Il 9 agosto di 81 anni fa moriva il contadino che si ribellò al nazismo giudicandolo incompatibile con la sua fede cattolica. Un martirio in forza dell’amore vissuto come sposo e padre, segno di contraddizione nella Chiesa stessa
Una scena del film di Terrence Malick “La vita nascosta –
Hidden Life” sulla storia di fede e amore di Franz Jägerstätter
Il 9 agosto di ottantuno anni fa moriva Franz
Jägerstätter, decapitato in una prigione nei pressi di
Berlino per essersi rifiutato di combattere nell’esercito del Terzo Reich. Il
contadino e sacrestano austriaco che era andato consapevolmente incontro alla
condanna a morte perché giudicava incompatibile la sua fede cristiana col
nazismo e con la partecipazione alla guerra voluta da Hitler è stato
beatificato dalla Chiesa cattolica nell’ottobre 2007.
Eppure per molti anni la sua eredità è stata considerata
imbarazzante non solo dai suoi concittadini del villaggio di Sankt Radegund, ai
confini con la Baviera, ma dalla stessa Chiesa cattolica austriaca, che ha
cominciato a valorizzare senza riserve la sua testimonianza solo alla fine
degli anni Settanta. Quale era il problema?
Perché la Chiesa cercò di
dissuadere l’obiettore Jägerstätter
Il problema era che esaltare la scelta martiriale del
contadino Franz sembrava implicare un giudizio negativo su tutti gli altri
cristiani che invece avevano servito sotto le armi in epoca hitleriana e sulla
stessa autorità ecclesiastica che non aveva affatto incoraggiato gli obiettori,
al contrario: le autorità ecclesiastiche tacevano oppure cercavano di
dissuadere gli obiettori come Jägerstätter. Persino il parroco di St. Radegund
e l’allora vescovo di Linz, certamente in cuor loro antinazisti e non privi di
ammirazione per la sua scelta, cercarono di fargli cambiare idea ricorrendo a
due argomenti.
Il primo è che il cristiano è chiamato ad obbedire alle
autorità civili e militari come gli altri cittadini, e che delle eventuali
decisioni moralmente malvagie di quelle autorità non sono responsabili agli
occhi di Dio i cittadini che obbediscono agli ordini superiori, ma solo coloro che
li hanno impartiti. A sporcarsi le mani di sangue innocente che grida vendetta
al cospetto di Dio non sarebbero coloro che compiono stragi, ma soltanto coloro
che le hanno ordinate. Il secondo argomento consiste nelle responsabilità
familiari che Jägerstätter in quanto sposo e padre di tre figlie (oltre che di
una quarta nata prima e fuori del suo matrimonio con Franziska Schwaninger)
aveva: questo genere di responsabilità avrebbero sempre la precedenza su altre
chiamate alla testimonianza cristiana che si sostiene di avere ricevuto da Dio,
inclusa la chiamata a effondere il proprio sangue a motivo della sequela di
Cristo.
Il martirio di Jägerstätter e
la nostra coscienza cristiana
Come si può notare, nonostante gli anni trascorsi e la
grande virata ecclesiale che ha comportato la beatificazione di colui che fino
a qualche decennio prima era considerato un caso limite da non enfatizzare, le questioni che la vita e la
morte di Franz Jägerstätter pongono alla coscienza cristiana sono attualissime.
Anche oggi esistono poteri politici anticristiani che chiedono ai cristiani
sottomissione e collaborazione; non si tratta solo di poteri dittatoriali,
ultranazionalisti o totalitari del tipo di quelli che prevalgono in Russia o in
Cina, ma anche dei poteri espressione di
un laicismo radicale e di un’ideologia progressista atea che pervadono sempre
più le società caratterizzate dal sistema politico liberal-democratico
nell’Europa occidentale e nel Nordamerica.
Anche oggi le autorità ecclesiali appaiono sballottate fra la responsabilità di rendere testimonianza integralmente alla verità di Cristo e l’opportunità di scendere a patti o di limitare al minimo le critiche aperte alle politiche contrarie al diritto naturale oltre che alla morale cristiana per non essere messe del tutto ai margini o spazzate via. Anche oggi i laici cristiani hanno familiari affidati alle loro cure e alla loro protezione, che possono essere invocati come impedimenti a forme di testimonianza cristiana che produrrebbero reazioni da parte delle autorità che renderebbero poi impossibile l’assolvimento dei doveri genitoriali e sponsali.
