lunedì 30 settembre 2024

L’UNIVERSITA’ DI LOVANIO E’ “CATTOLICA” SOLO NELLA TARGA UFFICIALE?

INCONTRO DI PAPA FRANCESCO CON GLI STUDENTI UNIVERSITARI 

Aula Magna dell’”Université Catholique de Louvain”
Sabato, 28 settembre 2024

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Grazie, Signora Rettrice, per le sue cortesi parole. Cari studenti, sono contento di incontrarvi e di ascoltare le vostre riflessioni. In queste parole sento passione e speranza, desiderio di giustizia, ricerca di verità.

(… omissis)

Lovanio Papa Francesco parla agli studenti

Pensare all’ecologia umana ci porta a toccare una tematica che sta a cuore a voi e prima ancora a me e ai miei Predecessori: il ruolo della donna nella Chiesa. Mi piace quello che tu hai detto. Pesano qui violenze e ingiustizie, insieme a pregiudizi ideologici. Perciò bisogna ritrovare il punto di partenza: chi è la donna e chi è la Chiesa. La Chiesa è donna, non è “il” Chiesa, è “la” Chiesa, è la sposa. La Chiesa è il popolo di Dio, non un’azienda multinazionale. La donna, nel popolo di Dio, è figlia, sorella, madre. Come io sono figlio, fratello, padre. Queste sono le relazioni, che esprimono il nostro essere a immagine di Dio, uomo e donna, insieme, non separatamente! Infatti le donne e gli uomini sono persone, non individui; sono chiamati fin dal “principio” ad amare ed essere amati. Una vocazione che è missione. E da qui viene il loro ruolo nella società e nella Chiesa (cfr S. Giovanni Paolo II, Lett. ap. Mulieris dignitatem, 1).

Sedes Sapientiae
Simbolo Università Cattolica Lovanio
Ciò che è caratteristico della donna, ciò che è femminile, non viene sancito dal consenso o dalle ideologie. E la dignità è assicurata da una legge originaria, non scritta sulla carta, ma nella carne. La dignità è un bene inestimabile, una qualità originaria, che nessuna legge umana può dare o togliere. A partire da questa dignità, comune e condivisa, la cultura cristiana elabora sempre nuovamente, nei diversi contesti, la missione e la vita dell’uomo e della donna e il loro reciproco essere per l’altro, nella comunione. Non l’uno contro l’altro, questo sarebbe femminismo o maschilismo, e non in opposte rivendicazioni, ma l’uomo per la donna e la donna per l’uomo, insieme.

Ricordiamo che la donna si trova al cuore dell’evento salvifico. È dal “sì” di Maria che Dio in persona viene nel mondo. Donna è accoglienza feconda, cura, dedizione vitale. Per questo è più importante la donna dell’uomo, ma è brutto quando la donna vuol fare l’uomo: no, è donna, e questo è “pesante”, è importante. Apriamo gli occhi sui tanti esempi quotidiani di amore, dall’amicizia al lavoro, dallo studio alla responsabilità sociale ed ecclesiale, dalla sponsalità alla maternità, alla verginità per il Regno di Dio e per il servizio. Non dimentichiamo, lo ripeto: la Chiesa è donna, non è maschio, è donna. (…)

Leggi qui tutto l’intervento del Papa

Nota del Crocevia

Il discorso del Papa, se è forse piaciuto alle autorità della Cattolica di Lovanio, non è piaciuto agli studenti. E così, poco dopo la fine della cerimonia, quando il Papa sta ancora salutando le persone che lo aspettavano fuori dell’ateneo, Louvain-la Neuve (La nuova Lovanio, organo degli studenti e di molti professori) pubblica un insolito comunicato, in cui si saluta Francesco ma si manifesta «incomprensione e disaccordo» riguardo la posizione espressa dal Papa sulla donna nella Chiesa e deplorando le sue «posizioni conservatrici» sul ruolo della donna nella società.

In particolare viene contestata questa frase di Francesco: «Donna è accoglienza feconda, cura, dedizione vitale». Per il documento si tratta di una posizione «deterministica e riduttiva» che respinge ribadendo il suo essere una Università «inclusiva (!) e impegnata nel combattere la violenza sessista e sessuale» e invitando la Chiesa ad intraprendere «lo stesso cammino, senza alcuna forma di discriminazione». La Chiesa deve prendere a modello l’Università di Lovanio. Si capisce bene quali siano le priorità di chi frequenta questa università caratterizzata dall’aggettivo “cattolica”.

Che quello in Belgio fosse un viaggio “difficile” si sapeva. Ma forse nessuno immaginava ad una reazione di questo genere da parte di una Università che si definisce Cattolica.

AREMBERG CAMPUS LIBRARY
KATHOLIEKE UNIVERSITEIT
LIEBEN, BELGIUM


 

 


giovedì 26 settembre 2024

IL SACRIFICIO DI FRANZ JÄGERSTÄTTER CHE SCUOTE LA COSCIENZA CRISTIANA

 Rodolfo Casadei

Il 9 agosto di 81 anni fa moriva il contadino che si ribellò al nazismo giudicandolo incompatibile con la sua fede cattolica. Un martirio in forza dell’amore vissuto come sposo e padre, segno di contraddizione nella Chiesa stessa

 


Una scena del film di Terrence Malick “La vita nascosta – Hidden Life” sulla storia di fede e amore di Franz Jägerstätter

Il 9 agosto di ottantuno anni fa moriva Franz Jägerstätter, decapitato in una prigione nei pressi di Berlino per essersi rifiutato di combattere nell’esercito del Terzo Reich. Il contadino e sacrestano austriaco che era andato consapevolmente incontro alla condanna a morte perché giudicava incompatibile la sua fede cristiana col nazismo e con la partecipazione alla guerra voluta da Hitler è stato beatificato dalla Chiesa cattolica nell’ottobre 2007.

