Luigi Negri*01-01-2013
L’esigenza
fondamentale in un momento come questo della nostra vita sociale è quello di
avere delle proposte culturalmente forti, dalle quali poi trarre le conseguenze
di carattere sociale e politico.
Il mondo cattolico ha a disposizione secoli, una serie di proposte forti che si sintetizzano nel senso del termine stesso della Dottrina sociale della Chiesa. Dottrina di libertà per la persona, per la famiglia, per la società e di autentica dialettica positiva nei confronti delle istituzioni affinché le istituzioni si pongano a servizio della società e non cerchino di imporsi alla società, come spesse volte ha richiamato il beato Giovanni Paolo II.
Ora il magistero di Benedetto XVI ha avuto a questo livello il merito di sintetizzare ancora più radicalmente la questione formulando quel valori non negoziabili che - come ha detto il Papa più di una volta - trovano la loro fondazione, la loro adeguata esplicitazione nell’ambito della tradizione ecclesiale; ma sono come tali princìpi di ragione, e quindi utilizzabili, fruibili da parte anche di coloro che non hanno una esplicita professione di fede. In questo senso sono valori perfettamente laici sui quali si può costruire una realtà sociale piena, e di profonda laicità. Laicità intesa come apertura al problema del senso della vita, della verità, della bellezza, del bene, della giustizia, non quella laicità che qualcuno ha addirittura chiamato in questi ultimi tempi «sano laicismo di Stato».
Il mondo cattolico ha bisogno di essere richiamato a questi valori. E questi valori devono essere formulati in modo sempre più chiaro, stringente, esemplificando la loro pertinenza, in modo che diventino i criteri per la scelta di persone, di formazioni, di strutture, le quali poi possono essere fatte tenendo presenti anche degli aspetti più analitici. Ma si arriva alle necessarie analisi, che possono essere anche articolate e variegate, soltanto se esiste una forte adesione a questi princìpi.
Questo è lo spazio della vita ecclesiale che deve essere riempito: quello di una autentica formazione a una cultura della fede, e quindi a una cultura della Dottrina sociale.
Mi sembra che concentrare immediatamente l’attenzione da parte dei vari ambiti della vita ecclesiale su analisi di carattere “politico” o valutazioni di carattere personale, finisca per ridurre il peso e la portata della presenza cattolica in Italia.
Sia a livello della vita del popolo, sia a livello delle strutture sociali, sia a livello delle strutture istituzionali, quella cattolica in Italia è una presenza di forti motivazioni ideali, che poi diventano criteri per valutare condizioni, proposte, progetti di carattere politico. Se si inverte il processo, ciò che è analitico e conseguenziale rischia di diventare iniziale e fondante. E questo non serve, non è positivo né per la presenza cattolica né per la realtà sociale.
Si deve poi ricordare – e non sarà cosa secondaria – il principio fondamentale con cui la Dottrina sociale della Chiesa ha sempre valutato persone e istituzioni, ovvero il concetto di libertas ecclesiae (libertà della Chiesa). Certamente anche libertà dai condizionamenti, dai tentativi di ridurre istituzionalmente la libertà, ma soprattutto libertà di presenza, libertà di missione, libertà di svolgere dentro il mondo tutta la potenza dell’annunzio evangelico dalla fede alle opere. È proprio questa chiarezza, questo recupero del valore della libertà, libertas ecclesiae, come libertà di missione ad essere particolarmente significativo in un momento grave di passaggio della nostra vita sociale.
Il mondo cattolico ha a disposizione secoli, una serie di proposte forti che si sintetizzano nel senso del termine stesso della Dottrina sociale della Chiesa. Dottrina di libertà per la persona, per la famiglia, per la società e di autentica dialettica positiva nei confronti delle istituzioni affinché le istituzioni si pongano a servizio della società e non cerchino di imporsi alla società, come spesse volte ha richiamato il beato Giovanni Paolo II.
Ora il magistero di Benedetto XVI ha avuto a questo livello il merito di sintetizzare ancora più radicalmente la questione formulando quel valori non negoziabili che - come ha detto il Papa più di una volta - trovano la loro fondazione, la loro adeguata esplicitazione nell’ambito della tradizione ecclesiale; ma sono come tali princìpi di ragione, e quindi utilizzabili, fruibili da parte anche di coloro che non hanno una esplicita professione di fede. In questo senso sono valori perfettamente laici sui quali si può costruire una realtà sociale piena, e di profonda laicità. Laicità intesa come apertura al problema del senso della vita, della verità, della bellezza, del bene, della giustizia, non quella laicità che qualcuno ha addirittura chiamato in questi ultimi tempi «sano laicismo di Stato».
Il mondo cattolico ha bisogno di essere richiamato a questi valori. E questi valori devono essere formulati in modo sempre più chiaro, stringente, esemplificando la loro pertinenza, in modo che diventino i criteri per la scelta di persone, di formazioni, di strutture, le quali poi possono essere fatte tenendo presenti anche degli aspetti più analitici. Ma si arriva alle necessarie analisi, che possono essere anche articolate e variegate, soltanto se esiste una forte adesione a questi princìpi.
Questo è lo spazio della vita ecclesiale che deve essere riempito: quello di una autentica formazione a una cultura della fede, e quindi a una cultura della Dottrina sociale.
Mi sembra che concentrare immediatamente l’attenzione da parte dei vari ambiti della vita ecclesiale su analisi di carattere “politico” o valutazioni di carattere personale, finisca per ridurre il peso e la portata della presenza cattolica in Italia.
Sia a livello della vita del popolo, sia a livello delle strutture sociali, sia a livello delle strutture istituzionali, quella cattolica in Italia è una presenza di forti motivazioni ideali, che poi diventano criteri per valutare condizioni, proposte, progetti di carattere politico. Se si inverte il processo, ciò che è analitico e conseguenziale rischia di diventare iniziale e fondante. E questo non serve, non è positivo né per la presenza cattolica né per la realtà sociale.
Si deve poi ricordare – e non sarà cosa secondaria – il principio fondamentale con cui la Dottrina sociale della Chiesa ha sempre valutato persone e istituzioni, ovvero il concetto di libertas ecclesiae (libertà della Chiesa). Certamente anche libertà dai condizionamenti, dai tentativi di ridurre istituzionalmente la libertà, ma soprattutto libertà di presenza, libertà di missione, libertà di svolgere dentro il mondo tutta la potenza dell’annunzio evangelico dalla fede alle opere. È proprio questa chiarezza, questo recupero del valore della libertà, libertas ecclesiae, come libertà di missione ad essere particolarmente significativo in un momento grave di passaggio della nostra vita sociale.
*Arcivescovo eletto di Ferrara-Comacchio
Nessun commento:
Posta un commento