Il contadino non obiettò alla
guerra, ma al Terzo Reich
Senz’altro Jägerstätter è e resta un segno di contraddizione
per i tiepidi nella fede, per chi, come scrive per esempio Sergio Tanzarella,
si culla nelle «illusioni di uno pseudo
cristianesimo senza croce». Ma è anche colui che può aiutare tutti – coloro
che appaiono disposti a rispondere a una chiamata che comporta un caro prezzo e
coloro che ritengono di potere e dovere testimoniare in un modo che non implica
l’effusione del sangue o la morte civile – a comprendere di cosa si tratta, a
capire i termini della questione, prima delle decisioni sul “che cosa fare”.
Il contadino Franz
non era affatto un fanatico assetato di martirio e intransigente con chi non
aveva intenzione di imitarlo: alla prima chiamata al servizio
militare, quando c’è speranza che non sarà mandato al fronte, presta il
giuramento a Hitler in quanto capo ultimo delle forze armate; quando sarà processato,
offre la sua disponibilità a prestare servizio senza armi in sanità; mantiene
fino alla fine un ricco scambio epistolare con l’amico Rudolf, come lui
terziario francescano, che aveva scelto di servire nell’esercito benché
condividesse lo stesso giudizio di Jägerstätter sul nazismo e sulla guerra.
Alterna giudizi di delusione e di comprensione nei riguardi delle autorità
ecclesiastiche e del loro atteggiamento nei confronti della guerra. Alla fine
non accetta le soluzioni di compromesso che gli vengono proposte perché tutte
prevedono la sua sottomissione al nazismo e alle ragioni della guerra nazista: Jägerstätter non obietta al
servizio militare come tale, ma a servire il Terzo Reich; non condanna la
guerra in assoluto, ma quella dalla parte di Hitler.
«Dio concede la propria grazia
a ciascuno come Egli vuole»
La profondità della coscienza cristiana del martire Franz,
la lucidità della sua ragione illuminata dalla fede emergono nelle lettere che
gli è concesso di scrivere dal carcere di Berlino. Nella più famosa troviamo
tutto quello che serve per capire la sua posizione e un insegnamento che vale
per tutti, fino ad oggi:
«Scrivo
con le mani legate, ma è meglio così che se fosse incatenata la volontà (i
condannati a morte restavano ammanettati fino all’esecuzione della sentenza –
ndr). Talvolta Dio ci mostra apertamente la sua forza, che Egli dona agli
uomini che lo amano e non preferiscono la terra al cielo. Né il carcere, né le
catene e neppure la morte possono separare un uomo dall’amore di Dio e rubargli
la fede e la sua libera volontà. La potenza di Dio è invincibile (…) C’è sempre
chi tenta di opprimerti la coscienza ricordandoti la sposa e i figli. Forse le
azioni che si compiono diventano giuste solo perché si è sposati e si hanno
figli? O forse l’azione è migliore o peggiore solo perché la compiono anche
altre migliaia di cattolici? (…) Cristo stesso non ha forse detto: “Chi ama la
moglie, la madre e i figli più di me non è degno di me?”. Per quale motivo
preghiamo Dio e chiediamo i sette doni dello Spirito Santo, se dobbiamo
comunque prestare in ogni caso cieca obbedienza? A che pro Dio ha fornito agli
uomini un intelletto e una libera volontà se non ci è neppure concesso, come
alcuni dicono, di giudicare se questa guerra che la Germania sta conducendo sia
giusta o ingiusta? A che serve allora saper distinguere tra bene e male? Io
credo che si possa anche prestare cieca obbedienza, ma solo se così facendo non
si danneggia nessuno. Se al giorno d’oggi gli uomini fossero un po’ più sinceri
ci dovrebbe essere, credo, anche qualche cattolico che dice: “Sì, mi rendo
conto che quello che stiamo compiendo non è bene, tuttavia non mi sento ancora
pronto a morire”. Se Dio non mi avesse dato la grazia e la forza di morire, se
necessario, per difendere la mia fede, forse farei semplicemente ciò che fa la
maggior parte della gente. Dio può, infatti, concedere la propria grazia a
ciascuno come Egli vuole. Se altri avessero avuto le molte grazie che ho
ricevuto io, forse avrebbe fatto cose molto migliori di me».
