Il sonno
della ragione genera mostri e diabolici terroristi. Ma senza memoria la ragione
funziona assai male. C'è una geopolitica e una storia del terrorismo islamico
che ha due fronti, uno esterno e un altro interno.
È sul fronte
esterno che tutto comincia. L'errore è stato quello iniziale: dopo l'11
settembre del 2001 gli americani lanciarono una “guerra al terrore” che non
solo non ha reso il mondo più sicuro ma l'ha portato nelle case degli europei.
Il regime
talebano-qaedista venne nominalmente abbattuto ma è in Pakistan che era nato ed
lì che poi sono morti il capo di Al Qaeda Osama Bin Laden, nel blitz di
Abbottabad, e il Mullah Omar, in un ospedale di Karachi: ma non si poteva certo
colpire un Paese con l'atomica che con l'approvazione degli Usa e i
finanziamenti dei sauditi aveva sostenuto dal 1979 la guerra dei mujaheddin
contro l'Unione Sovietica e causato la sua sconfitta.
Un ufficiale
dei servizi pakistani, sostenitore di Bin Laden, mi mostrò appena dopo l'11
settembre un pezzo del Muro di Berlino con una dedica della Cia: «È per questo
che lei ha combattuto».
Nacque così negli anni '80 un legame tra
Washington e il mondo sunnita più integralista quasi indissolubile: è
sufficiente esaminare la relazione con Riad stipulata già nel 1945 con il
famoso scambio tra Roosevelt e Ibn Saud “petrolio contro sicurezza”. L'Europa
si è infilata in questo rapporto da “free rider” direbbe Obama, scroccando
vantaggi politici ed economici. Ma chi semina grandine raccoglie tempesta.
Con la guerra
del 2003, con cui dei leader approssimativi volevano ridisegnare il Medio
Oriente, gli Usa hanno scoperchiato il vaso di Pandora è non l'hanno più
richiuso.
Al Qaeda, da cui in seguito è nato l'Isis, dall'Afghanistan si spostò in Mesopotamia. I gruppi jihadisti si sono moltiplicati e dopo il Califfato ci sarà qualche cosa d'altro, soprattutto se andremo a bombardare in Libia come nel 2011 senza sapere davvero cosa fare e con chi.
Al Qaeda, da cui in seguito è nato l'Isis, dall'Afghanistan si spostò in Mesopotamia. I gruppi jihadisti si sono moltiplicati e dopo il Califfato ci sarà qualche cosa d'altro, soprattutto se andremo a bombardare in Libia come nel 2011 senza sapere davvero cosa fare e con chi.
La Tunisia
sta già pagando l'instabilità nordafricana del post-Gheddafi che ha contagiato
tutto il Sahel e le frontiere europee da un pezzo sono sprofondate di alcune
migliaia di chilometri a Oriente e Occidente: l'Europa di Bruxelles è stata
l'ultima ad accorgersene finendo con l'arrangiare un dubbio accordo sui
profughi con la Turchia.
Il Califfato non aveva inizialmente come obiettivo l'Occidente ma in primo luogo il governo sciita di Baghdad e poi quello filo iraniano di Assad: lo scopo era la rivincita dei sunniti in Mesopotamia e nel Levante, un proposito condiviso dalla Turchia e dalle monarchie del Golfo, Arabia Saudita in testa. Con l'evidente menzogna di sostenere un'opposizione moderata quasi inesistente, gli Stati Uniti hanno dato via libera alla Turchia per aprire “l'autostrada della Jihad” con l'afflusso di migliaia di jihadisti da tutto il mondo musulmano, Europa compresa.
La risacca sanguinosa di un conflitto con 250mila morti e milioni di profughi da qualche tempo è tornata e vive accanto a noi. Il delirio terrorista del jihadismo ha una sua logica alla quale non siamo per niente estranei. Ma oggi versiamo lacrime, stringiamo i denti, paghiamo i nostri errori e magari anche qualche promessa mancata.
Gli Stati
Uniti e la Francia progettavano nel 2013 di bombardare il regime di Damasco e
fino a ieri hanno continuato a proclamare che Assad doveva andarsene: quando
non è avvenuto i jihadisti hanno deciso di vendicarsi. Nel 2014, prima che
tagliassero la testa a un cittadino americano, gli Usa non avevano fatto una
piega quando Mosul era caduta in mano all'Isis, assistendo alla rotta di
Baghdad senza intervenire.
Poi è iniziata una guerra al Califfato
tra le più ambigue della storia militare recente. Lo stesso è
accaduto con i militanti dell'Isis in Turchia. Ankara ne ha fatti passare
migliaia, li ha anche usati contro i curdi siriani, poi con l'intervento della
Russia a fianco di Assad ha dovuto rinunciare a entrare in Siria per pendersi
Aleppo e Mosul in Iraq grazie agli accordi con l'Isis: anche qui i jihadisti si
vendicano del loro sponsor Erdogan a colpi di attentati.
Sono oltre 35 anni che le potenze occidentali si appoggiano a quelle arabe del Golfo che utilizzano, armano e finanziano l'estremismo islamico - è avvenuto anche in Bosnia - per scaricarlo quando non serve più. Questo spiega pure quanto accade sul fronte interno europeo dove legioni di sociologi si affanneranno a spiegare come mai intere periferie sono diventate roccaforti del radicalismo. I jihadisti hanno portato la guerra del Siraq nelle nostre case, che poi sono anche le loro, perché i nostri alleati gli hanno fatto credere che l'avrebbero vinta.
Nella lotta al terrorismo si intersecano piani differenti ma non così incomprensibili. Per fare la lotta al terrore ci vuole una polizia informata, ad alta penetrazione sociale, come avrebbe detto un grande agente come Calipari, ma l'aspetto più controverso e decisivo è districare i nodi che tengono avviluppato l'Occidente ai complici del jihadismo, ai loro mandanti materiali e ideologici. Prima ancora del fallimento dell'intelligence c'è stato quello della politica.
FONTE 23 marzo 2016 SOLE24ORE
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