La legge 194 è una legge iniqua, da superare affrontando con misure concrete e adeguate i problemi che spingono una donna ad abortire, in un quadro antropologico che vinca la subcultura dello scarto.
Durante la trasmissione Agorà, in onda su Rai 3 pochi giorni or sono, il Presidente della Pontificia Accademia per la Vita Mons Vincenzo Paglia ha definito la legge 194/1978 un “pilastro della nostra vita sociale”, aggiungendo che essa non è “assolutamente” in discussione. In una nota diffusa oggi il portavoce del prelato precisa, fra l’altro, che “l’intento dell’affermazione non riguardava un giudizio di valore sulla legge, quanto la constatazione che è praticamente impossibile abolire la 194 in quanto elemento ormai strutturale della legislazione in materia”.Il Centro studi Rosario Livatino è una
realtà laica, tesa a studiare la normativa alla stregua di quelle coordinate
antropologiche che generazioni di giuristi qualificano ‘legge naturale’ (in tal
senso nel 2018 affrontò le questioni giuridiche correlate alla 194 in un
convegno svolto nell’aula magna della Corte di Cassazione- https://www.centrostudilivatino.it/la-tutela-della-vita-nellordinamento-giuridico-italiano/).
Come realtà laica di giuristi, ritiene di non venir meno al rispetto dovuto a
Mons Paglia e all’Istituzione che presiede se segnala quanto segue:
1. 1. il
termine ‘pilastro’ ha un suo senso obiettivo e inequivoco, soprattutto se correlato
alla ‘vita sociale’, e rinvia a un elemento basilare, che assicura continuità e
stabilità a un sistema, e si associa a un giudizio positivo, almeno nel senso
della preservazione di quel che il ‘pilastro’ regge. In tal senso, con
riferimento a un complesso di norme, ha carattere di ‘pilastro’ la Costituzione
della Repubblica. Definire ‘pilastro’ la 194 provoca quanto meno
disorientamento di giudizio;
2. 2. si
può convenire sulla difficoltà, al momento, di rettificare la 194 nella
direzione di una maggiore tutela della vita – essendo oggi elevato in
Parlamento il rischio di una sua modifica peggiorativa -, ma questo non
significa darla per irreversibile. La recente sentenza Dobbs v. Jackson della
Corte Suprema USA non è frutto del caso, ma della ferma convinzione dei
movimenti pro life americani che la Roe v. Wade del 1973 non fosse un ‘pilastro
della vita civile’, e del lavoro da essi svolto in 50 anni nelle università,
nella giurisdizione, nella politica. La tiepidezza con cui quella sentenza è
stata accolta in Italia anche in ambienti ecclesiali e teoricamente pro file
conferma quanto da noi si sia distanti dall’obiettivo;
3. 3. eppure
la non rassegnazione della Chiesa italiana alla presunta irreversibilità della
194 è attestata dall’aver fissato alla prima domenica di febbraio la ‘giornata
per la vita’, a partire dal 1979, proprio pochi mesi dopo l’approvazione della
legge;
4. 4. si
può altresì convenire con l’esigenza che la 194 sia finalmente attuata alla
parte c.d. della dissuasione/prevenzione. Ma insistere su questo tasto era
doveroso nel 1978; a 44 anni dall’approvazione della legge e dalla continuativa
disapplicazione del co. 1 dell’art. 5, fa apparire quanto meno ingenui per
almeno due motivi: 1) fin da subito è emerso che se per l’ivg è sufficiente il
certificato che attesta la gravidanza, quanto previsto dalla norma è mera
ipocrisia; 2) il funzionamento della prevenzione dipende da una adeguata
copertura finanziaria, che renda concreto per la donna “aiutarla a rimuovere le
cause che la porterebbero” all’aborto, e tale copertura è sempre mancata, a
conferma che non vi è mai stata volontà di realizzarla;
5. 5. la
vera frontiera del momento è ciò che viene permesso, perfino con decreti
ministeriali, “oltre la 194”, giungendo per es. alla vendita a minorenni come prodotto
da banco della ellaOne. Dunque, il richiamo al rispetto di una pur cattiva
legge dovrebbe avvenire a fronte della banalizzazione e della privatizzazione
dell’ivg ‘in pillole’, e dei correlati rischi per la salute di chi le assume.
Auspichiamo pertanto che chi ha a cuore la
tutela della vita continui a considerare senza incertezze la legge 194 una
legge iniqua, da superare affrontando con misure concrete e adeguate i problemi
che spingono una donna ad abortire, in un quadro antropologico che vinca la
subcultura dello scarto.
Centro studi Rosario Livatino
Roma, 29 agosto 2022
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