Accaparrarsi voti, accarezzando quel delirio di autonomia assoluta che pretende di trasformare ogni proprio desiderio in un diritto, costi quel che costi …
MASSIMO GANDOLFINI
Penso che non ce ne fosse bisogno, ma se a qualcuno fosse
rimasto il dubbio che il Partito Democratico è diventato il braccio armato della cultura radicale, nihilista e visceralmente
anti-cattolica, la presentazione dell’agenda elettorale da parte del suo
leader, Enrico Letta, ha fatto cadere ogni indecisione: la lotta per i diritti
della classe operaia e dei contadini sfruttati dal capitalismo borghese è stata
definitivamente archiviata e sostituita da una ben più “a la page” lotta per i
“diritti civili”.
Il mondo radical-chic
esulta, il mondo del capitale che si compra uteri in affitto a suon di
centinaia di migliaia di dollari brinda, mentre il mondo delle famiglie a
stipendio fisso, con bimbi e nonni a carico, alle prese con una fiscalità
soffocante, rimane attonito di fronte a tanta insipienza e vergognosa
“modernità”.
Nella dichiarazione si legge:
“pieno riconoscimento dei diritti sessuali e riproduttivi delle
donne” (che significa “pieno diritto d’aborto”),
ddl Zan,
matrimonio egualitario,
legge sul fine vita (nel gergo comune, “morte volontaria
medicalmente assistita”, cioè suicidio assistito),
legalizzazione dell’autoproduzione della cannabis “per uso
personale” (chissà, forse Letta ha intenzione di istituire una task force che,
bussando di porta in porta alle case italiane controllerà il numero delle
piantine, accertando l’uso esclusivamente personale .. ci sarebbe di che
ridere, se non fosse che è in gioco il futuro di intere giovani generazioni!).
Con una chicca finale dal chiaro sapore militarista e guerrafondaio:
sì all’aumento delle spese militari e all’esportazione di armi,
forse in ossequio a quel Publio Flavio Vegezio Renato, scrittore romano del V
secolo, passato alla storia per il suo epitoma “si vis pacem para bellum”. I
grandi apostoli del movimento pacifista, da Ghandy a Martin Luther King, fino
al nostrano Marco Pannella – pace alle anime loro – stanno osservando
sconcertati.
Una cosa è certa: Papa Francesco non la pensa proprio così. Sono
mesi che impegna ogni sforzo e usufruisce di ogni momento pubblico per
dichiarare la sua totale contrarietà ad ogni guerra, ad ogni corsa agli
armamenti, invocando, anche con appelli accorati, un forte, universale impegno
per mediazioni diplomatiche che aprano la strada alla pace e fine alla
scellerata strage di uomini, donne, bambini.
E anche sui temi etici, sui quei temi sensibili su cui poggia la
civiltà di un popolo – primo fra tutti il valore della vita – il Santo Padre
non ha certamente usato parole meno chiare e inequivocabili: aborto e eutanasia sono crimini contro la
vita che non possono mai trovare giustificazione alcuna. Sopprimere una
vita è sempre un omicidio e legalizzare l’omicidio di piccoli innocenti è
indegno di una società civile. Se, dunque, la posta in gioco è fra scegliere il
diritto alla vita o un’agenda politica che promuove vergognose azioni contro di
essa, come quella che ci è stata annunciata, pensiamo che davvero ogni dubbio
non abbia alcuna ragione di esistere.
Solo l’ubriacatura ideologica, solo il modernismo sciocco del
politicamente corretto – da cui presero le distanze anche menti laiche,
agnostiche, non credenti (qualche giorno fa, su queste pagine, abbiamo
ricordato Pierpaolo Pasolini) – può schierarsi a favore di programmi di governo
che promettono leggi e norme a sostegno del “diritto di morire”.
A ben vedere, può esserci un’altra motivazione: il consenso
elettorale.
Accaparrarsi voti, accarezzando quel delirio di autonomia
assoluta che pretende di trasformare ogni proprio desiderio in un diritto,
costi quel che costi … e mentre si
spargono lacrime per il tricheco ucciso in Norvegia, non si spende neppure un
fugace pensiero di amara tristezza per quel bimbo gravemente disabile che una
corte suprema ha dichiarato “indegno di vivere” e “degno di essere ucciso”.
E i genitori, tacciano! Programmi elettorali che viaggiano su
questa lunghezza d’onda sono indegni di un popolo civile.
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