LUCIETTA SCARAFFIA
16 marzo 2016
L’intervista che Benedetto XVI ha
rilasciato al teologo gesuita Jacques Servais sul tema della fede tocca temi
cruciali. Non si rivela tanto come un appoggio offerto dal Papa emerito a un
presunto partito della misericordia, e quindi a Francesco, come ha rilevato chi
ha dato dell’intervista soprattutto un’interpretazione giornalistica*: come se
il tema della misericordia costituisse un’esclusiva del Papa regnante e non un
tema fondativo della tradizione cristiana, anche se spesso emarginato e
dimenticato.
Piuttosto l’intervista è importante
perché contiene un’interpretazione storica di grande rilievo, di quelle che
ribaltano il pensiero comune: per l’uomo di oggi «le cose si sono in un certo
modo capovolte, ovvero non è più l’uomo che crede di aver bisogno della
giustificazione al cospetto di Dio, bensì egli è del parere che sia Dio che
debba giustificarsi a motivo di tutte le cose orrende presenti nel mondo e di
fonte alla miseria dell’essere umano. Tutte cose che in ultima analisi
dipenderebbero da lui».
A questo infatti ci ha portato
l’affermazione continuamente ripetuta: «Dio è morto ad Auschwitz», la cui
diffusione ha dimostrato ancora una volta come sempre il male tenda a generare
altro male, in questo caso la perdita della fede in un Dio buono che ama
l’essere umano.
Aveva percepito questo pericolo la
mistica Etty Hillesum, giovane ebrea olandese profondamente attratta dal
cristianesimo, che, immersa nell’angoscia di un campo di transito verso la fine
con gli altri ebrei olandesi, scrive: «Deve esserci qualcuno che passi
attraverso tutto ciò e testimoni che Dio è vivo, persino in tempi come questi.
E perché non dovrei essere io quel testimone?».
La perdita nella fede in un Dio buono
sta all’origine — certo insieme allo scientismo, ma con un ruolo non secondario
— anche delle novità bioetiche che segnano il nostro tempo: la legalizzazione
dell’eutanasia, l’aborto, la manipolazione e l’uso indebito degli embrioni e
delle componenti genetiche dell’essere umano. L’uomo pensa di poter intervenire
per fare meglio di Dio, quel Dio che lo avrebbe così deluso per le sue colpe.
La riflessione di Benedetto XVI quindi
tocca ancora una volta il cuore dei problemi del nostro tempo, aiuta a capire
il senso dell’epoca in cui viviamo, senza toglierci la speranza: «Nella durezza
del mondo tecnicizzato nel quale i sentimenti non contano più niente, aumenta
però l’attesa di un amore salvifico che venga donato gratuitamente».
* Commento di Enzo Bianchi, sempre sull'osservatore romano See more at: http://www.osservatoreromano.va/it/news/la-giustizia-divina-e-misericordia#sthash.15vlcSyp.dpuf
qui tutta l'intervista
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