sabato 14 settembre 2024

11 SETTEMBRE WE’LL NEVER FORGET

Ero un giovane prete di New York l'11 settembre. Le lezioni di quel giorno sono rimaste con me come vescovo.

Vescovo Kevin Sweeney  11 settembre 2024

 


«Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,12-13).

Ti ricordi il nome Todd Beamer, la sua frase, "Let's roll" e la storia del volo 93? Hai sentito il nome Welles Crowther e la storia della sua bandana rossa? Forse hai una tua storia più personale dell'11 settembre 2001, che ricordi e condividi? Ricordo il capitano Timothy Stackpole del dipartimento dei vigili del fuoco di New York City e sua moglie, Tara. I nostri bambini e i nostri giovani conoscono quei nomi e quelle storie? I quattro nomi che menziono sono tra gli innumerevoli eroi dell'11 settembre. Tre hanno dato la vita per salvare gli altri; una, moglie e madre, rappresenta centinaia di migliaia di persone che (letteralmente) "non dimenticheranno mai", non solo i loro nomi, ma le loro vite, il loro sacrificio e il loro amore. 

A settembre 2020 ero vescovo da due mesi e avevo in programma di iniziare a scrivere una rubrica fissa su The Beacon, il nostro giornale diocesano. Mentre conoscevo la gente della diocesi di Paterson e loro mi davano il benvenuto come loro nuovo vescovo, ho voluto condividere con loro qualcosa di ciò che avevo imparato da quel giorno terribile e tragico, un giorno che può insegnarci che, in verità, "la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta" (Gv 1,5). Ero stato sacerdote della diocesi di Brooklyn, la diocesi in cui sono nato e cresciuto, per quattro anni e prestavo servizio nella mia prima parrocchia, St. Nicholas of Tolentine, a Jamaica, Queens, in quel meraviglioso martedì mattina. Come è vero per molti che hanno vissuto quel giorno, ci vorrebbero molte pagine per raccontare la storia di ciò che è accaduto nelle ore successive alla notizia "un aereo si è schiantato contro una delle Torri Gemelle".

Ciò che ho imparato quel giorno e nei giorni, nelle settimane e nei mesi successivi mi ha insegnato molte cose. Una delle lezioni che ho imparato dall'11 settembre è stata una nuova e più profonda comprensione di ciò che celebriamo nell'Eucaristia. 

A ogni messa, sentiamo Gesù dirci quanto sia importante ricordare. Mentre ricordiamo l'amore sacrificale di Gesù a ogni messa, dobbiamo anche ricordare coloro che hanno vissuto le parole di Gesù in modo eccezionale. Credo e confido che come nazione non dimenticheremo mai coloro che hanno fatto il sacrificio supremo; ma credo anche che, a volte, abbiamo tutti bisogno di essere ricordati dei sacrifici che sono stati offerti.

Vescovo Kevin Sweeney

Quando ho scritto la rubrica a settembre 2020, i ricordi e gli eroi dell'11 settembre erano nella mia mente, nei miei pensieri e nelle mie preghiere più del solito. Avevamo affrontato e confrontato la pandemia di Covid-19 nei sei mesi precedenti. A quel tempo, sentivamo e parlavamo di "eroi" in modi che mi ricordavano i giorni e le settimane (e gli anni) successivi all'11 settembre. Stavamo pensando e pregando per dottori, infermieri, paramedici, soccorritori e lavoratori essenziali che stavano letteralmente mettendo a rischio la propria vita per prendersi cura e salvare gli altri quando il virus era al suo peggio. 

A livello più personale, durante i miei primi due mesi da vescovo, ho avuto il privilegio di celebrare il sacramento della cresima per i giovani in molte delle nostre parrocchie. Molte di quelle messe di cresima sono state celebrate in "nuove" date dopo che la data originale era stata posticipata a causa della chiusura e delle restrizioni dovute al Covid-19. Mentre celebravamo quelle messe con distanziamento, folle più piccole e tutti con le mascherine, mi sono ritrovato a parlare ai giovani non solo di cosa significhi ricevere la cresima, ma anche del significato di ricevere la cresima in quel momento molto difficile della nostra storia. 