Eppure per molti anni la sua eredità è stata considerata imbarazzante non solo dai suoi concittadini del villaggio di Sankt Radegund, ai confini con la Baviera, ma dalla stessa Chiesa cattolica austriaca, che ha cominciato a valorizzare senza riserve la sua testimonianza solo alla fine degli anni Settanta. Quale era il problema?

Perché la Chiesa cercò di dissuadere l’obiettore Jägerstätter

Il problema era che esaltare la scelta martiriale del contadino Franz sembrava implicare un giudizio negativo su tutti gli altri cristiani che invece avevano servito sotto le armi in epoca hitleriana e sulla stessa autorità ecclesiastica che non aveva affatto incoraggiato gli obiettori, al contrario: le autorità ecclesiastiche tacevano oppure cercavano di dissuadere gli obiettori come Jägerstätter. Persino il parroco di St. Radegund e l’allora vescovo di Linz, certamente in cuor loro antinazisti e non privi di ammirazione per la sua scelta, cercarono di fargli cambiare idea ricorrendo a due argomenti.

Il primo è che il cristiano è chiamato ad obbedire alle autorità civili e militari come gli altri cittadini, e che delle eventuali decisioni moralmente malvagie di quelle autorità non sono responsabili agli occhi di Dio i cittadini che obbediscono agli ordini superiori, ma solo coloro che li hanno impartiti. A sporcarsi le mani di sangue innocente che grida vendetta al cospetto di Dio non sarebbero coloro che compiono stragi, ma soltanto coloro che le hanno ordinate. Il secondo argomento consiste nelle responsabilità familiari che Jägerstätter in quanto sposo e padre di tre figlie (oltre che di una quarta nata prima e fuori del suo matrimonio con Franziska Schwaninger) aveva: questo genere di responsabilità avrebbero sempre la precedenza su altre chiamate alla testimonianza cristiana che si sostiene di avere ricevuto da Dio, inclusa la chiamata a effondere il proprio sangue a motivo della sequela di Cristo.

Il martirio di Jägerstätter e la nostra coscienza cristiana

Come si può notare, nonostante gli anni trascorsi e la grande virata ecclesiale che ha comportato la beatificazione di colui che fino a qualche decennio prima era considerato un caso limite da non enfatizzare, le questioni che la vita e la morte di Franz Jägerstätter pongono alla coscienza cristiana sono attualissime. Anche oggi esistono poteri politici anticristiani che chiedono ai cristiani sottomissione e collaborazione; non si tratta solo di poteri dittatoriali, ultranazionalisti o totalitari del tipo di quelli che prevalgono in Russia o in Cina, ma anche dei poteri espressione di un laicismo radicale e di un’ideologia progressista atea che pervadono sempre più le società caratterizzate dal sistema politico liberal-democratico nell’Europa occidentale e nel Nordamerica.

Anche oggi le autorità ecclesiali appaiono sballottate fra la responsabilità di rendere testimonianza integralmente alla verità di Cristo e l’opportunità di scendere a patti o di limitare al minimo le critiche aperte alle politiche contrarie al diritto naturale oltre che alla morale cristiana per non essere messe del tutto ai margini o spazzate via. Anche oggi i laici cristiani hanno familiari affidati alle loro cure e alla loro protezione, che possono essere invocati come impedimenti a forme di testimonianza cristiana che produrrebbero reazioni da parte delle autorità che renderebbero poi impossibile l’assolvimento dei doveri genitoriali e sponsali.

Il contadino non obiettò alla guerra, ma al Terzo Reich

Senz’altro Jägerstätter è e resta un segno di contraddizione per i tiepidi nella fede, per chi, come scrive per esempio Sergio Tanzarella, si culla nelle «illusioni di uno pseudo cristianesimo senza croce». Ma è anche colui che può aiutare tutti – coloro che appaiono disposti a rispondere a una chiamata che comporta un caro prezzo e coloro che ritengono di potere e dovere testimoniare in un modo che non implica l’effusione del sangue o la morte civile – a comprendere di cosa si tratta, a capire i termini della questione, prima delle decisioni sul “che cosa fare”.

Il contadino Franz non era affatto un fanatico assetato di martirio e intransigente con chi non aveva intenzione di imitarlo: alla prima chiamata al servizio militare, quando c’è speranza che non sarà mandato al fronte, presta il giuramento a Hitler in quanto capo ultimo delle forze armate; quando sarà processato, offre la sua disponibilità a prestare servizio senza armi in sanità; mantiene fino alla fine un ricco scambio epistolare con l’amico Rudolf, come lui terziario francescano, che aveva scelto di servire nell’esercito benché condividesse lo stesso giudizio di Jägerstätter sul nazismo e sulla guerra. Alterna giudizi di delusione e di comprensione nei riguardi delle autorità ecclesiastiche e del loro atteggiamento nei confronti della guerra. Alla fine non accetta le soluzioni di compromesso che gli vengono proposte perché tutte prevedono la sua sottomissione al nazismo e alle ragioni della guerra nazista: Jägerstätter non obietta al servizio militare come tale, ma a servire il Terzo Reich; non condanna la guerra in assoluto, ma quella dalla parte di Hitler.

«Dio concede la propria grazia a ciascuno come Egli vuole»

La profondità della coscienza cristiana del martire Franz, la lucidità della sua ragione illuminata dalla fede emergono nelle lettere che gli è concesso di scrivere dal carcere di Berlino. Nella più famosa troviamo tutto quello che serve per capire la sua posizione e un insegnamento che vale per tutti, fino ad oggi:

