungherese, che il suo partito Fidesz vincesse elezioni in serie,
e che Bruxelles lo accusasse di non rispettare tutte le salvaguardie dello
Stato di diritto, le costituzioni di paesi grandi e piccoli d’Europa – cioè le
leggi fondamentali degli stati europei – facevano posto a Dio nei loro
propositi.
La
costituzione tedesca, promulgata nel maggio del 1949,
comincia con parole quasi identiche a quelle della costituzione ungherese del
2011: «Consapevole della propria responsabilità davanti a Dio e agli uomini,
animato dalla volontà di servire la pace nel mondo in qualità di membro di
eguale diritti di un’Europa unita, il popolo tedesco ha adottato, in forza del
suo potere costituente, questa Legge fondamentale».
La
Costituzione irlandese non si limita a invocare Dio, ma
dichiara che la fonte della sua autorità è la Trinità: «Nel Nome della
Santissima Trinità, dalla Quale origina ogni autorità e alla Quale si devono
ispirare, quale nostro fine ultimo, tutti gli atti sia degli uomini che degli
Stati, Noi, il popolo dell’Eire, riconoscendo con umiltà tutti i nostri doveri
nei confronti del nostro Divino Signore, Gesù Cristo, che ha sorretto i nostri
padri nel corso dei secoli. (…) Adottiamo, decretiamo e doniamo a noi stessi la
presente Costituzione».
Protestanti e ortodossi in giro per il
continente non sono da meno. In
Danimarca l’articolo 4 della costituzione stabilisce che «La Chiesa
evangelica luterana è la Chiesa nazionale danese ed è, in quanto tale,
sovvenzionata dallo Stato», e l’articolo 6 statuisce che «Il Re deve
appartenere alla Chiesa evangelica luterana».
La
costituzione greca entrata in vigore nel 1975 non è più emanata nel nome della Santa Trinità
Consustanziale e Indivisibile, come quella del 1844, ma tuttavia all’articolo 3
recita: «La religione predominante in Grecia è quella della Chiesa orientale
ortodossa cristiana. La Chiesa greco-ortodossa, riconoscendo come capo Nostro
Signore Gesù Cristo, è indissolubilmente unita, quanto al dogma, alla Grande
Chiesa di Costantinopoli ed a tutte le altre Chiese cristiane ortodosse con la
medesima dottrina, osservando immutabilmente, come le altre Chiese, i santi
canoni apostolici e sinodali, nonché le sante tradizioni. (…) Il testo delle
Sante Scritture è inalterabile. La sua traduzione ufficiale in un’altra lingua,
senza il consenso preventivo della Chiesa autocefala di Costantinopoli, è
vietata».
Per quanto riguarda i riferimenti a Dio,
la costituzione della Polonia
post-comunista (1997) è, come si dice oggi, inclusiva. Nel suo preambolo
leggiamo: «Noi, la Nazione Polacca – tutti cittadini della Repubblica, sia
quelli che credono in Dio come sorgente di verità, giustizia, bene e bellezza,
sia quelli che non condividono tale fede, ma rispettano quei valori universali
che vengono da altre fonti, (…) Stabiliamo con questo scritto la
Costituzione della Repubblica di Polonia come legge fondamentale dello Stato,
basata sul rispetto della libertà e della giustizia, della cooperazione tra i
poteri statali, il dialogo sociale e il principio di sussidiarietà nel
rafforzamento dei poteri dei cittadini e delle loro comunità».
Naturalmente le costituzioni di questi
paesi, come pure quelle degli altri paesi della Ue, prevedono tutte articoli a
protezione della libertà religiosa, che consentono ai cittadini di praticare
culti diversi da quello ufficiale o di maggioranza, o di non avere religione
alcuna. Non li citiamo per non appesantire il testo.
Dunque riferimento a Dio, ai doveri
verso di Lui e verso la religione, convivono con il riconoscimento della
libertà di culto, ovvero della libertà di religione o di irreligione. Non è una
convivenza estrinseca, ma un’implicazione reciproca e necessaria, perché i riferimenti a Dio delle
costituzioni europee (e di quella americana) non sono funzionali a gettare le
basi di una teocrazia, a legittimare sacralmente il potere. Servono la funzione
opposta: relativizzare il potere degli uomini che si assumono il governo di una
nazione, desacralizzare il potere umano.
tratto da Tempi