Si può dire che tutti coloro che sono battezzati sono chiamati a essere eroi vivendo vite eroiche di fede, speranza e amore. In altre parole, siamo tutti chiamati alla santità, chiamati a essere santi. Gesù ci fa il dono dei sacramenti per aiutarci a vivere quella chiamata. In modo particolare, i doni dello Spirito Santo che riceviamo nella cresima ci aiutano a discernere e vivere quella chiamata, la nostra vocazione. Quanto spesso noi, che siamo stati battezzati e cresimati molti anni fa, pensiamo o consideriamo quella chiamata che abbiamo ricevuto?

C'è un altro motivo per cui è così importante ricordare e insegnare ai nostri figli l'11 settembre. Vi ricordate com'era essere americani nei giorni, nelle settimane e nei mesi successivi a quel giorno? Molti di noi che vivevano a New York e nel New Jersey in quel periodo ne furono colpiti in modi molto personali e potevamo sentire il sostegno e le preghiere dell'intero Paese. Eravamo veramente gli Stati Uniti d'America quel giorno e durante le settimane e i mesi successivi. Nell'estate e nell'autunno del 2020, non solo continuavamo a gestire la pandemia e la riapertura delle scuole, ma stavamo anche affrontando tempi difficili come Paese, affrontando un periodo di divisione sociale e disordini. Credo che la maggior parte delle persone concorderebbe sul fatto che quelle sfide sono ancora molto presenti oggi. Ricordare semplicemente l'eroismo, il sacrificio e il coraggio (e/o parlarne o scriverne) non risolverà i problemi o le sfide che attualmente affrontiamo come nazione, ma ci sono lezioni che possiamo imparare e motivi per essere fiduciosi. 

Una delle lezioni degli "eroi dell'11 settembre" che continuo a cercare di imparare e ricordare è che coloro che hanno risposto alla chiamata quel giorno non sono apparsi dal nulla o hanno ricevuto magicamente dei superpoteri. Sono cresciuti in famiglie e parrocchie. Hanno imparato dai loro genitori e insegnanti. Molti sono andati a scuole cattoliche o hanno frequentato programmi di educazione religiosa. Molti non solo hanno imparato la preghiera, il sacrificio e il servizio, ma a un certo punto hanno iniziato a vivere secondo ciò che avevano imparato. Molti di loro hanno ricevuto la loro prima comunione e la cresima e hanno partecipato alla messa ogni domenica. Molti hanno imparato lezioni importanti dai loro allenatori e compagni di squadra mentre giocavano e guardavano gli sport. Hanno anche imparato la storia del nostro paese, su coloro che hanno fatto il sacrificio estremo perché amavano il loro paese ed erano grati. Grazie a ciò che hanno imparato, molti hanno scelto di diventare vigili del fuoco, agenti di polizia, operatori sanitari e soccorritori. 

Molti o la maggior parte sarebbero stati definiti "solo una persona comune". Eppure avevano qualcosa in comune: quando arrivò il momento della crisi e dovettero fare una scelta, erano pronti. Coraggiosamente e generosamente "risposero alla chiamata" e ci insegnarono cosa intendeva Gesù quando disse: "Non c'è amore più grande che dare la vita per i propri amici". Preghiamo affinché come individui, come famiglie, comunità e come Paese, possiamo continuare a imparare e vivere secondo queste lezioni. Le scelte che facciamo ogni giorno ci rendono ciò che siamo e possono prepararci per il nostro momento in modo che saremo pronti a rispondere alla chiamata.

Vescovo Kevin Sweeney

Il vescovo Kevin J. Sweeney è l'ottavo vescovo della diocesi di Paterson, nel New Jersey settentrionale. È stato insediato il 1° luglio 2020, presso la cattedrale di San Giovanni Battista a Paterson. Il vescovo Sweeney è originario del Queens, NY, e il 28 giugno 1997 è stato ordinato sacerdote per la diocesi di Brooklyn dal vescovo Thomas Daily. Produce un podcast settimanale intitolato Oltre il faro.

TRATTO DA AMERICA MEDIA

 

ELEZIONI USA: COME PREVISTO IL PAPA METTE I DUE CANDIDATI SULLO STESSO PIANO

PAPA FRANCESCO: TRUMP E HARRIS SONO "ENTRAMBI CONTRARI ALLA VITA" MA I CATTOLICI DEVONO VOTARE E SCEGLIERE IL "MALE MINORE"

GERALD O'CONNEL BY AMERICA MEDIA

CAPITOL HILL

Le elezioni presidenziali americane di novembre sono state al centro della conferenza stampa di 42 minuti tenuta da Papa Francesco sul volo da Singapore a Roma il 13 settembre. Un giornalista americano ha chiesto al Papa quale consiglio darebbe ai cattolici negli Stati Uniti sul voto, dato che uno dei candidati, la vicepresidente Kamala Harris, sostiene un ampio accesso all'aborto , mentre l'altro candidato, l'ex presidente Donald J. Trump, afferma che se eletto, deporterà 11 milioni di migranti clandestini .