«Scrivo con le mani legate, ma è meglio così che se fosse incatenata la volontà (i condannati a morte restavano ammanettati fino all’esecuzione della sentenza – ndr). Talvolta Dio ci mostra apertamente la sua forza, che Egli dona agli uomini che lo amano e non preferiscono la terra al cielo. Né il carcere, né le catene e neppure la morte possono separare un uomo dall’amore di Dio e rubargli la fede e la sua libera volontà. La potenza di Dio è invincibile (…) C’è sempre chi tenta di opprimerti la coscienza ricordandoti la sposa e i figli. Forse le azioni che si compiono diventano giuste solo perché si è sposati e si hanno figli? O forse l’azione è migliore o peggiore solo perché la compiono anche altre migliaia di cattolici? (…) Cristo stesso non ha forse detto: “Chi ama la moglie, la madre e i figli più di me non è degno di me?”. Per quale motivo preghiamo Dio e chiediamo i sette doni dello Spirito Santo, se dobbiamo comunque prestare in ogni caso cieca obbedienza? A che pro Dio ha fornito agli uomini un intelletto e una libera volontà se non ci è neppure concesso, come alcuni dicono, di giudicare se questa guerra che la Germania sta conducendo sia giusta o ingiusta? A che serve allora saper distinguere tra bene e male? Io credo che si possa anche prestare cieca obbedienza, ma solo se così facendo non si danneggia nessuno. Se al giorno d’oggi gli uomini fossero un po’ più sinceri ci dovrebbe essere, credo, anche qualche cattolico che dice: “Sì, mi rendo conto che quello che stiamo compiendo non è bene, tuttavia non mi sento ancora pronto a morire”. Se Dio non mi avesse dato la grazia e la forza di morire, se necessario, per difendere la mia fede, forse farei semplicemente ciò che fa la maggior parte della gente. Dio può, infatti, concedere la propria grazia a ciascuno come Egli vuole. Se altri avessero avuto le molte grazie che ho ricevuto io, forse avrebbe fatto cose molto migliori di me».

La colpa della «trascuratezza verso il mio stesso essere»

Franz spazza via l’argomento che strumentalizza le parole di Gesù sul “dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”, e implicitamente anche quello che si appella alla “coscienza in buona fede” di chi è andato a combattere nell’esercito del Terzo Reich. All’essere umano è data la ragione di un soggetto morale la cui coscienza è capace di distinguere il bene dal male, e in quanto integrata alla sua persona essa non può che “funzionare” sempre: non esiste proprio che non debba essere esercitata davanti alle richieste e alle decisioni dell’autorità civile. La voce della coscienza, come spiegherà poi la Gaudium et Spes (nn. 16-18), parla sempre, e se la singola persona non ode correttamente ciò che essa gli dice, dipende da una trascuratezza del proprio essere che l’ha resa sorda.

Chi sostenesse che la coscienza lo legittima a combattere per Hitler, dimostrerebbe semplicemente che non ha avuto cura della propria formazione morale. Lo spiegherà l’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede Joseph Ratzinger in un testo sul rapporto fra coscienza e verità pubblicato per la prima volta nel 1992 e riproposto in italiano in Liberare la libertà. Fede e politica nel Terzo Millennio: «Non è mai una colpa seguire le convinzioni che ci si è formate, anzi uno deve seguirle. Ma non di meno può essere una colpa che uno sia arrivato a formarsi convinzioni tanto sbagliate e che abbia calpestato la repulsione verso di esse, che avverte la memoria del suo essere. La colpa quindi si trova altrove, più in profondità: non nell’atto del momento, non nel presente giudizio della coscienza, ma in quella trascuratezza verso il mio stesso essere, che mi ha reso sordo alla voce della verità e ai suoi suggerimenti interiori. Per questo motivo, anche i criminali che agiscono con convinzione rimangono colpevoli». (p. 107)

Il matrimonio non è ostacolo ma forza decisiva al martirio

Se però sulla nettezza del giudizio che distingue fra il bene e il male non si può mai transigere, il discorso cambia quando si tratta della decisione esistenziale: non a tutti è data la forza morale indispensabile a sacrificare la propria vita. Franz Jägerstätter dichiara apertamente che la determinazione che lo spinge al patibolo per Cristo non viene da lui stesso, ma da Dio, da un dono di grazia. Parla anzi di grazie, al plurale. E qui va sciolto anche il nodo relativo alle responsabilità familiari. In questo caso occorre leggere al di là dell’impeccabile citazione dal Vangelo secondo Matteo sulla necessità di amare Cristo più dei propri familiari. Nella realtà documentata della vita del contadino di Sankt Radegund il matrimonio e la famiglia non sono un ostacolo al sacrificio della vita per Cristo, ma una forza propulsiva decisiva a questo fine.

È in forza del bene sperimentato nella comunione sponsale e nella paternità vissuta nel rapporto con le tre figlie bambine che Franz matura una gratitudine per i doni di Dio che è anche grazia che rende possibile la coerenza di fede fino all’effusione del sangue. Lo ha illustrato in modo esteticamente perfetto Terrence Malick nel noto film La vita nascosta – Hidden Life, lo racconterà la mostra dal titolo “Franz e Franziska, non c’è amore più grande” al Meeting di Rimini che apre il 20 agosto.

Franz Jägerstätter muore in pace con tutti, perdonando tutti e a tutti chiedendo perdono, perché è consapevole che solo chi fa una grande esperienza di bene risultato dei doni di grazia che gli fa Dio è propenso ad amare Cristo fino a sacrificare la vita per Lui. Chi ancora non ha ricevuto quelle grazie può chiederle nella preghiera, magari attraverso l’intercessione di Franz e degli altri martiri come lui.

Nel frattempo può almeno provare ad essere onesto con la propria coscienza e a dare il giusto valore alla testimonianza dei martiri.


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Le immagini sono tratte dal film di Terence Malik

 

martedì 24 settembre 2024

MELONI:NAZIONE E PATRIOTTISMO

IL DISCORSO INTEGRALE CHE LA PREMIER GIORGIA MELONI HA TENUTO A NEW YORK RITIRANDO IL "GLOBAL CITIZEN AWARD 2024" DELL'ATLANTIC COUNCIL.


Buonasera a tutti, e grazie per avermi ospitato. La mia più profonda gratitudine va al Presidente John Rogers, al Presidente Frederick Kempe e a tutto l’Atlantic Council per questo illustre riconoscimento di cui sono molto orgogliosa. E ringrazio Elon per le belle parole che ha avuto per me e per il suo prezioso genio per l'epoca in cui viviamo.

