INCONTRO “ORIZZONTI” DEL 22.08.24 PARTE
SECONDA
LA FRATERNITA’ SACERDOTALE DEI MISSIONARI DI SAN CARLO BORROMEO
Arturo Alberti “Nonostante la differenza culturale
e le barriere linguistiche i dialoghi tra noi si fanno ogni settimana più
intensi. Abbiamo discusso per mesi dei 10 comandamenti ed ora siamo passati
alle Beatitudini” (Fraternità e Missione di Agosto 24)
SUOR
ELEONORA CERESOLI ( FRATERNITA’ SAN CARLO)
KENYA
Suor Eleonora |
Io invece
sto con le mamme, e sono momenti molto belli e veri, con persone nuove ogni
volta perché le mamme si invitano tra loro, superando così lo stigma che a
Nairobi è ancora molto presente riguardo alla disabilità, vista come una
maledizione di Dio (di solito i bambini vengono tenuti nascosti dentro le
case). Invece adesso si dice che c’è un posto dove i bambini possono essere
visti, e così cominciano a venire con i loro bambini avvolti in lenzuoli sopra
le spalle, e piano piano li scoprono, non hanno più vergogna a farli vedere in
giro.
Con queste
mamme tocchiamo molti temi. Quasi nessuna di loro è cattolica, molte sono
protestanti o di varie sette, per cui ho deciso di iniziare dai 10 Comandamenti.
Sono emerse tantissime domande, sia sul rapporto coniugale - quasi tutte sono
state abbandonate dai loro uomini nel momento in cui è stata scoperta la
disabilità dei figli - oppure sul tema dell’aborto (anche se molte di loro sono
donne coraggiose che hanno tenuto i loro figli, solo alcune l’hanno scoperto
dopo la nascita).
Io parlo in
inglese, sono anche studentessa di seconda elementare, nel senso che vado con i
bambini, siedo con i bambini, imparo lo swahili, però intanto parlo in inglese,
e dunque i bambini si devono tradurre a vicenda per sapere cosa sto dicendo…
però dalle domande che ricevo capisco che qualcosa stanno capendo.
L’altra cosa
bella è che con il nostro ospedaletto di quartiere riusciamo a offrire cure,
speech therapy, una diagnosi fatta bene (molto rara tra loro) e i medicinali
adeguati. Anche grazie a Orizzonti noi possiamo coprire spese anche importanti
di mamme che vengono spesso da quartieri molto poveri, e quindi grazie, grazie,
grazie.
CARLO QUATTRI SEMINARISTA della FRATERNITA’ SAN CARLO
Carlo Quattri |
Sono appena
tornato da un anno di missione a Città
del Messico e devo dire che la cosa più bella del Messico, di per sé
bellissimo, è il popolo messicano, e la
semplicità della sua fede. Ho visto tante persone tornare alla fede dopo molto
tempo (il Messico ha una forte tradizione cattolica ma ha avuto tanti problemi
politici che lo hanno reso un paese dalle istituzioni fortemente anticlericali).
In Messico si vive un forte contrasto, sono tutti guadalupani [devoti alla
Madonna di Guadalupe, immagine miracolosa fondante dell’identità messicana], ma
al contempo le istituzioni sono completamente anticlericali. Poi vedi in tutte
le auto crocifissi e rosari, immagini della Vergine… Io direi che l’identità
del messicano ha a che fare con la Vergine di Guadalupe perché di fatto il
Messico è nato 10 anni prima che la Vergine apparisse [1531].
Per esemplificare quello che intendo per semplicità vi racconterò una storia. A novembre il parroco, Davide, mi chiede di preparare ai sacramenti una signora che per vent’anni è stata con i Testimoni di Geova (lì sono molto forti, insieme a varie sette Protestanti). Battezzata, come il 96% dei messicani, in un momento di crisi si presenta alla porta della parrocchia, sapendo che i sacerdoti sono sempre pronti ad ascoltare. Davide le propone di partecipare alla Scuola di Comunità della parrocchia, e lei, dopo un po’, esprime il desiderio di ricevere i Sacramenti per vivere più compiutamente l’esperienza di fede che riconosce in quelli che incontra tutte le settimane. Io inizio a seguirla con il catechismo e dopo due mesi si presenta anche la figlia, Daniela, vent’anni. “Io vedo sempre che la mamma torna a casa contenta e voglio scoprire perché”. Così anche la figlia comincia a seguire il catechismo e dopo qualche mese esprime anch’essa il desiderio dei sacramenti. Allo scopo di farle fare una esperienza più forte la invito a seguire anche il gruppo del CLU, anche perché la ragazza, a seguito del covid, si era isolata da amici e coetanei. Passano altri mesi e la ragazza afferma di aver trovato finalmente la casa che cercava da tanto tempo (come tanti altri giovani, questa ragazza era stata abbandonata dal padre da piccola e il padre, anche se cercato, si era sempre rifiutato di rivederla). Da allora la ragazza ha continuato a coinvolgersi in rapporti ed iniziative come la caritativa, ed è divenuta punto di riferimento anche per i più giovani.