“Entrambi sono contro la vita. Entrambi sono contro la vita. Entrambi: quello che butta via i migranti e quello che uccide i bambini. Entrambi sono contro la vita”, ha affermato Papa Francesco.

La sua risposta ha ribadito quanto ha insegnato fin dalla sua elezione a papa: l'aborto è contrario all'insegnamento della Chiesa cattolica sulla vita, ma lo sono anche altri attentati alla dignità umana che colpiscono i poveri, i migranti, le vittime della tratta di esseri umani e altri.

Nella conferenza stampa di oggi, il papa ha spiegato perché vedeva le posizioni di entrambi i candidati alla presidenza come "contro la vita". Ha iniziato affrontando la questione dei migranti, dicendo: "Mandare via i migranti o non dare ai migranti la possibilità di lavorare, non dare loro il benvenuto, è grave. È un peccato ".

KAMALA HARRIS

“Nell’Antico Testamento”, ha ricordato, “c’è un ritornello: l’orfano, la vedova e lo straniero, cioè il migrante. Sono i tre che il popolo d’Israele deve proteggere. Chi non protegge il migrante fallisce. È un peccato. È anche un peccato contro la vita di quelle persone”.

"Ho celebrato la messa al confine, vicino alla diocesi di El Paso", ha detto il papa. "E c'erano molte scarpe di migranti che lì hanno fatto una brutta fine". Si riferiva alla sua visita in Messico nel febbraio 2016, quando celebrò la messa a Ciudad Juárez , mentre la gente di El Paso pregava sul lato statunitense del muro di confine. Prima di quella messa, un sacerdote di Ciudad Juárez aveva messo le scarpe consumate dei migranti ai piedi di una croce rivolta verso i ponti che attraversano il Rio Grande.

“Oggi”, ha detto, “c’è un flusso di migranti in America Centrale, che spesso vengono trattati come schiavi”.Francis, figlio di migranti italiani in Argentina, ha sottolineato che “l'immigrazione è un diritto, un diritto che è nella Sacra Scrittura, ed era nell'Antico Testamento: lo straniero, l'orfano e la vedova. Non dimenticatelo. Questo è ciò che penso dei migranti”.

Passando alla questione dell'aborto, Francesco è stato altrettanto schietto. Ha detto: "La scienza dice che un mese dopo il concepimento tutti gli organi di un essere umano sono lì. Tutti".

Perciò, ha detto, "[a]bortire significa uccidere un essere umano. La parola può piacere o non piacere, ma significa uccidere... La chiesa non permette l'aborto. Perché? Perché significa uccidere, è un assassinio. È un assassinio, e dobbiamo avere le cose chiare su questo".

 “Mandare via i migranti, non permettere loro di svilupparsi, non permettere loro di avere vita, è una cosa brutta. È malvagio”. Allo stesso modo, ha detto, “Mandare via un bambino dal grembo della madre è un assassinio perché c’è vita”.Ha aggiunto: “Dobbiamo parlare di queste cose chiaramente… Non ci sono 'ma'. Entrambe le cose sono chiare”. Ha ricordato di nuovo alle persone di non trascurare “l'orfano, lo straniero e la vedova”.

Il giornalista statunitense, tuttavia, ha insistito sull'argomento e ha chiesto: "Secondo lei, Santità, ci sono circostanze in cui è moralmente lecito per un cattolico votare per un candidato che è a favore dell'aborto? Il papa gesuita non ha fornito una risposta sì o no. Invece, ha risposto: “Nella morale [insegnamento] sulla politica, in generale, si dice che non votare è male. Non è bene. Si deve votare, e si deve scegliere il male minore”.

In questa situazione, chiese: "Qual è il male minore? Quella donna o quell'uomo?". Disse: "Non lo so. Ognuno, nella sua coscienza, deve pensare e [votare]".