GIORGIA MELONI AL GLOBAL CITIZEN AWARD 2024

Ho riflettuto molto su come presentare il discorso di questa sera. Inizialmente ho pensato di sottolineare l'orgoglio che provo tutt’ora per essere la prima donna a ricoprire la carica di Primo Ministro in una Nazione straordinaria come l'Italia.
Oppure del lavoro che il Governo italiano sta facendo per riformare il Paese e renderlo nuovamente protagonista nello scacchiere geopolitico.

Avrei potuto parlare dell’inscindibile legame che unisce Italia e Stati Uniti, indipendentemente dalle convinzioni politiche dei rispettivi governi; un legame qui testimoniato dai molti amici di origine italiana, esponenti di una Comunità che da generazioni contribuisce a rendere più forte l’America.

O avrei potuto parlare di politica estera, in un tempo dominato dal caos nel quale l’Italia, con fermezza, è schierata accanto a chi difende la propria libertà e la propria sovranità non solo perché è giusto farlo, ma anche perché è nell’interesse dell’Italia e dell’Occidente impedire un futuro nel quale prevalga la legge del più forte.

Come politico, hai fondamentalmente due opzioni: essere un leader o un follower, indicare una rotta o meno, agire per il bene del proprio popolo o agire solo guidati dai sondaggi. La mia ambizione è quella di guidare, non di seguire.  Questa sera, in ogni caso, voglio offrirvi una prospettiva diversa.

Vorrei iniziare citando un editoriale recentemente pubblicato nell'edizione europea di Politico. L'analisi in questione si è concentrata su “Meloni’s Western nationalism”. L’autore, Dr. Constantini, sostiene che il mio credo politico sia “in quello che potrebbe essere definito un ‘nazionalismo occidentale’”. Un pensiero che, nel suo cuore, incarna la sopravvivenza e rinascimento della civiltà occidentale che, secondo Dr. Constantini, è “nuovo sulla scena europea”.

Non so se nazionalismo sia la parola corretta, perché spesso richiama dottrine di aggressione o di autoritarismo. So, però, che non dobbiamo vergognarci di usare e difendere parole e concetti come Nazione e Patriottismo, perché significano più di un luogo fisico; significano uno stato d'animo a cui si appartiene condividendo cultura, tradizioni e valori.

Quando vediamo la nostra bandiera, se ci sentiamo orgogliosi, significa che sentiamo l'orgoglio di far parte di una comunità e che siamo pronti a fare la nostra parte per migliorarne le sorti.

Per me, l’Occidente è più di un luogo fisico. Con la parola occidente noi non definiamo semplicemente i Paesi che hanno una specifica ubicazione geografica, ma una civiltà costruita nei secoli con il genio e i sacrifici di moltissimi.
L’Occidente è un sistema di valori in cui la persona è centrale, gli uomini e le donne sono uguali e liberi, e quindi i sistemi sono democratici, la vita è sacra, lo stato è laico e basato sullo stato di diritto.
Vi chiedo e mi chiedo: sono valori dei quali dovremmo vergognarci? Sono valori che ci allontanano dagli altri o che ci avvicinano agli altri?

Come l’Occidente, penso che abbiamo due rischi da contrastare. Il primo è quello che uno dei massimi filosofi europei contemporanei, Roger Scruton, definiva oicofobia, dal greco oikos, casa, e fobia, paura. (Kyriakos, questo è il mio personale tributo al tuo premio di stasera). Oicofobia significa l’avversione verso la propria casa. Un disprezzo montante, che ci porta a voler brutalmente cancellare i simboli della nostra civiltà, negli Stati Uniti come in Europa.
Il secondo rischio è il paradosso per cui, se da un lato l'Occidente si guarda dall'alto in basso, dall'altro pretende spesso di essere superiore agli altri.

Il risultato? Il risultato è che l’Occidente rischia di diventare un interlocutore meno credibile. Il cosiddetto Sud Globale chiede maggiore influenza. Nazioni non più soltanto emergenti ma ormai largamente affermate collaborano autonomamente tra loro. Le autocrazie guadagnano terreno sulle democrazie, e noi rischiamo di sembrare sempre più una fortezza chiusa e autoreferenziale.
In Italia, per invertire questa rotta, abbiamo deciso di lanciare il Piano Mattei per l’Africa, per esempio, un modello di cooperazione su base paritaria per costruire un nuovo partenariato a lungo termine con i Paesi africani. Perché, sì, le crisi si moltiplicano nel mondo, ma ogni crisi nasconde anche un'opportunità, in quanto richiede di mettersi in discussione e di agire.

Dobbiamo soprattutto recuperare la consapevolezza di quello che siamo. Come popoli occidentali, abbiamo il dovere di mantenere questa promessa e di cercare la risposta ai problemi del futuro avendo fiducia nei nostri valori: una sintesi nata dall’incontro tra la filosofia greca, il diritto romano e l’umanesimo cristiano
Insomma, come diceva il mio professore di inglese, Michael Jackson, “I'm starting with the man in the mirror, I’m asking him to change his ways” (conosciamo la canzone). Dobbiamo iniziare da noi stessi, conoscere chi siamo veramente e rispettarlo, in modo da poter comprendere e rispettare anche gli altri.

Esiste una narrativa a cui i regimi autoritari tengono molto. Si tratta dell'idea dell'inevitabile declino dell'Occidente, dell'idea che le democrazie non riescano a dare risultati. Un esercito di troll e bot stranieri e maligni è impegnato a manipolare la realtà e a sfruttare le nostre contraddizioniMa ai fan dell'autoritarismo, lasciatemi dire molto chiaramente che difenderemo i nostri valori. Lo faremo.
Il Presidente Reagan una volta disse: “Soprattutto, dobbiamo renderci conto che nessun arsenale, o nessuna arma nell'arsenale del mondo, è così formidabile quanto la volontà e il coraggio morale degli uomini e delle donne liberi. È un'arma che i nostri avversari nel mondo di oggi non hanno”.
Non potrei essere più d'accordo. La nostra libertà e i nostri valori, e l'orgoglio che proviamo per essi, sono le armi che i nostri avversari temono di più. Non possiamo quindi rinunciare alla forza della nostra identità, perché sarebbe il miglior regalo che possiamo fare ai regimi autoritari.
Quindi, in fin dei conti, il patriottismo è la migliore risposta al declinismo.

