di Claudio Risé
Una presenza ingombrante pesa
sulla nostra psiche e la nostra anima, anche
se facciamo di tutto per non
vederla e tenerne conto. Si tratta delle centinaia
come ci ha ricordato in
recenti interviste e conferenze Niall Ferguson, storico scozzese di
milioni di persone che in Africa si dichiarano intenzionate ad emigrare in Europa . "Centinaia
di milioni” sono troppi per l'Europa, piccolo
continente già densamente
popolato e con equilibri economici e sociali molto
delicati, come dimostra
qualsiasi ricerca sociologica in ognuno dei suoi paesi.
(…)
Nei centri del potere industriale europeo si volevano nuovi
lavoratori a basso costo e al di fuori della visione antropologica europea.
Meno "choosy",
schizzinosi (per dirla con la parola messa di moda in Italia dalla ministra del
professor Monti, Elsa Fornero, per definire i giovani lavoratori italiani
disoccupati).
Ma soprattutto erano ben accette
le persone più sradicate possibili. Perché erano (si credeva) le più condizionabili.
Le socialdemocrazie del continente, riorganizzatesi nei mesi
successivi al
"mercoledì nero" di Soros (16 settembre 1992) , hanno amministrato
politicamente i nuovi sviluppi industriali e sindacali.
Soros, allora come oggi, è
infatti il perfetto rappresentante degli aspetti più
avidi del capitalismo
anarchico, allergico a ogni forma di vita tradizionale che
stabilisca confini alle
velleità di libertà individuali. Le
battaglie del finanziere (di
famiglia ebraica antisionista) per le associazioni LGBT, le
pratiche
anticoncezionali, l'abolizione dei confini, la libertà di
immigrazione, l'eutanasia (ha aiutato a morire la madre), la libertà nelle
droghe, descrivono un preciso programma politico di abolizione di qualsiasi
regola nei desideri individuali e soprattutto di distruzione di qualsiasi rapporto
con la propria storia e tradizione.
Una caratteristica non
sorprendente nella finanza. Il suo risultato, però, è la
distruzione degli uomini
coinvolti nelle sue operazioni, in questo caso il bianco europeo e cristiano, e
della sua soggettività personale. Soros
è l'etichetta "umanitaria" del programma politico di liquidazione
della tradizione occidentale e della sostituzione della sua popolazione con le
masse africane spinte in Europa dai trafficanti di esseri umani.
È in gran parte per la sua intelligenza e spregiudicatezza se la
più importante operazione geopolitica del XX e XXI secolo, realizzata con
un'operazione economica di trasporto per nave da un continente all'altro di
masse finora mai viste nella storia del pianeta, con un numero importante di
morti e costi sanitari e psicologici altissimi, ha potuto venire presentata
all'opinione pubblica mondiale come un'"operazione
umanitaria".
(...)
Ci sono pochi dubbi, per
fortuna, sul fatto che l'operazione abbia già provocato, finora, la
liquidazione dell'intera classe politica europea che l'ha appoggiata e
sostenuta, nei vari paesi e nelle diverse sedi. "Il percorso dell'integrazione
europea è probabilmente terminato" - ha dichiarato Ferguson nell'intervista
a Federico Fubini del Corriere della sera - "la sola vera domanda riguarda
la velocità della disintegrazione".
Un intero continente, con
la sua umanità e la sua storia, è stato tradito.
L'Europa
politico-burocratica non potrà probabilmente fare più granché, ma forse
l'urgenza di cambiare strada porterà "ogni Stato a garantire la propria sopravvivenza" (John
Mearsheimer: The perils of Anarchy), regola d'oro del pensiero realista,
completamente dimenticata nell'epoca
dell'anarchia degli interessi travestiti da umanitarismo.
Sarà un sentiero duro:
"non abbiamo ancora visto niente", dice e scrive Niall Ferguson. Ma
potrà generare nuove e più autentiche forze, rispetto ai programmi luccicanti
che conducono a sicura fine.
da “La Verità”, 3 febbraio 2019
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