I mezzi di informazione continuano a
chiamare in causa il nome di Comunione e Liberazione a proposito delle vicende
politiche, paventando divisioni e contrasti all’interno del movimento sulle
scelte elettorali dei prossimi mesi.
Per prima cosa, desideriamo ribadire
quanto è da sempre nella natura di CL, ma che in questo momento è
particolarmente evidente: l’unità del movimento non è una omologazione
politica, tanto meno si identifica con uno schieramento partitico, ma è legata
all’esperienza originale di CL (e in questo senso viene prima di qualunque
opinione o calcolo pur legittimo): un aiuto a vivere e a testimoniare la fede
come pertinente alle esigenze della vita. È con tale esperienza che ogni
aderente al movimento ha la possibilità di paragonarsi, qualunque sia il suo
posto nella società.
In secondo luogo, alla luce di
questa preoccupazione fondamentale, l’impegno politico in senso stretto
riguarda la persona e non CL in quanto tale. Per parte sua, il movimento guarda
con simpatia chi, tra i suoi aderenti, decide di assumersi il rischio di un
tentativo politico; e si augura che dall’educazione ricevuta, e in continuità
col magistero ecclesiale, tragga continuamente i criteri ideali per impegnarsi
in favore del bene comune, della libertà della Chiesa e del benessere anche
materiale del Paese, assicurando con la propria presenza nelle istituzioni le
condizioni di una reale democrazia, cioè una libertà espressiva e associativa
delle persone e delle formazioni sociali. Si attuerebbe così l’auspicio di
Benedetto XVI: «I cristiani non cercano l’egemonia politica o culturale, ma,
ovunque si impegnano, sono mossi dalla certezza che Cristo è la pietra angolare
di ogni costruzione umana. […] Il contributo dei cristiani è decisivo solo se
l’intelligenza della fede diventa intelligenza della realtà, chiave di giudizio
e di trasformazione» (21 maggio 2010).
A metà degli anni Settanta, in un
momento altrettanto problematico per la vita civile italiana, don Giussani
formulò alcuni giudizi che possono rappresentare anche oggi un contributo per
vivere da cristiani nei vari ambiti della società, fino alla politica:
1. «Il primo livello di incidenza politica di una comunità cristiana viva è la sua stessa esistenza, in quanto questa implica uno spazio e delle possibilità espressive»; essa, «per propria natura, non chiede la libertà di vita e di espressione come solitario privilegio, ma piuttosto di riconoscimento a tutti del diritto di tale libertà. Quindi, per il solo fatto di esistere, se sono autentiche, le comunità cristiane sono appunto garanti e promotrici di democrazia sostanziale». In questo senso, «la moltiplicazione e la dilatazione di comunità cristiane vitali ed autentiche non può che determinare la nascita e lo sviluppo di un movimento il cui influsso sulla società civile tende inevitabilmente ad essere di sempre maggior rilievo; l’esperienza cristiana diventa così uno dei protagonisti della vita civile, in costante dialogo e confronto con tutte le altre forze e le altre presenze di cui questa si compone».
2. «Una comunità cristiana autentica vive in costante rapporto con il resto degli uomini, di cui condivide totalmente i bisogni, ed insieme coi quali sente i problemi. Per la profonda esperienza fraterna che in essa si sviluppa, la comunità cristiana non può non tendere ad avere una sua idea ed un suo metodo d’affronto dei problemi comuni, sia pratici che teorici, da offrire come sua specifica collaborazione a tutto il resto della società in cui è situata».
3. «Quando dalla fase della sollecitazione e dell’animazione politico-culturale si giunge a quella della militanza politica vera e propria, non è più la comunità in quanto tale ad impegnarsi, ma sono le singole persone che a responsabilità propria, anche se formate dalla vita concreta della comunità medesima, si impegnano alla ricerca di strumenti ulteriori di incidenza politica sia teorici che pratici». Perciò, «non è affatto né corretto né leale l’uso, invalso su molti giornali, di definire “candidati di CL”, “consiglieri comunali di CL” quei militanti del nostro movimento che si sono direttamente impegnati nelle campagne elettorali ed in genere nella militanza politica, come pure − e soprattutto − non è affatto corretto definire “leaders di CL” i dirigenti dei gruppi da essi costituiti».