Difendere le nostre radici profonde è la precondizione per raccogliere frutti maturi. Imparare dai nostri errori del passato è la precondizione per essere migliori nel futuro.
Vorrei citare anche Giuseppe Prezzolini, forse il più grande intellettuale conservatore nell’Italia del Novecento: diceva che “chi sa conservare non ha paura del futuro, perché ha imparato le lezioni del passato”.
Noi sappiamo come affrontare le impossibili sfide che quest’epoca ci mette di fronte solo quando impariamo dalle lezioni del passato. Difendiamo l’Ucraina perché abbiamo conosciuto il caos di un mondo nel quale prevale la legge del più forte. Combattiamo i trafficanti di esseri umani perché ricordiamo che secoli fa abbiamo combattuto per abolire la schiavitù. Difendiamo la natura e l’umanità, perché sappiamo che senza l’opera responsabile dell’uomo non è possibile costruire un futuro più sostenibile.
Tentiamo, mentre sviluppiamo l’intelligenza artificiale, di governarne i rischi perché abbiamo combattuto per essere liberi e non intendiamo barattare la nostra libertà in cambio di maggiore comodità. Noi sappiamo leggere questi fenomeni perché la nostra civiltà ci ha regalato gli strumenti per farlo.
Il tempo nel quale viviamo ci impone di scegliere cosa vogliamo essere e quale strada vogliamo percorrere. Possiamo continuare ad alimentare l’idea del declino dell’Occidente, arrendendoci all’idea che la nostra civiltà non abbia più nulla da dire, né rotte da tracciare. Oppure possiamo ricordarci chi siamo, imparare anche dai nostri errori, aggiungere il nostro pezzo di racconto a questo straordinario percorso, e governare quello che accade intorno a noi, per lasciare ai nostri figli un mondo migliore. Il che è esattamente la mia scelta. E mi piace pensare che il motivo per cui mi avete scelto per questo illustre premio è che condividete questa scelta.

Vi ringrazio.

 

domenica 22 settembre 2024

DONARE E’ GIA’ CAMBIARE IL MONDO: FRATERNITA’ E MISSIONE, LO SGUARDO DELLA FEDE SUL MONDO

 
INCONTRO “ORIZZONTI” DEL 22.08.24 PARTE SECONDA

LA FRATERNITA’ SACERDOTALE DEI MISSIONARI DI SAN CARLO BORROMEO

Arturo Alberti “Nonostante la differenza culturale e le barriere linguistiche i dialoghi tra noi si fanno ogni settimana più intensi. Abbiamo discusso per mesi dei 10 comandamenti ed ora siamo passati alle Beatitudini” (Fraternità e Missione di Agosto 24)

SUOR ELEONORA CERESOLI ( FRATERNITA’ SAN CARLO)    KENYA

Suor Eleonora
Sono in Kenya da 2 anni e mi occupo di un gruppo di mamme con bambini disabili chiamato UJACHILIE, che è la traduzione in Swahili della canzone di Chieffo “Lasciati fare”. Ci incontriamo al mattino con le mamme dei bambini con vari gradi di disabilità, alcuni anche molto gravi. Prima diciamo il Rosario in chiesa, poi facciamo un po’ di canti per creare un clima di amicizia, e poi ci dividiamo. Due delle mie consorelle insieme a dei volontari si prendono cura dei bambini e li fanno giocare, alcuni hanno bisogno di essere tenuti in braccio perché non hanno mobilità.

Io invece sto con le mamme, e sono momenti molto belli e veri, con persone nuove ogni volta perché le mamme si invitano tra loro, superando così lo stigma che a Nairobi è ancora molto presente riguardo alla disabilità, vista come una maledizione di Dio (di solito i bambini vengono tenuti nascosti dentro le case). Invece adesso si dice che c’è un posto dove i bambini possono essere visti, e così cominciano a venire con i loro bambini avvolti in lenzuoli sopra le spalle, e piano piano li scoprono, non hanno più vergogna a farli vedere in giro.

Con queste mamme tocchiamo molti temi. Quasi nessuna di loro è cattolica, molte sono protestanti o di varie sette, per cui ho deciso di iniziare dai 10 Comandamenti. Sono emerse tantissime domande, sia sul rapporto coniugale - quasi tutte sono state abbandonate dai loro uomini nel momento in cui è stata scoperta la disabilità dei figli - oppure sul tema dell’aborto (anche se molte di loro sono donne coraggiose che hanno tenuto i loro figli, solo alcune l’hanno scoperto dopo la nascita).

Io parlo in inglese, sono anche studentessa di seconda elementare, nel senso che vado con i bambini, siedo con i bambini, imparo lo swahili, però intanto parlo in inglese, e dunque i bambini si devono tradurre a vicenda per sapere cosa sto dicendo… però dalle domande che ricevo capisco che qualcosa stanno capendo.

L’altra cosa bella è che con il nostro ospedaletto di quartiere riusciamo a offrire cure, speech therapy, una diagnosi fatta bene (molto rara tra loro) e i medicinali adeguati. Anche grazie a Orizzonti noi possiamo coprire spese anche importanti di mamme che vengono spesso da quartieri molto poveri, e quindi grazie, grazie, grazie.

