Paolo Gulisano
3 gennaio
1892: a Bloemfontein, nello Stato Libero di Orange, Sudafrica, nasceva John
Ronald Reuel Tolkien, figlio
primogenito di una coppia di inglesi da poco tempo trasferitisi per lavoro nella lontanissima colonia britannica. 121 anni dopo il nome di Tolkien continua a risuonare, continua a significare Fantasia, Mito, Avventura. Un anniversario che quest’anno coincide con l’uscita del film di Peter Jackson The Hobbit, tratto dal libro con cui Tolkien esordì in campo letterario 75 anni orsono. Senza quel buffo personaggio, lo Hobbit, intorno al quale aveva costruito il suo primo romanzo, probabilmente tutto l’universo fantastico che Tolkien andava elaborando da anni non avrebbe mai conosciuto la pubblicazione: il timido professore avrebbe continuato a scrivere a matita sui suoi quaderni storie di elfi, di ascese e cadute di antichi regni, storie mitiche collocate in epoche arcaiche che quasi sicuramente nessun editore avrebbe mai pubblicato.
primogenito di una coppia di inglesi da poco tempo trasferitisi per lavoro nella lontanissima colonia britannica. 121 anni dopo il nome di Tolkien continua a risuonare, continua a significare Fantasia, Mito, Avventura. Un anniversario che quest’anno coincide con l’uscita del film di Peter Jackson The Hobbit, tratto dal libro con cui Tolkien esordì in campo letterario 75 anni orsono. Senza quel buffo personaggio, lo Hobbit, intorno al quale aveva costruito il suo primo romanzo, probabilmente tutto l’universo fantastico che Tolkien andava elaborando da anni non avrebbe mai conosciuto la pubblicazione: il timido professore avrebbe continuato a scrivere a matita sui suoi quaderni storie di elfi, di ascese e cadute di antichi regni, storie mitiche collocate in epoche arcaiche che quasi sicuramente nessun editore avrebbe mai pubblicato.
Il film,
apprezzato ma anche discusso e al centro di diversi dibattiti nel mondo degli
appassionati, degli esperti, e anche dei familiari ed eredi del grande
scrittore inglese, ha avuto in ogni caso il merito di aver riportato ancora una
volta al centro dell’interesse uno scrittore straordinario e mai troppo
conosciuto e valorizzato a sufficienza.
Grazie a Dio
oggi sono completamente scomparse quelle letture ideologiche che per lunghi
anni avevano cercato di offuscare la bellezza e la grandezza di quest’opera
letteraria. Polemiche che in Italia si erano trascinate fino all’uscita del
primo film di Jackson, quando la stampa di sinistra, quasi obbedendo ad un
riflesso condizionato di tipo pavloviano, rilanciò le trite accuse di
“fascismo” mosse a Tolkien fin dagli anni 70. Ma nel 2001 furono gli stessi
lettori a spernacchiare i loro quotidiani, come accadde al Manifesto che
si vide subissare di messaggi di lettori che invitavano a smetterla di dare
etichettature surreali ad un autore che essi avevano letto ed amavano. Già,
perché le diatribe “politiche” erano il frutto di una “non-lettura” bipartisan.
Non lo avevano letto a sinistra, dove lo immaginavano “fascista” solo perché
parlava di eroismo, di bene e di male, e non lo avevano letto nemmeno a destra,
dove sedicenti esperti vaneggiavano di un’etica “indo-aria”, di valori
guerrieri, senza accorgersi che gli eroi principali erano dei piccoli, degli
umili, gli Hobbit, appunto.
Poi, grazie
anche al lavoro di chi Tolkien lo aveva studiato, insieme al suo mondo
culturale, attingendo alle fonti della sua vita e di tutta la sua opera, venne
messa in luce anche la sua profonda religiosità, che costituisce il punto
focale della sua opera.
La saggezza di Tolkien è affidata alle parole di
Gandalf, nella conclusione del Signore
degli Anelli, ove dice “Altri mali potranno sopraggiungere, perché
Sauron stesso non è che un servo o un emissario. Ma non tocca a noi dominare
tutte le maree del mondo, il nostro compito è di fare il possibile per la
salvezza degli anni nei quali viviamo, sradicando il male dai campi che
conosciamo, al fine di lasciare a coloro che verranno dopo terra sana e pulita
da coltivare. Ma il tempo che avranno non dipende da noi”. E' questo
il manifesto dell'umano realismo, profondamente cristiano, opposto agli incubi
di tutte le utopie, con le loro promesse ingannatrici e illusorie.
Aveva ben
ragione Tolkien di difendersi dalle accuse di “escapismo”, cioè di disimpegno,
rivolte - del tutto a torto - alla sua opera. Non è, il mondo descritto nella
Terra di Mezzo, quello in cui fuggire disertando dai propri obblighi e dai
propri impegni, ma è invece la propria patria autentica, la propria casa
accogliente, attualmente soppiantata e soffocata dai pessimi risultati della
modernità figlia delle utopie ideologiche. E' il mondo, come ebbe a dire lo
stesso Tolkien, della coraggiosa evasione del prigioniero, non della fuga
pavida del disertore. Si accede alla Terra di Mezzo, ci si inoltra in essa, per
realizzare un cammino attraverso il quale si diviene autenticamente sé stessi,
eliminando il superfluo e facendo emergere la nobilis forma, la forma
nobile dell'uomo, liberata da ogni grossolanità e impurità, che può così
rivelare la propria origine divina. Il compito della vita consiste nel sanare
ciò che è malato, sconfiggere ciò che è sordido, elevare il proprio spirito,
nella condizione in cui ciascuno è chiamato ad esistere, riconciliando la
propria natura con quel dono proveniente dal divino che possiamo chiamare grazia.
Tolkien ebbe
a precisare cosa intendeva rappresentare nel conflitto tra il bene e il male,
in una lettera a proposito del significato del suo capolavoro: “Ne Il
Signore degli Anelli il conflitto fondamentale non riguarda la libertà, che
tuttavia è compresa. Riguarda Dio, e il diritto che Lui solo ha di ricevere
onori divini”. E’ il conflitto tra Dio e l'idolatria, che ha molte forme di
espressione, anche subdole. E’ il conflitto tra Gandalf e Saruman, tra colui
che serve umilmente “il fuoco segreto”, ovvero la verità, e l’opportunista
narcisista che si vuole auto-innalzare, che nella propria celestiale superbia
si arroga quei diritti, quei poteri, che non gli appartengono.
Questa è
forse la più importante eredità lasciataci da Tolkien nelle sue storie, nelle
sue avventure, nei suoi piccoli eroi: ricordarci che - come ebbe a scrivere - “un cristiano era (ed è) come i suoi
avi, un mortale rinchiuso in un mondo ostile”, e in questa realtà
bisogna tenere a bada l’oscurità non con il potere, ma con umili gesti
quotidiani di bontà e di amore.
Nessun commento:
Posta un commento