Il voto dei cattolici e la prolusione del
cardinale Angelo Bagnasco alla Cei. A partire da questi due spunti, Giancarlo
Cerrelli, avvocato e vicepresidente centrale dell’Unione Giuristi Cattolici
Italiani, spiega come affrontare le elezioni, quale sia la vera posta in gioco,
non solo per i cattolici ma per tutto il paese, e da chi occorre ripartire.
La Chiesa non fa battaglia politica, ha detto il
cardinale Angelo Bagnasco ma, citando BenedettoXVI, ha ribadito che non può
nemmeno «restare ai margini nella lotta per la giustizia».
Per questo ha chiesto chiaramente la stesura di
programmi senza ambiguità lessicali sui princìpi
non negoziabili.
Vede qualcosa di analogo fra gli schieramenti?
Io
vedo programmi populisti e non chiari, se non in alcune parti, sui prìncipi citati
dal cardinale: «Tutela della vita»; «libertà di coscienza ed educazione»;
«famiglia basata sul vincolo del matrimonio tra uomo e donna»; «la giustizia
uguale per tutti e la pace». Questi, come ha detto il Papa e ribadito Bagnasco,
«corrispondono alla giusta misura dell’essere umano». Bagnasco ha parlato del
dramma che si genera in una concezione contraria, che riduce l’uomo a materia:
ha parlato dell’aborto, della fecondazione, degli uteri in affitto e di una
visione materialista ed economicista che deriva dal nichilismo e in cui gli
uomini sono monadi una accanto all’altra ma che non stanno insieme.
I princìpi non negoziabili, dice Bagnasco citando il
Papa, devono «essere difesi con la massima chiarezza». La Chiesa, cita ancora,
«deve fare tutto
il possibile per creare una convinzione che poi possa
tradursi in azione politica». Cosa vuol dire?
È
ovvio che solo una cultura popolare condivisa dai più si trasforma in civiltà.
In questo contesto si parla di politica come bene della polis, che diventa bene
comune solo se pone al centro questi princìpi unitivi e non divisivi: perciò
sono in totale sintonia con il cardinale quando dice che non si può
neutralizzare il dibattito in merito per mettersi d’accordo e quindi lasciare
libertà di coscienza. Questa è una libertà relativista: non si può mettere ai
voti la vita umana né la sua natura. In questo senso, conoscere la dottrina
sociale della Chiesa è vincolante per un cristiano: ci dice come si sarebbe
mosso Gesù davanti a determinati problemi. Agendo in maniera ragionevole e non
confessionale. Per questo seguirla è un bene per tutti, non solo per i
cattolici.
È difficile questa volta scegliere partendo da questi
criteri, perché se ci sono partiti totalmente contrari ad essi ce ne sono altri
che non li ostacolano, ma non li difendono nemmeno chiaramente.
Ci
sono partiti che sono chiaramente contro di essi, come il Pd, Sel, il movimento
Rivoluzione Civile di Ingroia, quello Cinque stelle di Grillo. Il cardinale è
stato chiaro, a
noi
cattolici laici la responsabilità di aiutare i piccoli a discernere e a non
votare di pancia, sull’onda del sentimento. Ad esempio: la Sinistra parla di
solidarietà verso i deboli,
i diversi, ma che vuol dire se poi è favorevole ad aborto e eutanasia? Occorre
aiutare i giovani ad usare la ragione. Bisogna allora discernere e vedere chi,
se non supporta,
almeno non attacca apertamente l’uomo. Occorre scegliere chi lascia una
maggiore libertà ai cittadini per vivere e difendere questi princìpi. I
politici impegnati e i
cattolici devono fare poi attenzione anche ad eventuali aperture o alleanze con
partiti o coalizioni che hanno nei loro programmi ideologie contrarie a questi
princìpi. O con
chi potrebbe favorire questi partiti. Il resto, il lavoro, la solidarietà, la
giustizia, come dice il cardinale, sono conseguenze. In campagna elettorale
tutti parlano di tasse, di
Europa, stabilità, ma nulla terrà se al centro non si rimette l’uomo.
Come comunicare la bontà di questi prìncipi in un mondo
che, come dice il cardinale, fatica a comprendere il dono di sé?
Innazitutto
i princìpi non negoziabili non sono confessionali, ma tutelano la vera natura
di ogni uomo. Quella che Cristo è venuto a illuminare, ma che, ripeto, resta la
stessa per tutti.
La questione che riguarda Cristo non sembra mai veramente
urgente, ha ricordato Bagnasco citando il Papa. Pare poco concreta. Cosa c’entra
con
la politica?
C’entra
moltissimo: il cristianesimo non è una dottrina, ma la scoperta di una vita
nuova, più vera. Vita che nasce dal rapporto con Cristo vivente che riempie l’esistenza,
ad esempio nel sacramento matrimoniale in cui l’uomo si compie nell’alterità
che è la donna per l’uomo e viceversa. Se l’amore a Lui non è il motivo dell’accoglienza
dei figli, dei sacrifici necessari il “per sempre”, allora possiamo proclamare
i princìpi ma non cambierà mai nulla. Se non cerchiamo Cristo nel nostro
vivere, non capiamo più la convenienza e la bellezza di una vita così e non la
sapremo testimoniare. È questa mancanza che ci rende anche tiepidi nella difesa
dei princìpi non negoziabili.
Altrimenti?
Si produce come per contagio una cultura nuova che poi diventa azione. «C’è una
tiepidezza che discredita il cristianesimo», ha detto il cardinale. E citando
il Papa ha ribadito che se la fede non diventa «fiamma dell’amore» non può
«accendere il fuoco» neanche nell’altro.
Il Papa parla spesso dei monaci che ricostruirono l’Europa
ricominciando a cercare Dio in ogni cosa.
Se
non cerchiamo Cristo in ogni rapporto o evento, come sottolinea il Santo Padre,
non può nascere una nuova società e quindi una nuova politica. Come i monaci attrassero
i barbari? Il “Querere Deum” generava un nuovo modo di vivere, più bello e
umano, ne derivò una vera antropologia. Per questo, tenuto conto dei prìncipi
che nascono da questa
esperienza, abbiamo una responsabilità morale sul voto.
tratto da Tempi
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