martedì 29 gennaio 2013

LEZIONE DI GIORNALISMO DEL VESCOVO DI TRIESTE


Riproduciamo un articolo apparso sul settimanale Vita Nuova di Trieste, che riporta le parole pronunciate dall’arcivescovo
Giampaolo Crepaldi alla festa del patrono dei giornalisti. Per meglio comprendere il discorso di Crepaldi è utile conoscere gli ultimi avvenimenti accaduti in città, dove una violenta campagna di stampa e alcune improvvide dichiarazioni di esponenti della giunta locale di sinistra l’hanno preso come bersaglio.

Siamo abituati a collegare immediatamente il giornalismo con l’informazione. Ma oggi è ancora così? Mi spiego. Il giornalismo produce informazione, l’informazione è fondamentale per il dialogo pubblico, il dialogo pubblico è essenziale per la democrazia… quindi il giornalismo è essenziale per la democrazia. Di solito questo è il ragionamento, sostenuto anche da fior fiore di filosofi, basti pensare ad Habermas. Da qui il grande potere del giornalismo in democrazia che, però, proprio per questo, ossia perché è un grande potere, qualche problema alla democrazia lo pone. Questa contraddizione richiede oggi di rivedere alcuni luoghi comuni sul giornalismo.

Nel dibattito politico si parla spesso di poteri forti. Ci si riferisce, di solito, alla finanza, all’industria, alle consorterie internazionali, ai grandi network della comunicazione televisiva. Qualcuno, polemicamente, dice che oggi anche una certa magistratura è un potere forte. Ma raramente si riflette sul fatto che anche la stampa è un potere forte, e spesso intrecciato con gli altri che ho elencato qui sopra. Anzi, la grande stampa spesso si propone come luogo ove si condannano i poteri forti, inducendo così a trascurare che essa stessa non di rado vi appartiene. E’ vero che i giornali tradizionali su carta sono in crisi ovunque, ma qui, per “stampa” , non intendo solo i giornali stampati, ma anche i nuovi strumenti della comunicazione on line.

I giornalisti esercitano oggi un forte potere. Questo deriva, dal punto di vista culturale, dal fatto che oggi, diversamente dal passato, l’informazione è sempre anche formazione. Un tempo si distingueva, almeno teoricamente, tra informazione e formazione. Questa distinzione veniva espressa con una frase piuttosto ingenua: “i fatti separati dalle opinioni”. Il mito del cosiddetto giornalismo anglosassone si fondava su questa ingenuità. Ai tempi dei giornali ideologici e di partito si era soliti distinguere questi ultimi da quelli cosiddetti “indipendenti”, che però indipendenti non erano. Oggi queste distinzioni non si possono più fare. Il motivo, paradossale, è che non esistono più i giornali ideologici e di partito, perché non esistono più le ideologie e i partiti come li avevamo conosciuti in passato. Attenzione, però, che questa scomparsa delle ideologie non ha per niente lasciato libero il campo ai soli giornali indipendenti per un giornalismo indipendente, ma ha trasformato questi stessi in giornali che formano informando. Formano non più applicando ai fatti raccontati una riflessione / valutazione ideologica, ma formano raccontando i fatti e, portando in pagina ciò che accade in strada, lo legittimano e lo impongono.

In questo modo il sistema giornalistico è, nel complesso, conservatore: accerta ciò che accade nella strada e lo legittima. Dai giornali non si impara più niente, si apprende solo che “oggi si fa così” e che è giusto fare così. Che è una nuova, inedita, grande ideologia. Nella nostra società le cose che contano si impongono per prassi. Si tratta di atteggiamenti nuovi, di modi di vestire, di divertirsi, di usare una parola piuttosto che un’altra. Si possono fare convegni fin che si vuole sul matrimonio, ma se la moda – ripeto: la moda, quindi non qualcosa di consapevole e di approfondito, ma un atteggiamento mimetico – impone la convivenza la famiglia fondata sul matrimonio è già bell’e morta. Ecco, i giornali non esercitano più nessuna voce critica rispetto a quanto accade in strada e, per questo, formano informando.

Ne consegue che il sistema giornalistico tende ad esprimere un pensiero unico. Questo è apparentemente in contrasto con la grande pluralità dei mezzi informativi esistenti sul campo. Ma se io prendo i maggiori quotidiani italiani che, magari su questa o quella questioncina si azzuffano, sulle grandi questioni della vita umana sono tutti allineati, almeno nel non prendere posizione. Certo, c’è un sistema di informazione alternativo, che però non emerge perché è di fatto soffocato dal potere delle grandi concentrazioni. Anche i giornali applicano la regola dietro la quale spesso si nascondono i partiti: demandare le grandi questioni alla cosiddetta libertà di coscienza. E così se ne lavano le mani. Ma non prendere posizione sui grandi temi è un modo di prendere posizione che consiste nel confermare la linea verso cui soffia il vento.

I giornali cattolici sono talvolta attratti dal partecipare a questo grande coro. Temono di non essere al passo con i tempi e di essere accusati di ideologia. Peccano così di timidezza e rifuggono le battaglie culturali. Eppure l’unico modo di farsi sentire da questo grande coro della megamacchina dell’informazione è fare qualche battaglia culturale. Per poterlo fare, però, bisogna capire che davanti a noi non abbiamo solo un sistema informativo essenziale per la formazione dell’opinione pubblica nelle democrazie moderne eccetera eccetera … secondo i classici discorsi di circostanza, ma che abbiamo un potere e che questo potere promuove un sistema culturale non nella pretesa di formare ideologicamente le menti dei lettori, come avveniva un tempo, ma fotografando ciò che avviene, la prassi, e proponendola come vera e buona.

Tutto questo è evidente anche qui a Trieste. Ed è per questo che gli strumenti comunicativi della diocesi, prima di tutto il Settimanale Vita Nuova che ora si propone anche nella versione on line, sono strumenti di libertà comunicativa e informativa. Sono strumenti che non accettano quanto il coro dice a convalida di qualsiasi cosa accada in strada. Internet, che da un lato conosce nuove forme di concentrazione di potere informativo, dall’altro permette che siano i lettori ad andare in cerca delle notizie e non più le notizie ad andare in cerca dei lettori. Questo può rappresentare una qualche chance.

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