Un’altra
storia riguarda la signora che ci fa le
pulizie in casa, proveniente da una situazione di indigenza, battezzata ma
lontana dalla Chiesa, convivente con un uomo senza essere sposata. Negli anni
’90, in occasione di un viaggio di Giovanni Paolo II in Messico, le dicono che
lui sarebbe passato vicino a casa loro. Le grandi autostrade a 5 corsie che
attraversano la megalopoli erano tutte bloccate nell’attesa del passaggio del
pontefice, per consentire alla gente di vederlo. Quando passa il papa la donna, insieme agli astanti, sente il bisogno
fisico di inginocchiarsi. Per me è stato immediato ricordare i passi del
Vangelo in cui la gente che incontrava Gesù si sentiva travolta da una forza
irresistibile.
Per
concludere vorrei dire che si vede che il Signore agisce in Messico attraverso
persone piccole e semplici per continuare una storia di popolo che accoglie
tanti. Il bisogno lì è grande, molte famiglie sono disastrate, e la comunità,
la parrocchia, sono la possibilità concreta per tutti di trovare una casa. E
questo è vero anche per me.
Arturo
Alberti Tanti
anni fa facemmo un convegno intitolato “Presenza cristiana e sviluppo”. Trenta
anni dopo facemmo un altro convegno intitolato “Presenza cristiana è
sviluppo”. Piccola ma significativa differenza.
ALESSANDRO
MILANESI SEMINARISTA FRATERNITA’ SAN CARLO
Dopo un anno
di missione a Madrid (dove padre
Anas ha trascorso quindici anni della sua vita) mi chiedevo: Si può chiamare missione se si sta in
Europa, Spagna, Madrid, la città più ricca di Spagna?
Arrivato in Spagna mi sono chiesto
cosa porta un missionario cristiano: porta la presenza della Chiesa e quindi
porta la cosa più importante che c’è, Cristo.
Alessandro Milanesi |
Anch’io
posso raccontare una storia che
illustra bene come anche noi europei
aspettiamo Cristo. Ho conosciuto una ragazza a febbraio di quest’anno, che
ho incontrato affranta in chiesa. Dopo quattro anni di fidanzamento il suo
ragazzo si era tolto la vita davanti a lei, era disperata. Io rimango senza
parole, profondamente scandalizzato dalla violenza che questa donna ha vissuto.
La ragazza non frequentava una chiesa da dieci anni, e conduceva una vita senza
senso. Nei mesi siamo diventati amici ed ho iniziato ad invitarla a venire in
parrocchia e a Scuola di Comunità. Questo suo dolore è paradigmatico anche del
vuoto di tanti ragazzi europei che hanno tutto ma non hanno niente, e un dolore
come questo può risvegliare una domanda di senso che è lì come assopita. Ho
visto come la mia presenza e quella degli altri amici cristiani ha
letteralmente resuscitato questa ragazza. Dopo sei mesi posso assicurare che
quel volto dapprima trasfigurato dal dolore era un volto letteralmente rinato,
lieto, seppure ancora addolorato per il trauma subito. Ho visto come Cristo
attraverso i (missionari) cristiani arriva a risanare i cuori e a risuscitare
le persone, non solo in Africa o in Sud America.
Arturo Alberti (Orizzonti)
Arturo Alberti |
Siamo qui perché, come dice Giussani, è giusto riconoscere la vita che c’è, e riconoscersi, anche in luoghi così diversi. Abbiamo in comune la passione che Cristo sia annunciato e sia un’occasione di salvezza per le persone che incontriamo. Il soggetto che noi amiamo è la Chiesa, e per questo continueremo a incontrarci.
Le nostre opere possono essere giudicate piccole gocce in un oceano di male e di violenza,ma siamo sicuri che sono segni di un mondo nuovo che alla fine sconfiggerà l’inimicizia tra gli uomini.
Quando chiediamo agli amici di partecipare a
questo cammino mettendo in gioco liberamente ciò che ognuno può fare, desideriamo
superare assieme lo scoraggiamento,la sensazione di impotenza e il fatalismo, per
offrire una ragione della speranza che ci muove e “che non delude”,come dice il
motto scelto per il Giubileo 2025.
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