Gerard O'Connell13 settembre 2024

 NOTA

America Media da cui è tratto questo articolo è da sempre contro Trump, pur rispettando la complessità della scelta dei cattolici

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https://www.americamagazine.org/politics-society/2024/08/23/kamala-harris-joyful-warrior-248640

https://www.americamagazine.org/politics-society/2024/09/11/harris-trump-presidential-debate-catholic-takeaways-248774

https://www.americamagazine.org/politics-society/2024/08/27/kamala-harris-interview-248651

https://www.americamagazine.org/faith/2024/09/13/election-catholic-despair-248534?cx_testId=12&cx_testVariant=cx_1&cx_artPos=2&cx_experienceId=EX7CE8EAI0YE&cx_experienceActionId=showRecommendations3EF6HW9ZPPY614#cxrecs_s

"Come evitare l'ansia elettorale; alcuni consigli su come trovare la speranza"questo articolo è di Padre James Martini, che molto esposto nel sostenere il mov. LGBT, ma i suoi interventi sono sempre interessanti

 


venerdì 13 settembre 2024

ELEZIONI EMILIA-ROMAGNA 2024/ GRAMSCI E IL MONOPOLIO DEI “MIGLIORI”: COSÌ IL PD SI È PRESO TUTTO

La cappa plumbea e gaudente con la quale il Pd ha blindato l’Emilia-Romagna (nascondendone i problemi) è la realizzazione compiuta dell’ “intellettuale organico” di Gramsci

Gianni Varani

C’è qualche recondito pensiero che lega in qualche modo la recente indicazione di Alessandro Giuli a ministro per la cultura e le non lontane elezioni regionali in Emilia-Romagna. È un nesso del tutto culturale e filosofico. Giuli, pur culturalmente di destra, ha rivalutato di recente il pensiero di Antonio Gramsci, il propugnatore geniale dell’idea di intellettuale organico. Se c’è su questa terra un luogo dove alcune intuizioni del celebre sardo si sono completamente realizzate, questo è l’Emilia-
Romagna.
È in questa regione che il partito-intellettuale organico ha saputo prendere il posto dell’intellettuale-chiesa, come Gramsci auspicava e propugnava, implementando nel tempo non solo una regia politica, sociale, economica e culturale estremamente pervasiva e sistematica, ma anche proponendo una etica propria.

Bologna non era la seconda città dello Stato della Chiesa? Una nuova chiesa ne ha preso il posto, riducendo in gran parte a un ruolo ancillare l’originale. Il mix straordinario realizzato dai comunisti prima, e dagli eredi poi, è in quel solido connubio senza incertezze, impensabile altrove, col capitalismo compiuto, come denunciava a suo tempo Pier Paolo Pasolini.

L’intellettuale organico ha offerto ai “ricchi” la possibilità di continuare ad arricchirsi senza sentirsi in colpa (come già aveva fatto per la verità la Chiesa cattolica), arruolandoli nelle “magnifiche sorti e progressive”, mentre il welfare di tutta la nazione è stato spesso e volentieri usato come bancomat per una qualche redistribuzione di redditi e servizi a vantaggio degli emiliano-romagnoli. Basti rammentare la gratuità dei trasporti pubblici per operai e studenti, in determinate fasce orarie, negli anni 70 a Bologna, o il gonfiamento della sanità regionale al punto che, negli anni 90, il 40 per cento e più del deficit sanitario nazionale era dovuto alla sola Emilia-Romagna. In un certo qual modo si sta ancora pagando, oggi, l’eccesso di sprechi (e quindi di pretese) generato in quel non lontano passato.

Si dirà che è roba antica. Si aggiungerà che anche Gramsci è superato. Tutto ciò in realtà aiuta a capire quali siano le ragioni del tasso di consenso inerziale e durevole di cui ha goduto a lungo la sinistra da queste parti e l’elevato conservatorismo elettorale e culturale. L’intellettuale organico ha educato a lungo le “masse”, con successo. Gli ha offerto ideali, giustificazioni e assoluzioni, gli ha indicato i nemici colpevoli di tutto, ovviamente fascisti, assicurandogli nel contempo di vivere nel migliore dei mondi italiani possibili. Una miscela irresistibile per molti, che hanno così delegato volentieri all’intellettuale organico la cosa pubblica, inclusi molti cattolici.

Ha ragione Giuli: Gramsci è ancora ben vivo e vegeto, anche se molti suoi seguaci non lo leggono e forse nemmeno sanno chi sia. Il Pd dell’Emilia-Romagna – basta ascoltare i toni del sindaco di Bologna o dell’ex governatore regionale – ci fa spesso ancora rivedere il vecchio film manicheo dei “migliori”, dell’unica parte giusta, gli unici affidabili e popolari. Non scordiamo che anche Elly Schlein è cresciuta da queste parti. Il prezzo da pagare per credere ancora a questa narrazione è non guardare in faccia e nascondere gli enormi problemi irrisolti di questa regione: ritardi infrastrutturali (Bologna è la strozzatura viaria nazionale); gravi incurie ambientali; mancanza di visione da decenni sulla sanità; una idea ancora rigida e arcaica della formazione scolastica.