La colpa della «trascuratezza
verso il mio stesso essere»
Franz spazza via l’argomento che strumentalizza le parole di
Gesù sul “dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”, e
implicitamente anche quello che si appella alla “coscienza in buona fede” di
chi è andato a combattere nell’esercito del Terzo Reich. All’essere umano è
data la ragione di un soggetto morale la cui coscienza è capace di distinguere
il bene dal male, e in quanto integrata alla sua persona essa non può che
“funzionare” sempre: non esiste proprio che non debba essere esercitata davanti
alle richieste e alle decisioni dell’autorità civile. La voce della coscienza,
come spiegherà poi la Gaudium et Spes (nn. 16-18), parla
sempre, e se la singola persona non ode correttamente ciò che essa gli dice,
dipende da una trascuratezza del proprio essere che l’ha resa sorda.
Chi sostenesse che la coscienza lo legittima a combattere
per Hitler, dimostrerebbe semplicemente che non ha avuto cura della propria
formazione morale. Lo spiegherà l’allora
prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede Joseph Ratzinger in
un testo sul rapporto fra coscienza e verità pubblicato per la prima volta nel
1992 e riproposto in italiano in Liberare la libertà. Fede e politica nel Terzo
Millennio: «Non è mai una colpa seguire le convinzioni che ci si è formate, anzi
uno deve seguirle. Ma non di meno può essere una colpa che uno sia arrivato a
formarsi convinzioni tanto sbagliate e che abbia calpestato la repulsione verso
di esse, che avverte la memoria del suo essere. La colpa quindi si trova
altrove, più in profondità: non nell’atto del momento, non nel presente
giudizio della coscienza, ma in quella trascuratezza verso il mio stesso
essere, che mi ha reso sordo alla voce della verità e ai suoi suggerimenti
interiori. Per questo motivo, anche i criminali che agiscono con convinzione
rimangono colpevoli». (p. 107)
Il matrimonio non è ostacolo
ma forza decisiva al martirio
Se però sulla nettezza del giudizio che distingue fra il
bene e il male non si può mai transigere, il discorso cambia quando si tratta
della decisione esistenziale: non a
tutti è data la forza morale indispensabile a sacrificare la propria vita. Franz Jägerstätter dichiara
apertamente che la determinazione che lo spinge al patibolo per Cristo non
viene da lui stesso, ma da Dio, da un dono di grazia. Parla anzi di grazie, al
plurale. E qui va sciolto anche il nodo relativo alle responsabilità
familiari. In questo caso occorre leggere al di là dell’impeccabile citazione
dal Vangelo secondo Matteo sulla necessità di amare Cristo più dei propri
familiari. Nella realtà documentata della vita del contadino di Sankt Radegund
il matrimonio e la famiglia non sono un ostacolo al sacrificio della vita per
Cristo, ma una forza propulsiva decisiva a questo fine.
È in forza del bene
sperimentato nella comunione sponsale e nella paternità vissuta nel rapporto
con le tre figlie bambine che Franz matura una gratitudine per i doni di Dio
che è anche grazia che rende possibile la coerenza di fede fino all’effusione
del sangue. Lo ha illustrato in modo esteticamente perfetto Terrence
Malick nel noto film La vita nascosta – Hidden Life, lo
racconterà la mostra dal
titolo “Franz e Franziska, non c’è amore più grande” al
Meeting di Rimini che apre il 20 agosto.
Franz
Jägerstätter muore in pace con tutti, perdonando tutti e a tutti chiedendo
perdono, perché è consapevole che solo chi fa una grande esperienza di bene
risultato dei doni di grazia che gli fa Dio è propenso ad amare Cristo fino a
sacrificare la vita per Lui. Chi ancora non ha ricevuto quelle grazie può
chiederle nella preghiera, magari attraverso l’intercessione di Franz e degli
altri martiri come lui.
Nel
frattempo può almeno provare ad essere onesto con la propria coscienza e a dare
il giusto valore alla testimonianza dei martiri.
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Le immagini sono tratte dal film di Terence Malik
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