Così il Belgio accettò il ricatto suicida dell’Arabia Saudita: greggio in
cambio di islam. E il re Baldovino siglò la trasformazione del “laboratorio
multiculti” nel nido del jihad
"Bruxellistan”. “Belgistan”. “Molenbeekistan”. Si
sprecano ormai le definizioni per indicare la trasformazione di quel paese
fatto di caffè, di teatri, di circoli municipali, di carillon, nella base delle
stragi di Parigi del 13 novembre. Per usare il titolo del libro di Felice Dassetto, sociologo
dell’Università cattolica di Lovanio, è “L’iris et le croissant” (il giaggiolo,
il simbolo di Bruxelles, e la mezzaluna islamica). “Le antiche città del Belgio
sono state le culle dell’arte e della cultura cristiana”, ha scritto
l’Economist qualche numero fa. “Ma così come il ruolo del cristianesimo è
scemato, un nuovo credo, l’islam, sta guadagnando importanza”.
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antisemita fin dentro il cuore dell’Europa, a Bruxelles Tra
omertà e delinquenza. Così Salah ha trovato rifugio nel cuore dell'Europa
Come rivela un recente
sondaggio del Centre Interdisciplinaire d’Etude des Religions et de la Laïcité,
nella capitale dell’Unione europea i
cattolici praticanti sono scesi al dodici per cento della popolazione, mentre
il diciannove per cento sono musulmani praticanti. Succede allora che la
città di Maaseik, resa famosa da Jan Van Eyck con la sua Adorazione
dell’agnello mistico, sia diventata celebre per il reclutamento di jihadisti
dell’Isis.
Come ha fatto Molenbeek, la “Piccola Manchester” che
il sindaco socialista Philippe Moureaux definiva orgoglioso “laboratorio
socio-multiculturale”, a diventare il quartier generale del jihad europeo da
Atocha al Bataclan, il “carrefour de l’islamisme”, il crocevia dell’odio
islamista in Europa, come lo definisce Libération?
Nel 1974, il governo belga riconobbe ufficialmente la
religione islamica. Fu il primo paese europeo. Il risultato immediato, nel
1975, fu l’inserimento della religione islamica nel curriculum scolastico.
“Fu una decisione del
re belga Baldovino”, dice al Foglio Michael Privot, massimo islamologo belga e
direttore dell’Enar, l'European Network Against Racism. Baldovino, il “re
triste”, cattolico e austero, “aveva stabilito buoni legami con la monarchia
saudita e il re Faisal. Questo riconoscimento avvenne nel mezzo della crisi
petrolifera, perché il Belgio cercava rifornimenti dall’Arabia Saudita. Nel
1974, i musulmani in Belgio erano alla prima generazione, lavoravano nelle
miniere e volevano spazi per pregare nelle moschee. Allora non c’era autorità
religiosa in Belgio. Il re Baldovino offrì ai sauditi il Pavillon du
Cinquantenaire con un affitto della durata di 99 anni. L’edificio sorge a
duecento metri dal Palazzo Schuman e dal quartier generale dell’Unione europea;
l’Arabia Saudita lo trasformò nella Grande Moschea del Cinquecentenario,
diventando l’autorità islamica de facto del Belgio. Alla fine degli anni
Novanta è nata una autorità formale, l’Esecutivo dei Musulmani in Belgio, che
si occupa degli aspetti materiali, ma non degli aspetti teologici. Questo
spazio è rimasto occupato dalla Grande Moschea sotto guida saudita”.
Tre anni fa, documenti
di WikiLeaks hanno rivelato tensioni fra il Belgio e l’Arabia Saudita.
Bruxelles era molto preoccupata per il fondamentalismo islamico diffuso dalla
Grande Moschea. Le autorità belghe ottennero così la testa del direttore,
Khalid Alabri, un diplomatico saudita.
Una scelta, quella
fatta dal Belgio quarant’anni fa, criticata oggi anche dal ministro francofono
belga Rachid Madrane, musulmano, che al giornale La Libre ha detto: “Il peccato originale del Belgio consiste
nell’aver consegnato le chiavi dell’islam nel 1973 all’Arabia Saudita per
assicurarci l’approvvigionamento energetico”.
