MAURIZIO LUPI
Vorrei solo essere chiaro sin dall’inizio: l’interlocutore non è Cl,
l’interlocutore sono io in prima persona, con le scelte che io ho fatto di
impegnarmi direttamente in politica e di farlo in un preciso partito. Chi
voglia entrare nelle istituzioni come rappresentante del popolo ha infatti a
disposizione un solo strumento: i partiti.
Tu chiedi: si può ignorare il fatto che negli ultimi vent’anni la
stragrande maggioranza degli aderenti a Cl che si è impegnata in politica lo ha
fatto nello schieramento di Berlusconi?
No. Non lo si può ignorare, e per quanto mi riguarda questa scelta
continua. La mia e quella di tanti amici non è e non è mai stata una scelta “ad
personam”, ma quella di collaborare alla costruzione di una società dove bene
comune e benessere di tutti fossero i due pilastri fondamentali. Io sono
sinceramente convinto che tutta la ricchezza espressiva a livello sociale e
culturale dell’esperienza della comunità cristiana sia un contributo decisivo
al nostro paese. Meglio di me l’ha detto Benedetto XVI a Westminster: «La
religione per i legislatori non è un problema da risolvere, ma un fattore che
contribuisce in modo vitale al dibattito pubblico nella nazione». Questo
impegno è a 360 gradi, dall’economia alla solidarietà, dalla famiglia al fisco,
dalla bioetica alla giustizia, dalla scuola alle carceri. Non esistono temi
“cattolici” di cui noi credenti dobbiamo occuparci. Esistono, questo sì,
criteri fondamentali venendo meno i quali viene meno la possibilità del vivere
sociale così come la storia del nostro Paese e dell’Europa dimostra: il
rispetto della vita umana, della persona, il ruolo della famiglia, la responsabilità
del singolo, la difesa della sua libertà, il valore del lavoro.
Non do patenti di cattolicità a nessuna forza politica, dico, in virtù
della mia esperienza e del mio tentativo, che nel progetto del centrodestra
(non in tutti i suoi uomini e nelle loro coerenze o incoerenze, né in tutte le
sue realizzazioni) ho trovato lo spazio per lavorare culturalmente e
politicamente per favorire questa “libertas ecclesiae” di cui parla la nota di
Cl.
In Cl sono stato educato alla razionalità, alla libertà, alla
responsabilità e all'amore per il bene della gente. Io non so se la mia scelta
sia quella piú giusta, so che è libera e ha delle ragioni che posso sostenere
pubblicamente.
Tu chiedi di dare un giudizio su questi miei venti anni di berlusconismo
ora che il berlusconismo è in crisi. Potrei risponderti semplicemente che non
mi va di buttare via anni di lavoro proprio ora che si tratta di far diventare
patrimonio comune non la persona di Berlusconi (un pericolo che andrebbe
evitato anche per chi, appena salito in politica, ha suscitato entusiasmi
altrettanto personalistici), ma ciò che il suo operato politico ha introdotto
nel tessuto del paese.
So che al mio elenco può esserne contrapposto uno di segno opposto, ma
questo non deve esimerci dal considerare che in questi anni: si è affermata
l’idea politica dell’alternanza, è cresciuta la considerazione del protagonismo
sociale, è emersa come consapevolezza generale l’idea del merito, del valore
dell’intrapresa, e del principio di sussidiarietà, non è più un tabù parlare di
libertà di educazione, lo statalismo non è più un valore, il dialogo fra laici
e cattolici su temi etici divisivi è stato una realtà, il collocamento
internazionale del nostro paese non è più stato in discussione, in materia di
lavoro sono state superate alcune rigidità anche da parte sindacale (per poi
tornare indietro sotto il governo dei tecnici), nel campo del welfare il
contributo del non profit ha trovato strumenti come il 5x1000 che certo non
sono stati introdotti dal partito comunista.
Tutto merito di una sola persona? No, degli spazi di libertà che la sua
iniziativa politica ha concesso a chi voleva portare a livello politico
l’esperienza di costruzione di realtà vive e concrete che - nonostante la
crisi, nonostante certi politici, nonostante certi magistrati, nonostante il
disfattismo dei media - tengono in piedi l’Italia.
Questa è stata l’altra appassionante sfida di questi anni, lavorare insieme
con chi è diverso da te, con chi proviene da altre esperienze politiche e
culturali, ma condivide un progetto e una battaglia per la libertà e la
responsabilità. Questo è successo dentro il Pdl.
Di unità e di lavoro comune ho fatto esperienza con molti cristiani
presenti in Parlamento in partiti diversi. L’unità, e questo lo dico anche a
chi pensa che io e Mario Mauro non siamo più “amici”, non è data dal militare
nello stesso partito.
In questo senso, infatti, è caduto
un alibi: l’unità è nell’esperienza della comunità cristiana che ci educa e ci
costringe ad approfondire sempre le ragioni delle nostre scelte e riconoscere
in che cosa consiste e dove si fonda la nostra speranza.
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