A una tale opera “educativa”, esercitata per decenni dall’intellettuale organico gramsciano, la risposta non può che essere prima di tutto educativa. Ma di una nuova idea educativa, che leghi libertà e responsabilità in modo inscindibile, che non si ritenga proprietaria della cosa pubblica, che susciti risorse senza pretendere di irreggimentarle a priori, che non neghi la realtà, che non pretenda di possedere sempre e comunque a priori le soluzioni alle immense sfide del presente e che perciò cerchi alleanze trasversali senza pregiudiziali. 

Chissà quanti elettori emiliano-romagnoli si faranno, finalmente, nuove domande e si porranno, finalmente, nuovi dubbi.

IL SUSSIDIARIO NET 10 Settembre 2024

 

PERCHÉ I MARI E I DESERTI NON SIANO CIMITERI

 MA SPAZI DOVE DIO POSSA APRIRE STRADE DI LIBERTÀ E DI FRATERNITÀ

PAPA FRANCESCO

Piazza San Pietro Mercoledì, 28 agosto 2024

Mare e deserto.

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi rimando la consueta catechesi e desidero fermarmi con voi a pensare alle persone che – anche in questo momento – stanno attraversando mari e deserti per raggiungere una terra dove vivere in pace e sicurezza.

Papa Francesco in Papua Nuova Guinea
Settembre 2024

Mare e deserto: queste due parole ritornano in tante testimonianze che ricevo, sia da parte di migranti, sia da persone che si impegnano per soccorrerli. E quando dico “mare”, nel contesto delle migrazioni, intendo anche oceano, lago, fiume, tutte le masse d’acqua insidiose che tanti fratelli e sorelle in ogni parte del mondo sono costretti ad attraversare per raggiungere la loro meta. E “deserto” non è solo quello di sabbia e dune, o quello roccioso, ma sono pure tutti quei territori impervi e pericolosi, come le foreste, le giungle, le steppe dove i migranti camminano da soli, abbandonati a sé stessi. Migranti, mare e deserto. Le rotte migratorie di oggi sono spesso segnate da attraversamenti di mari e deserti, che per molte, troppe persone – troppe! –, risultano mortali. Per questo oggi voglio soffermarmi su questo dramma, questo dolore. Alcune di queste rotte le conosciamo meglio, perché stanno spesso sotto i riflettori; altre, la maggior parte, sono poco note, ma non per questo meno battute.

Del Mediterraneo ho parlato tante volte, perché sono Vescovo di Roma e perché è emblematico: il mare nostrum, luogo di comunicazione fra popoli e civiltà, è diventato un cimitero. E la tragedia è che molti, la maggior parte di questi morti, potevano essere salvati. Bisogna dirlo con chiarezza: c’è chi opera sistematicamente e con ogni mezzo per respingere i migranti – per respingere i migranti. E questo, quando è fatto con coscienza e responsabilità, è un peccato grave. Non dimentichiamo ciò che dice la Bibbia: «Non molesterai il forestiero né lo opprimerai» (Es 22,20). L’orfano, la vedova e lo straniero sono i poveri per eccellenza che Dio sempre difende e chiede di difendere.

Anche alcuni deserti, purtroppo, diventano cimiteri di migranti. E pure qui spesso non si tratta di morti “naturali”. No. A volte nel deserto ce li hanno portati e abbandonati. Tutti conosciamo la foto della moglie e della figlia di Pato, morte di fame e di sete nel deserto. Nell’epoca dei satelliti e dei droni, ci sono uomini, donne e bambini migranti che nessuno deve vedere: li nascondono. Solo Dio li vede e ascolta il loro grido. E questa è una crudeltà della nostra civiltà.

In effetti, il mare e il deserto sono anche luoghi biblici carichi di valore simbolico. Sono scenari molto importanti nella storia dell’esodo, la grande migrazione del popolo guidato da Dio mediante Mosè dall’Egitto alla Terra promessa. Questi luoghi assistono al dramma della fuga del popolo, che scappa dall’oppressione e dalla schiavitù. Sono luoghi di sofferenza, di paura, di disperazione, ma nello stesso tempo sono luoghi di passaggio per la liberazione – e quanta gente passa per i mari, i deserti per liberarsi, oggi –, sono luoghi di passaggio per il riscatto, per raggiungere la libertà e il compimento delle promesse di Dio (cfr Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2024).

