giovedì 19 ottobre 2023

LA NUOVA POLONIA CHE PIACE A BRUXELLES

Eccessivo controllo dei media, riforma della giustizia, scandali e aborto. Gli elettori “puniscono” il PiS, ma l’eterogenea coalizione guidata da Tusk non avrà vita facile (e non dirà sempre “sì” all’Ue)

Rodolfo Casadei

 

Donald Tusk

Nelle elezioni polacche succede quello che è successo nelle elezioni spagnole: il partito che ha raccolto più voti non governerà il paese, ma finirà all’opposizione. Il fatto di avere raccolto otto punti percentuali in meno rispetto alle precedenti elezioni (35,38 per cento anziché 43,59 per cento) e nessun premio di maggioranza rispetto al 2019 fanno sì che Diritto e giustizia (PiS), il partito del premier uscente Mateusz Morawiecki, non appaia più in grado di governare da solo come nella legislatura appena conclusa, e nemmeno di trovare dei partner per un governo di coalizione, anche se il leader Jaroslaw Kaczynski nel suo primo discorso dopo il voto ha lasciato intendere che nulla sarà lasciato intentato.

Tuttavia, con la maggioranza della Camera a 231 seggi, un’alleanza con l’estrema destra rappresentata da Konfederacja non rappresenta una soluzione: sia perché il partito ultraliberista ottiene soltanto 18 deputati, sia perché per tutta la campagna elettorale ha dichiarato che non si alleerà né col PiS né con le altre forze della (fino a ieri) opposizione. L’altro potenziale partner, il Partito popolare polacco erede del Partito dei contadini (il più antico partito polacco fra quelli oggi esistenti) che si è presentato alle elezioni con la coalizione chiamata Terza Via, ha respinto vigorosamente le avance di alcuni esponenti di Diritto e giustizia. Che perde oltre 40 seggi rispetto a quattro anni fa (194 contro 235).

Un governo che andrà dal centrodestra alla sinistra

Il presidente Andrzej Duda offrirà probabilmente l’incarico a Morawiecki in quanto primo ministro uscente ed esponente del partito che ha comunque ottenuto la maggioranza relativa, ma verosimilmente il suo mandato esplorativo si concluderà alla stessa maniera di quello di Alberto Núñez Feijóo in Spagna. Dopodiché la palla passerà a Donald Tusk, leader di Piattaforma civica (Ko), il cui partito è cresciuto sia nel risultato complessivo (30,7 per cento contro il 27,4 del 2019) sia in seggi, che saranno 157 invece che 134 come nel vecchio parlamento.Altra somiglianza della situazione polacca con la vicenda elettorale spagnola è che anche qui il leader del secondo partito più votato per poter governare dovrà mettere insieme una maggioranza eteroclita.

Piattaforma civica si presenta come partito di centrodestra ed è affiliata al Partito popolare europeo (Ppe), ma in realtà è un partito di centrosinistra con un programma decisamente laicista; i potenziali partner di governo sono i centristi di Terza Via, che è una coalizione fra il già citato Partito popolare polacco e la nuova formazione Polonia 2050 (che aderisce a Renew Europe, il gruppo politico liberale europeo egemonizzato dal partito di Emmanuel Macron e al quale prendono parte gli italiani Azione e Italia viva) e Lewica, cioè la sinistra polacca, quella dai cui ambienti sono state lanciate le accuse di copertura di preti pedofili contro Giovanni Paolo II e che ha definito la beatificazione della famiglia Ulma, massacrata nel 1944 dai nazisti per avere nascosto ebrei perseguitati, una manovra della Chiesa cattolica per convogliare voti sul PiS.

La volontà degli elettori polacchi è chiara

Nonostante le differenze ideologiche e dei programmi il governo tripartito di coalizione (che avrà una maggioranza di 248 seggi) si farà, perché esprime la volontà maggioritaria degli elettori che si sono recati alle urne in una percentuale record (74 per cento, la più alta di sempre, superiore persino a quella delle prime elezioni libere dopo la fine del comunismo) di mandare all’opposizione il PiS che ha governato per otto anni di seguito il paese e di porre fine ai contenziosi con l’Unione Europea, accumulatisi negli anni di governo del partito di destra.

A causare la netta sconfitta della formazione guidata da Jaroslaw Kaczynski non è stata certamente la performance economica del paese: negli ultimi otto anni la Polonia ha avuto una crescita media annua del Pil prossima al 5 per cento, proseguendo e migliorando un trend positivo che dura dal 1993. Né le generose politiche sociali di sostegno e sovvenzioni alle famiglie e ai ceti svantaggiati, che il nuovo governo si guarderà bene dal ridimensionare.

Gli errori del governo uscente, dai media all’aborto

A creare un sentimento ostile nei confronti del governo uscente sono stati l’occupazione dei media pubblici trasformati in ufficio stampa dell’esecutivo, la riforma della giustizia percepita come una politicizzazione della magistratura nell’interesse del partito di governo, la conflittualità continuamente alimentata nei confronti dell’Unione Europea e della Germania, alcuni scandali come quello legato al rilascio di visti Schengen a cittadini stranieri dietro pagamento di mazzette e la questione dell’aborto: la sentenza della Corte costituzionale (la cui composizione è stata modificata negli ultimi anni con l’aggiunta di soggetti favorevoli al PiS) ha notevolmente ristretto i criteri per l’accesso all’interruzione della gravidanza con un intervento dell’ottobre 2020 che ha dichiarato incostituzionale l’aborto per malattia del feto.


