giovedì 7 febbraio 2013

LUIGI NEGRI: URGE LA CONVERSIONE DELLA CHIESA


La Chiesa non difende dei princìpi astratti, ma la vita buona che essi rappresentano

Monsignor Luigi Negri, che il 3 marzo lascerà la diocesi di Pennabilli per insediarsi in quella nuova di Ferrara, lunedì 4 febbraio ha visitato Benedetto XVI insieme ai vescovi dell’Emilia-Romagna. A tempi.it, Negri ha spiegato di essere «reduce da una visita in cui ognuno ha poi potuto incontrare personalmente il Santo Padre. Ho la percezione che si aspetti che l’azione cominciata nella diocesi di San Marino possa continuare e che fiorisca anche in quella di Ferrara. Intendo quindi proseguire quanto vissuto in questi anni: l’esperienza dell’appartenenza alla Chiesa attraverso il movimento di Comunione e Liberazione per dettare le indicazioni ideali e pratiche ed essere così pastore della Chiesa».

 

Quale la preoccupazione del Papa per la guida Chiesa di oggi?
Ha riespresso quella esposta durante l’ultimo Sinodo: che si rinnovi l’esperienza della fede in Gesù vivente ora. Perciò sprona tutti, noi vescovi in primis, alla conversione dell’intelligenza e del cuore per poi essere capaci di servire il popolo.

Cresciuto nel carisma di Comunione e Liberazione come lei anche Massimo Camisasca è stato appena nominato vescovo a Reggio Emilia, un’altra diocesi emiliana. Intervistato dal Corriere della Sera ha parlato della necessità di ricostruire la persona dentro la comunità. Sente la stessa urgenza?
Urge la conversione della Chiesa affinché la sua guida entusiasmi il popolo che in questo momento è nella disperazione intellettuale, morale e politica. La confusione viene dall’incapacità di riconoscere e guardare alla verità, che è la persona di Cristo. Perciò il popolo ha bisogno di qualcuno che gli voglia bene non in senso sentimentale, ma di un giudizio, di un riconoscimento: servono pastori che dicano e testimonino che tutto appartiene a Cristo e che la conversione a Lui può cambiare e rinnovare l’uomo e la società. Non solo i movimenti, ma tutta la realtà della Chiesa è sfidata a vivere l’integralità della sua identità nel mondo.

Si trova in una diocesi di tradizione socialista che un tempo dialogava con quella cattolica. Ora nel popolo è difficile fare distinzioni. Sta prevalendo il pensiero unico radicale già profetizzato in tempi non sospetti dal genio di Pier Paolo Pasolini. Che contributo culturale può dare la Chiesa?
La Chiesa è come se avesse davanti un’ultima possibilità per sé e per il mondo: proporre con verità e totalità la salvezza di cui ogni uomo ha nostalgia anche nelle situazioni più compromesse e devastate. Non bisogna dunque perdere tempo in analisi se non essenziali, né in strategie. Occorre che la Chiesa riproponga la sua presenza integrale di vita, per tornare incontrabile e attrattiva. La salvezza deve diventare sperimentabile nell’oggi. Amo ripetere una frase di Gabriel Marcel: «Ama chi dice all’altro tu non puoi morire». Questo da dire e testimoniare ad ogni uomo, perché sia certo che la sua vita è buona e che se segue Gesù Cristo potrà fare questa esperienza.

Lo stesso vale per affrontare una situazione socio-politica così drammatica?
Cosa può muovere la Chiesa in una situazione del genere? La certezza di Dio fatto uomo seguendo cui si genera una realtà diversa che può essere incontrata e vissuta. E che porta con sé una concezione della vita e dell’uomo integrali, tradotta nei famosi princìpi non negoziabili, come ha detto in maniera positiva e autorevole nella prolusione al consiglio permanente della Cei il cardinale Angelo Bagnasco: questi princìpi sono universali e fanno corpo con la fede, ossia con l’esperienza dell’uomo nelle comunità integralmente vissute.

L’impegno di un cristiano in politica parte quindi da qui.
Mi trovo totalmente d’accordo con la nota dell’allora cardinal Joseph Ratzinger sull’impegno dei cattolici in politica: «Quando l’azione politica viene a confrontarsi con princìpi morali che non ammettono deroghe, eccezioni o compromesso alcuno, allora l’impegno dei cattolici si fa più evidente e carico di responsabilità. Dinanzi a queste esigenze etiche fondamentali e irrinunciabili, infatti, i credenti devono sapere che è in gioco l’essenza dell’ordine morale, che riguarda il bene integrale della persona. È questo il caso delle leggi civili in materia di aborto e di eutanasia» dei «diritti dell’embrione umano. Analogamente, devono essere salvaguardate la tutela e la promozione della famiglia, fondata sul matrimonio monogamico tra persone di sesso diverso (…) non possono essere giuridicamente equiparate in alcun modo altre forme di convivenza, né queste possono ricevere in quanto tali un riconoscimento legale. Così pure la garanzia della libertà di educazione ai genitori per i propri figli è un diritto inalienabile».

C’è chi sostiene che non bisogna troppo calcare su questi princìpi ormai incompresi e percepiti come moralisti.
Il primo modo per cui non vengano percepiti astratti è che la comunità cristiana li viva integralmente. Infatti, la prima politica la comunità la fa vivendo fino in fondo la fede. Giussani diceva che il primo gesto politico della comunità cristiana non è l’analisi, ma la sua fede e quindi il suo porsi di conseguenza: con carità e passione missionaria. La Chiesa non difende dei princìpi astratti, ma la vita buona che essi rappresentano. E ha la responsabilità di mettere in guardia e difendere l’uomo senza “se” né “ma”, perché l’impoverimento sociale che travolge drammaticamente le famiglie ha la sua origine in quello umano. Infatti da dove viene la povertà? Non si può non guardare all’immoralismo comune che distrugge la fiducia delle persone. Lo scandalo bancario dei Monte dei Paschi dice di una mancanza di lealtà nei confronti della propria posizione, delle proprie responsabilità. Se questo immoralismo non viene giudicato le altre cosiddette ricette sono illusorie. Lo stesso vale per i poteri statali che invece che essere distinti e collaboranti vivono in una permanente tensione, dove alcuni intervengono senza controllo mettendo a dura prova l’impalcatura della struttura della nostra democrazia. In questo senso la Chiesa non ha ricette generali, ma deve educare la responsabilità personale attraverso l’autorità di un’esperienza cristiana più matura che offra delle ipotesi da verificare.

febbraio 6, 2013Benedetta Frigerio


 

Nessun commento:

Posta un commento