Questo film dipinge la chiesa come una mafia, ma Charles Scicluna, monsignore della Congregazione per la Dottrina delle Fede negli anni degli scandali, l’ha
consigliato ai vescovi
di Giuliano Ferrara,
ilfoglio, | 18 Febbraio 2016
Spotlight”, da stasera nelle sale italiane, è un film
ben fatto di violenta propaganda anticattolica e anticlericale. Racconta l’inchiesta giornalistica del team
investigativo (Spotlight) del Boston Globe, che diede il via quindici anni fa
alla grande campagna mondiale sulla pedofilia del clero, e mise in ginocchio la
chiesa e il papato di Benedetto XVI di fronte ai fedeli e al mondo, fino
all’abdicazione.
Il film travolge,
commuove, convince con la grande tecnica emozionale del cinema, con il ritmo,
con la verità indiscutibile delle maschere che si esprime nei dialoghi, nella
recitazione e nel montaggio. La verità
sulla pedofilia dei preti però non c’entra. E non c’entrano la giustizia e la
misericordia. Nel mirino di
sceneggiatori, regista, produttore è la chiesa come istituzione, il suo clero
consacrato, la sua gerarchia: sapevano della diffusione in diocesi
dell’abuso sessuale di minori da parte di centinaia di pastori, lo hanno
tollerato e coperto per il buon nome della ditta, hanno ignorato con cinismo il
dolore e il silenzio delle vittime, che vale più di qualunque grido. Chi vedrà
il film con occhi lucidi si accorgerà che è una favola edificante, che non coglie la tragedia e il peccato, e
nemmeno il profilo di reato criminale incollato giustamente a comportamenti
abusivi su minori. Nella storia raccontata, e in parte anche nella realtà, non
ci sono giudici che eseguono i dettami del diritto e impongono il governo della
legge, non c’è nemmeno il circo mediatico-giudiziario: ci sono giornalisti semidei, che rovesciano la logica
dell’insabbiamento delle notizie, procedono eroicamente e svergognano una
trama di patteggiamenti tra vittime e diocesi gestita da avvocati che sopra il
dolore privato e le violenze private di molti preti fanno un monte di soldi.
Uno strano modo di fare giustizia.
Il cardinale Bernard
Law, arcivescovo di Boston che si dimetterà alcuni mesi dopo la pubblicazione
degli articoli incriminanti, compare in un incontro con il direttore del Boston
Globe, ha il tratto ambiguo di chi vuole proteggere una situazione di
malaffare, punto. Nel film, due ore e passa, non c’è nemmeno uno straccio di
prete, né di quelli coinvolti né di quelli (e ce ne sono) estranei a
comportamenti abusivi, che faccia vedere l’altra
faccia del vero, e il vero, lo sappiamo, ha sempre facce diverse: puoi e in
certi casi devi concludere in modo univoco, ma la procedura per arrivarci non
può mai escludere il dubbio, il tormento, le alternative di cuore e di
ragionamento che ti portano al dunque. Non è obbligatorio aver letto Bernanos,
essersi immersi nella profondità umana e teologica della cura d’anime, nella
opaca natura del peccato e della grazia a fronte della fede e della pastorale
cattolica, ma se non lo fai, se la cultura del pamphlet hollywoodiano non lo
prevede, il risultato è appunto la favola degli spettri, degli agenti del male
assoluto. Il film evita rigorosamente di indagare sui perché e sul come di un
fenomeno, si limita alla evocazione di una banda di orchi ispirati dal più
banale e pervertito desiderio di possesso sui corpi dei ragazzi, ma gli
orchi non si vedono, sono fantasmi, sono traditori di Dio che assassinano anime
innocenti. Si vedono soltanto le loro vittime e i liberatori a mezzo stampa.
L’istituzione ecclesiastica difende e protegge i predatori senza volto, senza
coscienza, senza anima, è complice del loro spirito predatorio, e perde alla
fine la battaglia di verità e di giustizia, contro l’omertà, dei valorosi
investigative reporters.
La chiesa ha deciso di farselo piacere, questo film
che la dipinge e spiega come una mafia. Si mette sulla sua scia. Rivendica al vecchio e malato san Giovanni Paolo II,
e al suo successore allora responsabile della procedura contro gli abusi, la
svolta di espiazione e di denuncia fondata su giustizia e verità. Il
procuratore della Congregazione per la dottrina della fede, il tribunale
all’epoca presieduto da Ratzinger (l’inchiesta di cui si parla è del 2001 e gli
articoli che portano alle dimissioni dell’arcivescovo di Boston in dicembre
escono nel gennaio del 2002), monsignor
Charles Scicluna, affida a Paolo Rodari di Repubblica giudizi definitivi: i
vescovi devono vedere il film, impararne la morale, che è contro l’omertà
comunque giustificata. (…)
Noi europei che abbiamo letto di don Abbondio e del
curato di campagna, noi che conosciamo la leggenda del santo Inquisitore, e che
sappiamo quanto il delitto, la sovversione dei valori, sia intrinseco anche
alla storia della chiesa e del suo clero, perfino dei suoi papi, abbiamo una
visione non demonizzabile, perché più intelligente e più ambivalente, della
figura del pastore, del prete, dell’educatore. Nell’edificazione a sfondo
protestante anche del cattolicesimo mediatico e bostoniano rappresentato nel
film emerge altro: il prete lo manda Dio e il suo tradimento di fiducia e di
condotta è un tradimento della fedeltà a Dio, senza mediazioni.
Noi invece sappiamo,
ed è famosa la battuta umanista di un Montanelli sulla messa mattutina di De
Gasperi e Andreotti, in cui il primo parlava con Dio e il secondo parlava col
prete, quanto importi la distinzione tra i peccatori della chiesa in cammino e
la funzione sacramentale dell’istituzione che bada alla salus animarum.
Se tu
fai un film in cui campeggiano soltanto gli orchi, le vittime, le colpe
morali di un’istituzione e i semidei mediatici che ce ne liberano, puoi farmi
piangere di compassione, puoi appunto edificarmi
in forma di favola, ma non puoi farmi capire quel che è effettivamente
successo, così, senza nemmeno sentire la ratio di un sistema che metti sotto
accusa, senza rappresentarne il dramma o la tragedia.
Fatta l’inchiesta, il
Boston Globe chiede all’arcivescovo Law, poche ore prima della pubblicazione,
una dichiarazione “a copertura”, la famosa altra campana o altra fonte del buon
giornalismo si riduce a squillare come una toppa per parare il buco: e Law
giustamente risponde, sconfitto, che non vuole nemmeno sentire le domande,
chiudendosi anche lui nel silenzio di una vittima.
Seguire questa logica che
vittimizza la chiesa e deifica la stampa, caro monsignor Scicluna, può essere
un rimedio tattico a circostanze avverse ma non è un servizio alla carità, e
nemmeno alla verità di noi laici. Buona visione.
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