La società polacca si è notevolmente secolarizzata negli ultimi due decenni, caratterizzati da un aumento dei consumi e da stili di vita materialisti, e in tutti i sondaggi la maggioranza dei polacchi risulta favorevole a legislazioni abortiste più permissive di quella che è uscita dalla sentenza della Corte costituzionale. L’aborto è questione che divide anche la potenziale nuova maggioranza di governo: mentre Terza Via è favorevole al semplice ripristino della legge esistente prima dell’intervento della Corte costituzionale e a demandare eventuali cambiamenti a referendum popolari, Piattaforma civica e Lewica vorrebbero introdurre l’aborto libero nelle prime dodici settimane di gestazione.

Sono inoltre favorevoli ad abolire l’insegnamento della religione cattolica a carico dello Stato nelle scuole dell’obbligo, altra prospettiva che non trova d’accordo tutti gli eletti di Terza Via. Più facile l’accordo sull’introduzione delle unioni civili fra persone dello stesso sesso e sulla fecondazione assistita a carico del Servizio sanitario nazionale: due punti su cui il PiS, votato dalla maggioranza dei cattolici polacchi, aveva tenuto duro.

Ma il nuovo governo in Polonia non avrà vita facile

La coalizione del governo entrante tuttavia non avrà vita facile almeno nei prossimi due anni: in base alla costituzione vigente il capo dello Stato può mettere il veto alle leggi approvate dal parlamento con meno dei tre quinti dei voti, e l’attuale presidente, Andrzej Duda, è esponente del PiS e sarà in carica fino all’estate del 2025. Il tripartito Ko-Terza Via-Lewica non dispone di tale maggioranza qualificata. Dovrà inoltre vedersela con una Corte costituzionale in quota al vecchio governo, incline a dichiarare incostituzionali le leggi del nuovo esecutivo.

Un bilancio approfondito delle ragioni che hanno portato la destra polacca alla sconfitta richiederà tempo. Il PiS si è trovato di fronte al problema comune a tutti i governi conservatori del continente, cioè l’ostruzionismo di una magistratura e di una Corte costituzionale egemonizzate dalla sinistra sia in termini politici che culturali, che bocciano puntualmente le leggi frutto di una visione conservatrice della società in nome di una lettura individualista dei diritti e di un appiattimento sulla giurisprudenza della Corte di giustizia europea. Ha cercato di risolvere il problema prendendo il controllo politico del sistema, ma la cosa non ha funzionato né a livello dei rapporti con la Ue né con l’opinione pubblica nazionale, che vi ha visto una svolta autoritaria.

Il progetto fallito di emanciparsi dalla Germania

Anche l’ambizioso progetto di emancipare il paese dalla dipendenza politica ed economica della Germania appare fallito. I polacchi sono consapevoli della subalternità dello sviluppo del paese alle strategie politico-economiche della Germania. A chi li accusa di egoismo, perché si permettono di obiettare a certe richieste della Ue pur avendo incassato volentieri dalla stessa fondi strutturali per 232 miliardi di euro fra il 2004 e il 2022 (avendone versati al bilancio europeo nello stesso periodo solo 77), i polacchi rispondono che quei soldi sono certamente serviti allo sviluppo della Polonia, ma ancora di più a quello della Germania e di altri paesi dell’Europa occidentale.

Fra il 2010 e il 2016 la Polonia ha ricevuto fondi europei pari al 2,7 per cento del proprio Pil, ma nello stesso tempo una cifra pari al 4,7 per cento del Pil polacco ha preso la strada della Germania e di altri paesi sotto forma di profitti degli investimenti. I fondi europei sono serviti a sviluppare le infrastrutture dei trasporti polacche, ma anzitutto le autostrade est-ovest verso la Germania, non quelle sud-nord che avrebbero valorizzato i porti polacchi per l’export internazionale.

Bruxelles non si illuda troppo sulla “nuova” Polonia

I risultati delle elezioni dicono che la maggioranza dei polacchi preferisce continuare ad accrescere il proprio tenore di vita dentro a un rapporto di subalternità con la Germania anziché cercando di sfidarla per diventare suoi competitor. Ma attenzione: a Bruxelles festeggiano il ritorno della Polonia all’ovile europeo un po’ troppo frettolosamente.

Sui “diritti Lgbt” e sulla magistratura l’eventuale governo Tusk si allineerà al mainstream del pensiero unico europeo, ma su altre materie di rilievo non si discosterà dalle decisioni del precedente esecutivo. Se a Bruxelles pensano che la “nuova” Polonia aprirà le porte alla redistribuzione dei migranti richiedenti asilo e toglierà il blocco all’importazione dei prodotti agricoli ucraini, si sbagliano di grosso. Su queste materie, che toccano da vicino l’elettorato, il braccio di ferro fra Varsavia e Bruxelles proseguirà. Sono polacchi, non sono stupidi.

 

Nessun commento:

Posta un commento