mercoledì 13 marzo 2019

EUROPA: GIUDIZI CHIARI PER NON CONTINUARE A TRADIRE I POPOLI




L’Europa, o meglio l’Unione Europea, non va demolita, ma nemmeno aggiustata.
Va semplicemente rifatta. Sarebbe ora di cominciare a dirlo con chiarezza. E sarebbe una bella novità se in occasione della campagna elettorale per il rinnovo dell’Europarlamento il Partito Popolare Europeo o anche solo qualche suo candidato avesse il coraggio di dirlo  forte e chiaro. Fino ad oggi invece non si va oltre i sussurri. Non se ne è ancora trovato uno che affermi apertamente l’ovvio indicibile: ossia che i trattati europei non vanno aggiustati. Vanno ripensati e rifatti ex novo.


Votato nel 1992 dopo la caduta del muro di Berlino, ma predisposto quando quel muro era ancora ben saldo, il trattato di Maastricht entrò in vigore in un’Europa ormai completamente diversa da quella per cui lo era voluto. Un’Europa dove non solo era tornato in scena l’Est europeo, ma anche la Germania riunificandosi tornava ad essere il più grande  Paese del continente.  Sarebbe stato meglio prendere atto della nuova situazione e rimettersi all’opera ex novo. Non lo si volle invece fare, ma anzi su quella base ormai obsoleta si pretese di costruire il farraginoso macchinario dei trattati successivi, che si stanno adesso rivelando ciò che fatalmente sarebbero divenuti, ossia un traballante castello di carte.

All’ombra dell’aggrovigliata foresta di norme di cui i trattati consistono si è sviluppato un centro di potere non democratico bicipite costituito da un lato dalla Commissione, cuspide di una piramide burocratica forte (diciamolo ancora una volta) di ben 23 mila dipendenti, e dall’altro dal Consiglio europeo, ossia dal comitato dei capi di governo degli Stati membri dove in teoria tutti sono sullo stesso piano ma in pratica non si fa nulla che non piaccia al cancelliere tedesco e al presidente francese.
Ruotando attorno a un principio di sussidiarietà affermato in teoria ma poi non applicato nella pratica, i trattati europei hanno aperto la via a un continuo spostamento di potere dalle istituzioni democratiche degli Stati membri alla macchina tecnocratica autoritaria della Commissione: un processo che forti élite politiche, culturali e economiche hanno favorito in ogni modo.
Né dai popolari, né dai socialisti, le forze politiche europee storiche, è sin qui mai venuta alcuna esplicita ed efficacia resistenza a tale involuzione. Se dunque la bandiera della battaglia per la democrazia in sede di Unione Europea è stata raccolta dai “sovranisti” i partiti storici possono soltanto rimproverare se stessi.
Oggi come oggi, giocare nei partiti storici una battaglia che da decenni si continua a perdere risulta meno promettente che confrontarsi con i “sovranisti”: quindi in Italia con  la Lega.
Non c’è dubbio che dai “sovranisti” vengono ai problemi risposte di solito molto grezze e talvolta preoccupanti. E non c’è dubbio che il confronto con loro sarebbe comunque arduo. Mentre continuano a vincere una battaglia dopo l’altra è difficile si rendano conto che da soli non possono vincere la guerra.
Invece però di autoassolversi e di stracciarsi le vesti i  popolari — come pure i socialisti e i liberali — farebbero bene a cercare di dare ai problemi risposte più credibili di quelle dei loro avversari.
In democrazia (non nel mondo degli “illuminati”) il consenso si conquista così: spiegandosi con gli elettori e cercando di convincerli. Non trattandoli come dei babbei e demonizzando chi li convince. Chi fa così continua a perdere.
10 marzo 2019



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