 

CARLO QUATTRI SEMINARISTA della  FRATERNITA’ SAN CARLO  

Carlo Quattri

Sono appena tornato da un anno di missione a Città del Messico e devo dire che la cosa più bella del Messico, di per sé bellissimo, è il popolo messicano, e la semplicità della sua fede. Ho visto tante persone tornare alla fede dopo molto tempo (il Messico ha una forte tradizione cattolica ma ha avuto tanti problemi politici che lo hanno reso un paese dalle istituzioni fortemente anticlericali). In Messico si vive un forte contrasto, sono tutti guadalupani [devoti alla Madonna di Guadalupe, immagine miracolosa fondante dell’identità messicana], ma al contempo le istituzioni sono completamente anticlericali. Poi vedi in tutte le auto crocifissi e rosari, immagini della Vergine… Io direi che l’identità del messicano ha a che fare con la Vergine di Guadalupe perché di fatto il Messico è nato 10 anni prima che la Vergine apparisse [1531].

Per esemplificare quello che intendo per semplicità vi racconterò una storia. A novembre il parroco, Davide, mi chiede di preparare ai sacramenti una signora che per vent’anni è stata con i Testimoni di Geova (lì sono molto forti, insieme a varie sette Protestanti). Battezzata, come il 96% dei messicani, in un momento di crisi si presenta alla porta della parrocchia, sapendo che i sacerdoti sono sempre pronti ad ascoltare. Davide le propone di partecipare alla Scuola di Comunità della parrocchia, e lei, dopo un po’, esprime il desiderio di ricevere i Sacramenti per vivere più compiutamente l’esperienza di fede che riconosce in quelli che incontra tutte le settimane. Io inizio a seguirla con il catechismo e dopo due mesi si presenta anche la figlia, Daniela, vent’anni. “Io vedo sempre che la mamma torna a casa contenta e voglio scoprire perché”. Così anche la figlia comincia a seguire il catechismo e dopo qualche mese esprime anch’essa il desiderio dei sacramenti. Allo scopo di farle fare una esperienza più forte la invito a seguire anche il gruppo del CLU, anche perché la ragazza, a seguito del covid, si era isolata da amici e coetanei. Passano altri mesi e la ragazza afferma di aver trovato finalmente la casa che cercava da tanto tempo (come tanti altri giovani, questa ragazza era stata abbandonata dal padre da piccola e il padre, anche se cercato, si era sempre rifiutato di rivederla). Da allora la ragazza ha continuato a coinvolgersi in rapporti ed iniziative come la caritativa, ed è divenuta punto di riferimento anche per i più giovani.

Un’altra storia riguarda la signora che ci fa le pulizie in casa, proveniente da una situazione di indigenza, battezzata ma lontana dalla Chiesa, convivente con un uomo senza essere sposata. Negli anni ’90, in occasione di un viaggio di Giovanni Paolo II in Messico, le dicono che lui sarebbe passato vicino a casa loro. Le grandi autostrade a 5 corsie che attraversano la megalopoli erano tutte bloccate nell’attesa del passaggio del pontefice, per consentire alla gente di vederlo. Quando passa il papa la donna, insieme agli astanti, sente il bisogno fisico di inginocchiarsi. Per me è stato immediato ricordare i passi del Vangelo in cui la gente che incontrava Gesù si sentiva travolta da una forza irresistibile.

Per concludere vorrei dire che si vede che il Signore agisce in Messico attraverso persone piccole e semplici per continuare una storia di popolo che accoglie tanti. Il bisogno lì è grande, molte famiglie sono disastrate, e la comunità, la parrocchia, sono la possibilità concreta per tutti di trovare una casa. E questo è vero anche per me.

Arturo Alberti Tanti anni fa facemmo un convegno intitolato “Presenza cristiana e sviluppo”. Trenta anni dopo facemmo un altro convegno intitolato “Presenza cristiana è sviluppo”. Piccola ma significativa differenza.

ALESSANDRO MILANESI    SEMINARISTA FRATERNITA’ SAN CARLO

Dopo un anno di missione a Madrid (dove padre Anas ha trascorso quindici anni della sua vita) mi chiedevo: Si può chiamare missione se si sta in Europa, Spagna, Madrid, la città più ricca di Spagna?

Arrivato in Spagna mi sono chiesto cosa porta un missionario cristiano: porta la presenza della Chiesa e quindi porta la cosa più importante che c’è, Cristo.

Alessandro Milanesi
 Madrid ha tutto, gli spagnoli vivono bene e se la godono (forse come i romagnoli), non come noi a Milano che siamo molto più stressati, però è povera della cosa più importante, la fede, Cristo.

Anch’io posso raccontare una storia che illustra bene come anche noi europei aspettiamo Cristo. Ho conosciuto una ragazza a febbraio di quest’anno, che ho incontrato affranta in chiesa. Dopo quattro anni di fidanzamento il suo ragazzo si era tolto la vita davanti a lei, era disperata. Io rimango senza parole, profondamente scandalizzato dalla violenza che questa donna ha vissuto. La ragazza non frequentava una chiesa da dieci anni, e conduceva una vita senza senso. Nei mesi siamo diventati amici ed ho iniziato ad invitarla a venire in parrocchia e a Scuola di Comunità. Questo suo dolore è paradigmatico anche del vuoto di tanti ragazzi europei che hanno tutto ma non hanno niente, e un dolore come questo può risvegliare una domanda di senso che è lì come assopita. Ho visto come la mia presenza e quella degli altri amici cristiani ha letteralmente resuscitato questa ragazza. Dopo sei mesi posso assicurare che quel volto dapprima trasfigurato dal dolore era un volto letteralmente rinato, lieto, seppure ancora addolorato per il trauma subito. Ho visto come Cristo attraverso i (missionari) cristiani arriva a risanare i cuori e a risuscitare le persone, non solo in Africa o in Sud America.

Arturo Alberti (Orizzonti)

Arturo Alberti

Siamo qui perché, come dice Giussani, è giusto riconoscere la vita che c’è, e riconoscersi, anche in luoghi così diversi. Abbiamo in comune la passione che Cristo sia annunciato e sia un’occasione di salvezza per le persone che incontriamo. Il soggetto che noi amiamo è la Chiesa, e per questo continueremo a incontrarci.