C’è un Salmo che, rivolgendosi al Signore, dice: «Sul mare la tua via / i tuoi sentieri sulle grandi acque» (77,20). E un altro canta così: «Guidò il suo popolo nel deserto, / perché il suo amore è per sempre» (136,16). Queste parole sante ci dicono che, per accompagnare il popolo nel cammino della libertà, Dio stesso attraversa il mare e il deserto; Dio non rimane a distanza, no, condivide il dramma dei migranti, Dio è con loro, con i migranti, soffre con loro, con i migranti, piange e spera con loro, con i migranti. Ci farà bene, oggi pensare: il Signore è con i nostri migranti nel mare nostrum, il Signore è con loro, non con quelli che li respingono.

Fratelli e sorelle, su una cosa potremmo essere tutti d’accordo: in quei mari e in quei deserti mortali, i migranti di oggi non dovrebbero esserci – e ce ne sono, purtroppo. Ma non è attraverso leggi più restrittive, non è con la militarizzazione delle frontiere, non è con i respingimenti che otterremo questo risultato. Lo otterremo invece ampliando le vie di accesso sicure e le vie di accesso regolari per i migranti, facilitando il rifugio per chi scappa da guerre, dalle violenze, dalle persecuzioni e dalle tante calamità; lo otterremo favorendo in ogni modo una governance globale delle migrazioni fondata sulla giustizia, sulla fratellanza e sulla solidarietà. E unendo le forze per combattere la tratta di esseri umani, per fermare i criminali trafficanti che senza pietà sfruttano la miseria altrui.

Cari fratelli e sorelle, pensate a tante tragedie dei migranti: quanti muoiono nel Mediterraneo. Pensate a Lampedusa, a Crotone … quante cose brutte e tristi. E vorrei concludere riconoscendo e lodando l’impegno di tanti buoni samaritani, che si prodigano per soccorrere e salvare i migranti feriti e abbandonati sulle rotte di disperata speranza, nei cinque continenti. Questi uomini e donne coraggiosi sono segno di una umanità che non si lascia contagiare dalla cattiva cultura dell’indifferenza e dello scarto: quello che uccide i migranti è la nostra indifferenza e quell’atteggiamento di scartare. E chi non può stare come loro “in prima linea” – penso a tanti bravi che stanno lì in prima linea, a Mediterranea Saving Humans e tante altre associazioni –, non per questo è escluso da tale lotta di civiltà: noi non possiamo stare in prima linea ma non siamo esclusi; ci sono tanti modi di dare il proprio contributo, primo fra tutti la preghiera. E a voi domando: voi pregate per i migranti, per questi che vengono nelle nostre terre per salvare la vita? E “voi” volete cacciarli via.

Cari fratelli e sorelle, uniamo i cuori e le forze, perché i mari e i deserti non siano cimiteri, ma spazi dove Dio possa aprire strade di libertà e di fraternità.

 

lunedì 9 settembre 2024

COS’ALTRO DEVE FARE SATANA?

LEONARDO LUGARESI

Cos’altro deve fare Satana, più di quello che sta facendo, per convincerci che è qui, tra di noi, interessato al mondo e agli uomini quasi quanto Colui che disperatamente scimmiotta; attivo h 24 e non solo in forma indiretta, attraverso mille mediazioni e cause seconde (o terze o ennesime) del male che ribolle tutto attorno a noi e in noi, bensì anche in prima persona, direttamente e quasi allo scoperto, con atti che portano inconfondibile la sua impronta fetida, la sua firma agghiacciante?

Albrecht Durer  1513
La Morte, il Diavolo e il Cavaliere

Cos’altro deve fare, più che agire come ha fatto l’altra notte, distruggendo una famiglia a Paderno Dugnano (odia le famiglie più di ogni altra cosa umana, lui che, al contrario di Colui che vorrebbe disperatamente essere, non è Padre, né Figlio, né Amore reciproco dell’uno e dell’altro, ma è disperatamente single)? Ci sono tanti modi per distruggere una famiglia, e ogni momento se ne sfascia qualcuna, per i più svariati motivi. Ma quei motivi, nella quasi totalità dei casi, sembrano a tutti noi “ragioni adeguate” a spiegare la cosa; ragioni sulle quali gli psicologi, i sociologi, gli economisti, i politici e i vicini di casa hanno da dire la loro.