Giussani concludeva, perciò, che «c’è fra noi tutti in quanto CL, ed i nostri amici impegnati nel Movimento Popolare e nella DC, un’irrevocabile distanza critica», in quanto «se non fosse così, se cioè qualsiasi realizzazione per il solo fatto di essere stata promossa da persone di CL […] diventasse meccanicamente “del movimento”, l’esperienza ecclesiale finirebbe per essere strumentalizzata, e le comunità si trasformerebbero in piedistalli ed in coperture di decisioni e di rischi che invece non possono che essere personali» (L. Giussani, Il Movimento di Comunione e Liberazione. Conversazioni con Robi Ronza, Jaca Book, Milano (1976) 1986, pp. 118-121).
1. «Il primo livello di incidenza politica di una comunità cristiana viva è la sua stessa esistenza, in quanto questa implica uno spazio e delle possibilità espressive»; essa, «per propria natura, non chiede la libertà di vita e di espressione come solitario privilegio, ma piuttosto di riconoscimento a tutti del diritto di tale libertà. Quindi, per il solo fatto di esistere, se sono autentiche, le comunità cristiane sono appunto garanti e promotrici di democrazia sostanziale». In questo senso, «la moltiplicazione e la dilatazione di comunità cristiane vitali ed autentiche non può che determinare la nascita e lo sviluppo di un movimento il cui influsso sulla società civile tende inevitabilmente ad essere di sempre maggior rilievo; l’esperienza cristiana diventa così uno dei protagonisti della vita civile, in costante dialogo e confronto con tutte le altre forze e le altre presenze di cui questa si compone».
2. «Una comunità cristiana autentica vive in costante rapporto con il resto degli uomini, di cui condivide totalmente i bisogni, ed insieme coi quali sente i problemi. Per la profonda esperienza fraterna che in essa si sviluppa, la comunità cristiana non può non tendere ad avere una sua idea ed un suo metodo d’affronto dei problemi comuni, sia pratici che teorici, da offrire come sua specifica collaborazione a tutto il resto della società in cui è situata».
3. «Quando dalla fase della sollecitazione e dell’animazione politico-culturale si giunge a quella della militanza politica vera e propria, non è più la comunità in quanto tale ad impegnarsi, ma sono le singole persone che a responsabilità propria, anche se formate dalla vita concreta della comunità medesima, si impegnano alla ricerca di strumenti ulteriori di incidenza politica sia teorici che pratici». Perciò, «non è affatto né corretto né leale l’uso, invalso su molti giornali, di definire “candidati di CL”, “consiglieri comunali di CL” quei militanti del nostro movimento che si sono direttamente impegnati nelle campagne elettorali ed in genere nella militanza politica, come pure − e soprattutto − non è affatto corretto definire “leaders di CL” i dirigenti dei gruppi da essi costituiti».
Giussani concludeva, perciò, che «c’è fra noi tutti in quanto CL, ed i nostri amici impegnati nel Movimento Popolare e nella DC, un’irrevocabile distanza critica», in quanto «se non fosse così, se cioè qualsiasi realizzazione per il solo fatto di essere stata promossa da persone di CL […] diventasse meccanicamente “del movimento”, l’esperienza ecclesiale finirebbe per essere strumentalizzata, e le comunità si trasformerebbero in piedistalli ed in coperture di decisioni e di rischi che invece non possono che essere personali» (L. Giussani, Il Movimento di Comunione e Liberazione. Conversazioni con Robi Ronza, Jaca Book, Milano (1976) 1986, pp. 118-121).
Questi spunti, proposti quasi
quarant’anni fa da don Giussani, fondatore di CL, ci appaiono quanto mai
attuali nel panorama politico italiano di questi mesi e rappresentano,
pertanto, ancora il giudizio più lucido e sintetico con cui guardiamo
l’evolversi delle iniziative politiche e delle proposte che da esse nasceranno
nelle prossime settimane.
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