L’abdicazione (che è cosa
diversa dalle dimissioni) di Benedetto XVI ha generato stupore e molte parole.
Per quanto mi riguarda, penso
che le parole che descrivono un’esperienza abbiano un peso specifico ed
un’utilità maggiore delle parole che si limitano a commentarla dal di fuori.
In questo senso, mi pare molto
utile proporre all’attenzione dei lettori due passaggi della Lectio Divina
tenuta dal Papa al Seminario Maggiore di Roma 3 giorni prima dell’annuncio
dell’abdicazione, passaggi che consentono di intravvedere il cuore e la ragione
con cui Benedetto XVI si è preparato al gesto straordinario di lunedì scorso.
Innanzitutto il Papa parla del
martirio di Pietro.
(…) andando a Roma, san Pietro
(…) certamente si è ricordato anche delle ultime parole di Gesù a lui rivolte,
riportate da san Giovanni: “Alla fine, tu andrai dove non vuoi andare. Ti
cingeranno, estenderanno le tue mani” (cfr Gv 21,18). E’ una profezia della
crocifissione. (…) Quindi, andando a Roma certamente è andato anche al
martirio: (…) lo aspettava il martirio. Quindi, il primato ha questo contenuto
della universalità, ma anche un contenuto martirologico. Dall’inizio, Roma è
anche luogo del martirio. Andando a Roma, Pietro accetta di nuovo questa parola
del Signore: va verso la Croce, e ci invita ad accettare anche noi l’aspetto
martirologico del cristianesimo, che può avere forme molto diverse. E la croce
può avere forme molto diverse, ma nessuno può essere cristiano senza seguire il
Crocifisso, senza accettare anche il momento martirologico.
Fa parte dell’universalità del
Papato l’accettazione di un martirio che può avere forme molto diverse.
La sottolineatura – frequente in
questi giorni - della diversità delle forme del martirio di Giovanni Paolo II e
di Benedetto XVI rischia di diluire la grande verità dell’unità ed unicità del
loro martirio, della loro testimonianza (martirio vuol dire appunto
testimonianza) che culmina nel fatto che entrambi hanno affidato tutto se stessi
e tutta la Chiesa a Dio ed allo Spirito Santo.
Un secondo spettacolare
passaggio mostra quasi plasticamente, quasi come in un filmato il formarsi
della decisione del Papa, a partire dalla consapevolezza di essere scelto,
amato da Dio.
(…) Siamo eletti. Dio ci ha
conosciuto da sempre, prima della nostra nascita, del nostro concepimento; Dio
mi ha voluto come cristiano, come cattolico, mi ha voluto come sacerdote. Dio
ha pensato a me, ha cercato me tra milioni, tra tanti, ha visto me e mi ha
eletto, non per i miei meriti che non c’erano, ma per la sua bontà; ha voluto
che io sia portatore della sua elezione, che è anche sempre missione,
soprattutto missione, e responsabilità per gli altri. Eletti: dobbiamo essere
grati e gioiosi per questo fatto. Dio ha pensato a me, ha eletto me come
cattolico, me come portatore del suo Vangelo, come sacerdote. Mi sembra che
valga la pena di riflettere diverse volte su questo, e rientrare di nuovo in
questo fatto della sua elezione: mi ha eletto, mi ha voluto; adesso io rispondo.
Mi ha eletto, mi ha voluto;
adesso io rispondo. Quanta determinazione in queste parole!
Quanto è evidente che il gesto
del Papa non è una fuga quanto un gesto che, nelle condizioni drammatiche di
una Roma che significa martirio, contiene tutta l’audacia ingenua dei grandi
esploratori!
Certo, la terra da scoprire è
ancora incognita, ma Benedetto XVI non ha paura.
Risponde.
E affida tutto a Dio ed al suo
amore.
Quando fu eletto Giovanni Paolo
II, un romano – abbandonando il tradizionale cinismo – commentò. “ Aho! Questo
ce crede davvero!”
Benedetto XVI - in piena unità
con il suo predecessore – ce crede anche lui.
Francesco Orioli
Il Crocevia
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