Ma chi mai può dire qualcosa – qualcosa di sensato, intendo – quando una notte normale, nella casa normale di una famiglia normale un normale ragazzo non ancora diciottenne (poco più che un bambino, dunque, per l’odierna scansione della crescita umana) si alza dal letto, prende un coltello e ammazza il fratello minore, la mamma e il babbo?

Come si fa a non vedere l’adamantina purezza del male, che non ha spiegazioni, non ha ragioni, non si lascia comprendere ma chiede di essere solo guardata con orrore?

Di questi segnali, il nemico ne manda tanti, ma noi non ne intercettiamo nessuno. Cos’altro deve fare Satana, perché ci rendiamo conto di dove siamo e di chi abbiamo di fronte? C’è un versetto della Scrittura che una volta, se non sbaglio, si leggeva ogni sera nella Compieta (oggi è solo una delle letture che si alternano). In latino diceva così: Fratres sobrii estote et vigilate, quia adversarius vester diabolus, tamquam leo rugiens, circuit quaerens quem devoret: cui resistite fortes in fide.  (“Fratelli, siate sobri e vigilate, perché il diavolo come leone ruggente si aggira cercando di divorarvi; a lui resistete forte nella fede”). È tratto dalla Prima Lettera di Pietro e, benché l’immagine del leone ruggente non sia forse la più adatta, oggigiorno, per metterci sul chi va là, la sua ispirazione guerresca ci sarebbe assolutamente necessaria.

“Vigilanza” (proprio nel senso dei turni di guardia), “nemico” (proprio nel senso di quello che ti vuole morto), “resistenza” (proprio nel senso di stare in trincea e sparare su chi ti viene contro), “fede” (proprio nel senso di certezza della vittoria): questo è l’armamentario di idee che ci serve per sopravvivere.

 

UNA SOCIETÀ POST-FAMILIARE, L’UTOPIA DI MICROMEGA

  STEFANO FONTANA

MicroMega, diretta da Paolo Flores D’Arcais, come si sa, è la rivista di punta della sinistra italiana. Essa parla a nome di un intero mondo culturale e politico e, in molti casi, ne traccia le linee culturali e operative. Il numero attualmente in uscita (4/2024) lo fa a proposito della famiglia, dando precise indicazioni per una società post-familiare. Il titolo del fascicolo è molto chiaro: Contro la famiglia. Critica di un’istituzione (anti)sociale.

La chiarezza è sempre un fatto positivo, perché permette a tutti di posizionarsi consapevolmente. Dobbiamo quindi sapere che la cultura della sinistra non vuole più la famiglia e pensa ad una società priva di essa. Ne trarremo le conseguenze?

Tutti i 17 contributi vogliono dimostrare che la famiglia non produce socialità, ma la corrode e la impedisce. Prima di tutto si dice che la famiglia è luogo di violenza e di oppressione: i bambini imparano lì le gerarchie e i ruoli sociali di genere e introitano il conformismo. Nella famiglia molte sono le vittime di abusi e i membri vengono educati all’omertà, alla fedeltà clanica, alla subordinazione. Verso la società ampiamente intesa, le famiglie agiscono come mondi chiusi e trasferiscono le proprie logiche nella società,colonizzandola: la scuola oggi è una guerra tra genitori e insegnanti. La famiglia favorisce e perpetua le disuguaglianze sociali ed economiche mediante i patrimoni che vengono trasferiti ereditariamente, mediante le reti delle relazioni familistiche che favoriscono alcuni rampolli a svantaggio di altri, mediante le possibilità di istruzione che non tutte le famiglie hanno nella stessa misura. La famiglia, quindi, non produce mobilità sociale ma perpetua l’esistente, trasmettendo ai figli di domani gli stessi privilegi e svantaggi che ci sono oggi.

Sulla base di questa analisi, ecco poi le proposte.

Innanzitutto, secondo MicroMega,bisognerebbe non parlare più di “famiglia naturale” dato che tale famiglia non esiste perché non esiste la natura. Secondariamente si deve parlare di famiglia come “concentrato di convivenza”, come l’area delle “soluzioni dello stare insieme” che possono essere molto diverse tra loro. Bisogna anche superare il modello industriale italiano composto in gran parte da piccole imprese dominate da un atteggiamento familistico. Il lavoro di cura bisognerebbe toglierlo alle famiglie per evitare la sua proiezione privatistica sui servizi pubblici. Si dovrebbe anche disciplinare in modo nuovo le successioni e le donazioni in vista di “un’eredità universale”.