Le nostre opere possono essere giudicate piccole gocce in un oceano di male e di violenza,ma siamo sicuri che sono segni di un mondo nuovo che alla fine sconfiggerà l’inimicizia tra gli uomini.

Quando chiediamo agli amici di partecipare a questo cammino mettendo in gioco liberamente ciò che ognuno può fare, desideriamo superare assieme lo scoraggiamento,la sensazione di impotenza e il fatalismo, per offrire una ragione della speranza che ci muove e “che non delude”,come dice il motto scelto per il Giubileo 2025.

 

venerdì 20 settembre 2024

SI PUÒ DIRE “PACE A VOI” ANCHE QUANDO C’È UNA GUERRA?

 

SI PUÒ DIRE “PACE A VOI” ANCHE QUANDO C’È UNA GUERRA?

COSÌ ATTORNO A UN MOSAICO E A UNA SUA RIPROPOSIZIONE CONTEMPORANEA A BETLEMME SONO NATI UN’ASSOCIAZIONE E UN MOVIMENTO DI POPOLO CHE STANNO RIDANDO SPERANZA ALLE COMUNITÀ CRISTIANE PALESTINESI E PROIETTANDO LUCE SU TUTTE LE POPOLAZIONI DELLA TERRA SANTA

Rodolfo Casadei

 Tempi 27 agosto 24 

Il mosaico ritrovato della Basilica di Betlemme
In uno dei transetti della Basilica della Natività a Betlemme, fra i 130 metri quadrati di mosaici parietali recuperati sui 2.000 originari grazie a un prodigioso lavoro di restauro tutto italiano, ce n’è uno che ritrae la seconda apparizione di Gesù nel cenacolo, quella in cui
l’apostolo Tommaso mette la mano nella ferita del costato. Gli apostoli mostrano espressioni fra il triste e lo spaventato. Nessuno di loro appare aureolato. Tuttavia l’ingresso della porta sprangata che Cristo ha attraversato è sormontata dalla scritta “Pax Vobis”, che è la traduzione latina del saluto che Gesù rivolge agli apostoli ogni volta che appare loro dopo la resurrezione.

Il mosaico di Betlemme e il quadro di Vignazia

Il mosaico infatti è stato realizzato a metà del XII secolo, al tempo del regno crociato di Gerusalemme, commissionato dall’imperatore di Bisanzio Manuele Comneno, dal re di Gerusalemme Amalrico I e dal vescovo latino di Betlemme Raoul. Come tutti gli altri, dopo secoli di degrado, trascuratezza e danneggiamenti, è tornato visibile grazie al certosino lavoro di restauro condotto fra il 2013 e il 2020 dalla ditta Piacenti, grazie a finanziamenti provenienti soprattutto da Italia, Francia, Ungheria, Santa Sede, Russia, Spagna, Grecia, Polonia e Autorità nazionale palestinese. Ebbene, durante la Quaresima del 2024 attorno a questo mosaico e a una sua riproposizione in chiave contemporanea in un dipinto dell’artista forlivese Franco Vignazia è nato un movimento di popolo, un apostolato, un’associazione che è piuttosto un’opera, che stanno ridando speranza alle comunità cristiane palestinesi e proiettando luce su tutte le popolazioni della Terra Santa.


Vignazia "Pax Vobis"

Quei cristiani palestinesi terrorizzati

La storia comincia nel febbraio scorso, quando Ettore Soranzo, ingegnere che al servizio della Custodia di Terra Santa ha trascorso 22 anni della sua vita fra Nazareth, Gerusalemme e Betlemme, decide di tornare sul posto per rincuorare gli amici cristiani palestinesi terrorizzati da tutto quello che sta succedendo a seguito dei fatti del 7 ottobre 2023. La coraggiosa e benintenzionata missione non si conclude nel migliore dei modi: «Non sono riuscito a dire praticamente nulla. Ero tramortito dal loro dolore e dalla loro paura. Li ho ascoltati con partecipazione, ma non ho potuto offrire loro una speranza», racconta Soranzo. «Mi sono confrontato con l’amico Enrico Tiozzo, che non era per nulla rassegnato al mio mutismo: ‘‘Devi dirgli quello che il loro cuore attende e desidera. Devi dirgli ‘donna, non piangere’’’. Niente da fare. Ero bloccato».

Tiozzo è il fondatore della rete nazionale di realtà sociali Santa Caterina da Siena e di un’omonima confraternita, che operano anche in Terra Santa con vari progetti. Al ritorno di Soranzo i due fanno insieme memoria di quello che hanno contemplato nella Basilica della Natività restaurata. Nel mosaico con Tommaso e la scritta Pax Vobis scoprono il segno che rinnova la speranza in chi lo guardi con gli occhi della fede. Chiedono all’amico pittore Vignazia di dipingere un Gesù che entra nel cenacolo e incontra apostoli e discepoli che hanno il volto dei loro amici cristiani betlemiti: Hiba, Wafa, Suzy, Lina, Jeries, ecc.

“Pace a voi!”

Dal quadro ricavano 300 stampe double face 60 cm per 20, recanti sotto all’immagine il testo in italiano e in inglese di Giovanni 20, 19-23: «La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: ‘‘Pace a voi!’’. Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono a vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: ‘‘Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi’’. Detto questo soffiò e disse loro: ‘‘Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati, a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati’’».

La stampa col Vangelo di Giovanni

È il brano che precede quello dell’incontro con Tommaso. «L’analogia fra la paura e la tristezza degli apostoli ritratti nel mosaico, timorosi della reazione dei Giudei, e la condizione odierna dei cristiani betlemiti balza agli occhi», spiega Tiozzo. «Ma Gesù dice: ‘‘Pace a voi!’’. Questo significa che è possibile vivere nella pace anche nel mezzo di una guerra. Anzi: Cristo ci chiede di uscire e di perdonare, ci chiede di portare la sua pace a tutti!».

