mercoledì 11 ottobre 2023

GIOVANNI BISSONI UN UOMO GIUSTO

Diversi di voi lo ricordano di certo. Giovanni Bissoni, scomparso a 70 anni il 4 ottobre 2023. Sindaco di Cesenatico a soli 24 anni, è stato dal 1995 al 2010 assessore regionale alla sanità (la sanità più esaltata, alternativa alla Lombardia). I più intransigenti oppositori continueranno a contestare la "sua" sanità statale pubblica. Il suo pensiero era più sofisticato. Sta di fatto che prese a mano un deficit mostruoso: il 40% del deficit sanitario nazionale (di cui era causa da sola la sanità emiliano-romagnola, a metà degli anni '90) e riuscì a farlo rientrare, sia pure con non pochi sacrifici e stratagemmi. Andrebbe ricordato anche solo per questo. In squadra con altri contribuì a formare una vasta classe di dirigenti e manager della sanità diffusasi in Italia che oggi ormai si sono esauriti. Io lo stimavo, così come tanti altri. Ho avuto occasione di conoscerlo bene quando negli anni 90 sono stato il rappresentante regionale dei medici ospedalieri. Fossi stato tra i decisori politici di sinistra, avrei fatto fare a lui - e non a Speranza - il ministro. Aveva competenze che pochi hanno sfiorato. Non si sarebbe forse fatto amare, ma avrebbe affrontato, con la pandemia, il nodo irrisolto dei medici di famiglia, che rimane tutt’ora senza risposta, e che era per lui uno dei punti chiave del servizio sanitari. È un altro pezzo anche della mia vita che se ne va. Perché siamo fatti di tutto ciò che abbiamo incontrato, in qualunque modo.

 

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Ecco il testo del messaggio inviato dal cardinale Matteo Zuppi, letto al funerale svolto col rito civile nel cortile del Museo della Marineria nel porto canale di Cesenatico

Ci sono incontri che ci accompagnano tutta la vita e non portano nulla e altri che in pochi momenti ci aiutano a condividere tutta la vita. Ho incontrato Giovanni Bissoni, uomo giusto, in un momento terribile per lui. Aspettava con ansia questo incontro e mi commuove molto ricordarlo: sconsolato eppure forte, ironico, accogliente, profondo. Davvero non ha smesso di piantare alberi e di coltivare bellezza. Guardava in faccia il suo futuro, misurando quello che restava, segnato da quella sentenza incredibile, terribile della malattia. Non si faceva sconti o illusioni. La sua richiesta era sentirsi protetto dalla sofferenza e garantito nella dignità. Esattamente quello per cui ha lavorato con passione e intelligenza nel mettere in piedi il servizio sanitario nella nostra regione e non solo, perché garantisca a tutti guarigione e cura.

Il diritto alla salute non deve essere condizionato a nessun altro interesse e utile perché sia tale ed è un patrimonio che è “prezioso e da adeguare e difendere”. Giovanni è stato protetto e curato proprio come Danila vuole avvenga per tutti. Mi ha scritto Giovanni: “Il servizio sanitario dell’Emilia Romagna in realtà fu un forte gioco di squadra, naturalmente nel rispetto delle competenze di ciascuno, a partire da politica e istituzioni, contornarsi di persone giuste e investimmo molto sulla formazione. Creammo una classe dirigente che oggi si va esaurendo”. Squadra, competenze, rispetto di queste, istituzioni, politica, formazione: ecco così si costruisce un sistema, universalista, cioè il massimo per tutti, pubblico perché l’unico fine è la persona, qualsiasi essa sia, non il guadagno.

Al termine di quell’incontro mi fece visitare la sua casa, elegante, che faceva sentire subito a casa, sobria e piena di bellezza. Voleva a tutti i costi regalarmi un crocifisso che era appeso nella parete a fianco del suo letto. Un crocifisso antico, essenziale, privo delle braccia. Gli raccontai che nella Chiesa di Sant’Egidio a Roma è conservato un crocifisso simile, anche quello senza le braccia. La spiegazione era semplice: le braccia di Gesù siamo noi, che possiamo sollevare, abbracciare, consolare chi è nella sofferenza. Io gli dissi che ero commosso del suo regalo, ma che preferivo restasse lì, che lo avrebbe aiutato in una comunicazione che non ha bisogno di tante parole, perché eloquente nell’amore. Penso che posso leggere con voi quanto mi scrisse pochi giorni dopo. “Durante la notte piuttosto difficile ho acceso la luce e mi sono guardato l’immagine di Gesù crocifisso. Mi ha molto rasserenato l’idea che le braccia siamo noi. E che anche tu fossi presente”.

Grazie Giovanni per l’attenzione alla persona e senza protagonismo hai reso tanti protagonisti perché squadra che protegge nella malattia. “Ero malato e sei venuto a visitarmi”. Ecco perché sei giusto. Ci hai lasciato il giorno in cui ricordiamo San Francesco. Amava tanto Gesù da portarne nel suo corpo i segni della croce. Oggi comprendi come in realtà il primo che prende le nostre stimmate è Gesù, mistero di amore che fa suoi i segni della nostra croce. È solo una questione di amore. San Francesco chiamò sorella la morte non perché la amasse – non si può amare la morte e non possiamo mai abituarci ad essa tanto da diventarne indifferenti – ma perché non aveva più paura. La guardava negli occhi e la disarmava. Chiamandola “sorella” uccideva la morte! Credo che oggi le braccia di quel crocifisso stringono al collo Giovanni, sollevato e amato da Gesù. Credo anche che Giovanni ritrova la luce di amore che ha acceso nel buio della sofferenza di chi malato ha trovato speranza e protezione. Il buio sconfortante della croce è illuminato dalla luce dell’amore che non finisce.


Grazie Giovanni. Tanta pace. Riposa in pace. Amen.

Card. Matteo Zuppi

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