«Il potere mondano tende a
risucchiarci: allora la nostra presenza deve fare la fatica di non lasciarsi
invadere, e questo avviene non solo ricordando e visibilizzando l’unità tra
noi, ma anche attraverso un contrattacco.
Se il nostro non è un contrattacco (e per esserlo deve diventare espressione dell’autocoscienza di sé), se non è un gusto nuovo che muove l’energia di libertà, se non è un’azione culturale che raggiunge il livello dignitoso della cultura, allora l’attaccamento al movimento è volontaristico, e l’esito è l’intimismo.
L’intimismo non è presenza, per l’intensità e la verità che diamo a questa parola. Nelle catacombe si crea un proprio ambito, quando non si può fare assolutamente in modo diverso e si è nel dolore dell’attesa di una manifestazione.
La modalità della presenza è resistenza all’apparenza delle cose ed è contrattacco alla mentalità comune, alla teoria dominante e alla ideologia del potere; resistenza e contrattacco non in senso negativo, di opposizione, ma come lavoro.
Per indicare e per definire l’esprimersi di una presenza secondo una dignità anche semplicemente umana non esiste che la parola lavoro: cioè portare dentro tutto, su tutto, l’interesse della nostra persona.
La forza della nascita del nostro movimento è solo questa e nessuno immagina ora la ricchezza di reazione che qualificava i nostri primi gruppetti di fronte a ogni pagina che si studiava o ad ogni cosa che avveniva.»
DON LUIGI GIUSSANI
IL RISCHIO EDUCATIVO (SEI,1995,
PAG.77)
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