«Dovevamo raccontarlo a tutta la Palestina»

Nel mese di marzo, mentre il conflitto a Gaza infuria, i due italiani scendono nuovamente e portano in dono agli amici di Betlemme i 300 poster. Quello che segue è al di là di ogni immaginazione. Jeries è un alto dirigente del ministero del Turismo e dell’Archeologia dell’Autorità nazionale palestinese:

«I nostri amici italiani sono venuti con un grande dono: ci hanno aperto gli occhi su una cosa che credevamo di conoscere e che invece non avevamo capito. Ci hanno fatto ricordare che Gesù dà la pace, che dopo il buio torna la luce, che Cristo dice ‘‘pace a voi’’ anche quando c’è una guerra. Hanno fatto rinascere il coraggio in noi. Il loro coraggio che ci ha aperto gli occhi sul messaggio di Dio ci ha messi in movimento: la storia non doveva finire lì, dovevamo raccontarla in tutta la Palestina, anzi dovevamo raccontarla in tutto il mondo! Abbiamo voluto incontrare gli scout (che sono la più grande realtà organizzativa della società civile nel mondo palestinese, e Jeries è presidente degli scout di Beit Sahour – ndr), gli studenti delle scuole e quelli universitari, gli anziani delle case di riposo.

A tutti abbiamo voluto annunciare che la pace era già e sarà ancora con noi! Quest’anno a causa della guerra la Chiesa greco-ortodossa, di cui faccio parte, non ha festeggiato come si fa di solito la Pasqua; si è deciso di fare, oltre al momento liturgico, solo una serata di canti. Io dovevo introdurre il concerto, c’erano mille persone presenti e altre 50 mila in collegamento. Ho colto l’occasione per proporre a tutti il messaggio del mosaico della Basilica della Natività. Poi io stesso ho scritto un libretto in arabo da distribuire a tutte le associazioni».

La sparatoria e la pace

Wafa, moglie di Jeries, è assistente sociale presso il Caritas Baby Hospital di Betlemme e ora è anche la presidente di Living Stones, l’associazione che si è formata in conseguenza degli incontri di diffusione del messaggio del mosaico della basilica e del dipinto di Franco Vignazia.

«Prima di vedere e ricevere in dono le riproduzioni del quadro di Franco eravamo terrorizzati, molti di noi volevano emigrare, avevamo paura per i nostri figli (Wafa ha tre figlie – ndr). Dopo aver ascoltato Ettore ed Enrico abbiamo deciso di uscire a portare la luce agli altri, a condividere la storia che ci era stata raccontata. Abbiamo sfruttato un progetto già in essere finanziato da Regione Emilia-Romagna, Pro Terra Sancta e Confraternita Santa Caterina per stampare centinaia di grandi cartoline che riproducono per un verso il mosaico della Basilica della Natività, e per l’altro il quadro di Franco Vignazia. Le abbiamo distribuite nel corso dei nostri incontri con gli scout, gli ospiti delle case di riposo, gli studenti delle scuole e dell’università di Betlemme. Sono successe cose bellissime. La sera stessa di una presentazione agli scout più piccoli c’è stata una sparatoria. Il giorno dopo ho incontrato una ragazzina della serata che mi ha detto: ‘‘Wafa, ieri sera quando hanno cominciato a sparare io tenevo stretti fra le mani un’immagine di Gesù e un rosario, e intanto pensavo alle parole che tu ci avevi detto sulla pace di Cristo. La mia paura se n’è andata ed ero contenta!’’. All’ospizio Sant’Antonio c’era un omone che ci guardava in modo ostile per tutto il tempo della presentazione. Alla fine mi ha chiesto di avvicinarmi, e io con un po’ di timore mi sono approssimata a lui. ‘‘Io non sono veramente credente’’, mi ha detto, ‘‘ma dopo quello che ci hai raccontato oggi e conoscendo quello che state facendo devo un po’ ripensarci’’. La direttrice mi ha detto: ‘‘Non avevo mai visto i nostri anziani così attenti, e in particolare quel signore che ha voluto parlare con te: lui non dà mai retta a nessuno!’’».

Pietre vive

Ricaduta dell’apostolato del ‘‘Pace a voi!’’ è anche un elaborato di studenti di archeologia dell’Università di Betlemme sul monachesimo. Racconta Wafa: «Insieme a Daniela Massari, docente dell’università, abbiamo invitato una decina di studenti universitari di villaggi intorno a Betlemme, quasi tutti musulmani, a visitare il mosaico dentro alla basilica, spiegando il suo significato nello stesso modo in cui lo facevamo con tutti. Loro che hanno competenze strettamente storiche e archeologiche hanno cominciato a fare domande sulla persona di Gesù e su cosa fossero i monaci, perché Daniela li aveva portati a visitare i resti di un antico monastero nella zona del Campo della Stella. Alla fine si è deciso che facessero un elaborato audiovisuale sul monachesimo. Per facilitare la comunicazione si sono create due figure virtuali, quella del monaco Elias e quella del bambino Majd che gli fa tante domande». L’elaborato è diventato un podcast (in arabo, naturalmente) che si può ascoltare su Spotify.

«Tutti i progetti finiscono, ma questa cosa che stiamo facendo è più di un progetto e non deve finire», conclude Wafa. «Per questo abbiamo creato l’associazione Living Stones, che è stata ufficialmente riconosciuta e registrata dall’Autorità nazionale palestinese (fatto decisamente inusuale – ndr). Ma siamo molto più di un’associazione, siamo un’opera che intende rispondere alla sete di speranza e di parola di Dio che è in ogni essere umano. Che intende ricordare ai cristiani di Terra Santa che qui sono le loro radici e qui devono restare. Perché i pellegrini possano incontrare non solo le pietre dei luoghi santi, ma le pietre viventi che siamo noi cristiani di Terra Santa. Grazie all’aiuto dei nostri amici».

L'associazione LIVING STONES a Rimini
http://www.gelminipopoliterrasanta.org/2024/05/14/living-stones-di-betlemme-a-rimini/