Infine, un intervento sulla scuola parentale la boccia completamente vedendola come atteggiamento antisociale ed espressione del figlio inteso familisticamente come “proprietà” dei genitori.

Tutte queste osservazioni e valutazioni sono evidentemente cieche di fronte alla realtà e proiettano su di essa la luce deformante di una ideologia preconfezionata. La messa in ridicolo del concetto di natura da parte di Telmo Piovani si fonda su una rozza visione naturalistica: l’antropologia culturale mostra molti tipi di famiglia ergo la famiglia naturale non esiste. Evidentemente egli non possiede il concetto filosofico corretto di “natura”. Anche altri autori utilizzano in modo ideologico l’antropologia culturale, parlando ad esempio dei Nuer del Sud Sudan che hanno superato la marginalità della donna che non poteva avere figli,inventandosi che essa può, in alternativa, comportarsi da uomo, diventare “marito” e “padre”.In tutto il fascicolo si dimentica che l’antropologia culturale non è una scienza normativa,essa dice eventualmente cosa c’è e non cosa ci deve essere, per cui deve essere sottoposta alla filosofia morale. Perfino gli animali vengono presi come norma del corretto comportamento “naturale” umano, a cominciare dai pinguini che frequentemente sarebbero omosessuali.

Il più grande errore di impostazione è però un altro: indicare eventuali disfunzioni della famiglia – a cominciare dalla violenza in casa – come conseguenza della famiglia naturale,mentre sono conseguenza della sua distruzione sistematica. È qui che l’ideologia di MicroMega si mostra perversa nel rovesciamento della realtà. L’impresa familiare, che realizza nel modo migliore il rapporto tra famiglia e lavoro e che è giustamente un vanto del nostro Paese, allora deve essere eliminata. Il lavoro di cura di chi è in difficoltà bisogna affidarlo completamente ai servizi sociali quando è ovvio che la migliore badante è colui che ci è più vicino nel nucleo familiare. Lo Stato dovrebbe collettivizzare i benefici dei trasferimenti ereditari e non i soggetti naturali quali sono appunti gli eredi. Dalla mancanza di realismo nascono sempre le utopie ossessive.

Se guardiamo in filigrana i provvedimenti suggeriti da MicroMega, ci accorgiamo  che sono forme di neo-socialismo, di statalismo e centralismo, di indottrinamento politico dei cittadini dal centro, di sostegno ai grandi poteri economici, di sradicamento e di collettivizzazione. Ossia riduzione degli spazi di protagonismo, di responsabilità e di vera libertà.

Stefano Fontana

https://vanthuanobservatory.com/2024/09/05/una-societa-post-familiare-lutopia-di-micromega/

giovedì 5 settembre 2024

SIAMO STATI CREATI PERCHE' CI FOSSE UN INIZIO

 

Il 30 luglio è nata Matilde, mia nipote.

“Il miracolo che salva il mondo, il dominio delle faccende umane, dalla sua normale, naturale rovina è in definitiva il fatto della natalità in cui è ontologicamente radicata la facoltà dell’azione. E’ in altre parole la nascita di nuovi uomini, l’azione di cui essi sono capaci in virtù dell’esser nati. Solo la piena esperienza di questa facoltà può conferire alle cose umane fede e speranza, le due essenziali caratteristiche dell’esperienza umana, che l’antichità greca ignorò completamente. E’ questa fede e speranza nel mondo, che trova forse la sua gloriosa e stringata espressione nelle poche parole con cui il Vangelo annunciò la ‘lieta novella’ dell’avvento: ‘un bambino è nato per noi’”. (Hanna Harendt)

In questa prospettiva infatti, non è soltanto la nascita di Gesù, ma quella di qualsiasi bambino a rappresentare un segno di speranza nel mondo. Siamo stati creati affinché ci fosse un inizio. Il che significa che nasciamo, non per morire, ma per incominciare, per far nuove di continuo tutte le cose grazie alla nostra libertà e agli imprevisti che essa porta sempre con sé.

Matilde, nella situazione più difficile e più drammatica che abbiamo mai vissuto noi nati dopo la seconda guerra mondiale, tu nascendo, e nascendo per noi, ci ricordi che possiamo essere liberi per davvero.