L’apparizione
a sorpresa di Romano Prodi alla grande manifestazione milanese del Pd –
talmente grande da meritare l’apertura di Repubblica – mi ha
profondamente rattristato. Parlo di quel tipo di tristezza che ti prende quando,
nonostante tu in fondo ti augurassi il contrario, sta accadendo esattamente ciò
che a malincuore avevi previsto. Prodi odora di sconfitta lontano un miglio, e
vederlo come guest star della rancorosa macchina da guerra equivale a
contemplarne l’imminente disfatta politica (non per forza elettorale: vedremo).
La lapide di
Prodi in piazza Duomo consegna l’agglomerato bersaniano al suo destino,
identico negli anni e nei decenni. I prodiani sostengono che il Professore è
stato l’unico a sconfiggere il Cavaliere nelle urne. Giusto: ma la prima volta
è accaduto perché la Lega correva da sola, e la seconda senza maggioranza al
Senato. Ma il punto, naturalmente, è un altro: i governi Prodi – i fantastici,
incredibili governi dell’Ulivo e poi dell’Unione che correvano da Bertinotti a
Dini, da Diliberto a Mastella – sono rovinosamente crollati sotto il peso
dell’incoerenza politica, programmatica, ideale e persino umana. E hanno
riaperto le porte alla destra trionfante di Berlusconi
Prodi lascia
in bocca il sapore della disillusione, delle speranze fallite, del trasformismo
e dell’opportunismo, della fatica di sopravvivere, dell’inevitabile caduta. E
Prodi che grida Non sarà come l’altra volta! non fa che moltiplicare,
amplificare, dilatare in modo devastante quel sapore e quel messaggio.
E infatti
così andrà a finire: nella migliore delle ipotesi, Bersani riuscirà a
rabberciare un governo con Monti, Vendola, Fini e Casini, destinato a
galleggiare per un po’ di mesi. Proprio come accadeva con Prodi. Nessuno in
nessuna campagna elettorale conosciuta ha saputo mettere in scena così
trionfalmente la propria sconfitta.
da "thefrontpage.it"
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