COSA DISSE DON GIUSSANI NEL 1996
IN UNA INTERVISTA ALLA "STAMPA"Ma lei si sente più garantito da un «cristiano» al governo?
No. Il problema è la sincera dedizione al bene comune e una competenza reale e adeguata. Ci può essere un cristiano ingolfato nei problemi ecclesiastici la cui onestà naturale e la cui competenza possono lasciare dubbi. Preferisco che non sia così. Come, secondo me, non è così per De Gasperi, La Pira, Moro e Andreotti.
Lei usa frequentemente termini come «umanità» e «giustizia». Perché, le pare forse che stiamo procedendo verso un mondo più umano e più giusto?
Il nostro punto di vista è di offrire il metodo per la risposta. Ma nessun metodo può affrontare le due parole - umanità e giustizia - con significativa approssimazione di verità. Per incominciare a comprendere parole che sovranamente sono indice di quel che c'è di più dignitoso nell'esperienza della natura a livello dell'io e quindi della società, occorre partecipare a un avvenimento. In tale avvenimento il significato di queste parole si gioca in modo drammaticamente scoperto, con un brivido di solitudine e dentro un orizzonte sempre inadeguato. Tutto calcolato, manca sempre qualcosa di definitivamente illuminante ed importante: manca sempre un di più per cui più si ricordano le esigenze sintetizzanti queste parole, più l'avvenimento da indagare e da ascoltare corrisponde a un "imprevisto" di cui parla Montale. Il contenuto dell'avvenimento è un incontro - nel senso banalmente reale del termine - con una realtà integralmente umana, come si incontra per la strada l'antico maestro che dica frasi buone: frasi buone su umanità e giustizia. Deve accadere quello che il popolo ebraico in tutta la sua storia ha atteso e che solo una esigua minoranza avrebbe riconosciuto quando è accaduto. Ed è per questo che noi viviamo un dolore per il popolo ebraico prima ancora che una forma di gratitudine per quanto è avvenuto.
«Giustizia». In Italia, però, questa parola è quasi diventata sinonimo di «rivoluzione giudiziaria». Quali conseguenze derivano da questa sovrapposizione?
Una parte esigua di tutto il popolo si erige a maestro illuminato e a giudice di tutti. È il concetto caratteristico di qualsiasi tentativo rivoluzionario. Da questa pretesa deriva la sovrapposizione di una "classe" a tutto il popolo, l'esasperazione di un particolare che crea nel popolo l'immagine del magistrato come il "puro" per natura, come accadde tra i maestri catari e albigesi. È la fanatizzazione di un particolare, per cui facilmente si trascurano le leggi che il progresso della civiltà ha pensato proprio per salvare l'azione di questo particolare in rapporto all'utilità del tutto. Ma l'esaltazione di un particolare fa dimenticare le regole; si annullano diritti della persona e quasi ogni sentimento di pietà, assicurando una idolatria agli attori in scena. No. Tutto questo non annulla la necessità di indagare e punire i colpevoli. L'avere assolto, sia pure in modo manomesso, questo compito, è l'apporto di utilità realizzato dagli esponenti di questa "rivoluzione".
Eppure lei ha lasciato intendere che la «rivoluzione giudiziaria» sia foriera di gravi sciagure. Perché Cl ha invitato a pregare la Madonna di Loreto e i Santi Patroni per la salvezza del nostro Paese?
La situazione è grave per lo smarrimento totale di un punto di riferimento naturale oggettivo per la coscienza del popolo, per cui il popolo stesso venga spinto a ricercare le cause reali del malessere e a salvarsi così dagli idoli.
Questo smarrimento comporta una inevitabile, se non progettata, distruzione dello stato di benessere, che risulta così totalmente minato nella tranquillità del suo farsi. Perché riprendere, bisogna pur riprendere!
Lei ritiene che questo sentimento sia condiviso dai giovani a contatto dei quali lei, sin dai tempi dei «giovani del Berchet», continuamente vive?
I giovani di oggi provengono da una traiettoria storica in cui la cultura è più omologata come rivoluzione che come più approfondito discernimento delle cause delle cose. Perciò si trovano più deboli di fronte allo scenario degli avvenimenti: sono più umanamente insicuri. Il bisogno della verità risulta invece fugacemente acuito. Come le masse dei bambini bosniaci e jugoslavi in ricerca della dimora. E i giovani di oggi non sanno che cosa sia la verità, perché nessuno glielo dice e nessuno li coinvolge in un cammino positivamente finalizzato. Il ritirato credito alla educazione per cui scetticismo, ironia negativa e non sufficiente fiducia rendono «polvere al vento», come dice il salmo 1, l'attività più appassionatamente umana che si possa concepire, cioè l'educazione.
PARTE PRIMA
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