Sono tante le
propaggini saudite a Bruxelles. Il centro Imam al Bukhari coordina le attività
culturali pro-saudite in Belgio, mentre il Centro islamico e culturale del
Belgio (Cicb) è diventato la sede europea della Lega musulmana mondiale. L’obiettivo
del Cicb è quello di “rafforzare la vita spirituale dei musulmani che vivono in
Belgio”, aprendo moschee e scuole coraniche. Ma il Cicb, per fare qualche
esempio, consiglia alle donne di consultare soltanto ginecologi femmine,
scoraggia i giovani musulmani dal vendere birra e raccomanda ai musulmani di
abbassare lo sguardo in presenza di una bella donna. Sermoni al Cicb chiamano
Bruxelles “capitale dei kuffar” (infedeli).
Il patto col Belgio rientra in un più vasto progetto
globale: dal 1979, le autorità saudite hanno speso più di sessanta miliardi di
euro nella diffusione nel mondo del wahabismo, una visione dell’islam che si
basa sul monoteismo assoluto (tawhid), il divieto di innovazioni (bid’ah), il
rigetto di tutto ciò che non è musulmano, la scomunica dei “miscredenti”
(takfîr) e la lotta armata (jihad). L’Arabia Saudita dona ogni anno un milione
di euro alle venti moschee di Mollenbeek per il loro rinnovamento e
manutenzione. Alla Grande Moschea
di Bruxelles, dono del re belga ai sauditi, si sono formati imam come Rachid
Haddach, uno dei più popolari predicatori salafiti oggi a Bruxelles.
Haddach gestisce la moschea Assouna di Anderlecht.
Nelle sue tirate, Haddach spiega che i bambini musulmani in Belgio, anziché
andare alla scuola materna, dovrebbero stare a casa fino all’età di sei anni in
modo da non essere contaminati da un ambiente non islamico. La musica? “Faresti
meglio a leggere il Corano”. Il burqa? “Halal” (consentito). E gli uomini
devono farsi crescere la barba. Lo ha detto il Profeta. Così, mentre la Turchia
si sforzava di portare avanti una opera di educazione religiosa non estremista,
gli imam del Marocco, da cui veniva la maggioranza dei musulmani del Belgio (i
futuri Salah Abdeslam), venivano egemonizzati dai sauditi con il loro approccio
salafita e wahabita, lo stesso cui oggi si ispira lo Stato Islamico (non a caso
l’Arabia Saudita è il primo paese per reclutamenti dell’Isis).
Nel 1978, la Grande
Moschea di Bruxelles venne aperta al pubblico dopo un lungo restauro a spese dell’Arabia
Saudita, in presenza del re Khaled Abdulaziz Al Saud e del monarca Baldovino. E
nel 1983, con la firma di André Bertouille, ministro dell’Istruzione, un regio
decreto approvò anche le operazioni della Lega Islamica Mondiale a Bruxelles,
che secondo Felice Dassetto serve a trasformare l’Arabia Saudita nel “polo
egemone di tutto il mondo musulmano”. “L’impatto dell’Arabia Saudita,
attraverso la Grande Moschea, è stato forte, diffondendo tonnellate di libri
gratuitamente in tutte le lingue per le moschee e le altre organizzazioni
islamiche, copie del Corano”, continua al Foglio Michael Privot. Libri che
glorificano il jihad o dottamente spiegano che la moglie deve obbedire al
marito “quando la invita a condividere il suo letto”. “L’Arabia Saudita ha offerto
numerosi contributi alla seconda e terza generazione di giovani musulmani
disposti ad andare alla Mecca e Medina per imparare le scienze islamiche”, dice
Privot. “Oggi, a Bruxelles, il 95 per cento dell’offerta di corsi sull’islam è
gestito da giovani predicatori formati in Arabia Saudita. I predicatori sauditi
hanno anche tenuto centinaia di conferenze in tutto il Belgio e quindi hanno
avuto un impatto fondamentale sulla comprensione dell’islam da parte delle
nuove generazioni. In termini di diffusione della sua versione dell’islam,
l’Arabia Saudita ha avuto una delle più potenti strutture
politico-diplomatiche.
E ne stiamo pagando il prezzo oggi”. Paghiamo le
conseguenze di quel ricatto suicida. Della trasformazione del giaggiolo in
mezzaluna. E del Belgio che, anziché per la Madonna di Michelangelo a Bruges,
ormai fa parlare di sé per Molenbeek, pied à terre della guerra santa islamica
all’uomo qualunque europeo.
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