DI LEONARDO LUGARESI
Mi è capitato solo l'altro giorno di
venire a conoscenza di una risposta che il papa ha dato, durante la conferenza stampa nel viaggio di ritorno
dalla recente visita a Panama, a un giornalista che gli chiedeva un
bilancio di quella missione. Francesco ha risposto in spagnolo e questa è la
traduzione ufficiale, che si trova qui: http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2019/january/documents/papa-francesco_20190127_panama-volo-ritorno.html:
«La mia missione in una Giornata della
Gioventù è la missione di Pietro, confermare nella fede, e questo non con indicazioni
fredde o precettive, ma lasciandomi toccare il cuore e rispondendo a
quello che
lì accade. Io non concepisco, perché io
lo vivo così, non concepisco, faccio fatica a pensare che qualcuno possa
compiere una missione solo con la testa. Per compiere una missione bisogna
sentire, e quando senti vieni colpito. Ti colpisce la vita, ti colpiscono i
problemi... All’aeroporto stavo salutando il Presidente e hanno portato un
bambino africano, simpatico, nero nero, piccolo così. E mi ha detto: “Guardi,
questo bambino stava passando la frontiera della Colombia, la madre è morta, è
rimasto solo. Ha cinque anni. Viene dall’Africa, ma ancora non sappiamo da
quale Paese perché non parla né l’inglese, né il portoghese, né il francese.
Parla solo la lingua della sua tribù. Lo abbiamo un po’ adottato noi”. Un
bambino con l’aria furba, si muoveva bene… Però il dramma di un bambino
abbandonato dalla vita, perché sua mamma è morta e un poliziotto lo ha
consegnato alle autorità perché se ne facciano carico. Questo ti colpisce, e
così la missione comincia a prendere colore, ti fa dire qualcosa, ti fa
accarezzare. Non è una cosa ragionata. La missione sempre ti coinvolge. Almeno
a me coinvolge. Sarà perché sono “italiano” e mi viene da dentro e mi
coinvolge. Dico sempre ai giovani: voi quello che fate nella vita lo dovete
fare camminando, e con i tre linguaggi:
quello della testa, quello del cuore, quello delle mani. E i tre linguaggi
armonizzati, in modo che pensate ciò che sentite e ciò che fate, sentite ciò
che pensate e ciò che fate, fate ciò che sentite e ciò che pensate. Non so
fare un bilancio della missione. Io con tutto questo vado sempre alla preghiera
e rimango davanti al Signore, a volte mi addormento davanti al Signore, ma
portando tutte queste cose che ho vissuto nella missione e gli chiedo che Lui
confermi nella fede attraverso di me».
Fin qui, tutto chiaro e niente da
obiettare. Poi però il papa ha soggiunto:
«Questo è come intendo la missione del
Papa e come la vivo io. Ci sono stati dei casi, ad esempio, in cui si sono
poste delle difficoltà di tipo dogmatico, e io non mi sento di rispondere solo
con la ragione, mi viene spontaneo agire in un altro modo (Esto es como concibo la misión del Papa
y como la vivo yo. Hubo casos, por ejemplo, que se plantearon alguna dificultad
de tipo dogmática y a mí no me sale contestarle solo la razón, me sale actuar
de otra manera).
Qui, invece, non capisco: Francesco sembra dare una portata generale al principio di non seguire
tanto la ragione quanto piuttosto le emozioni, facendone addirittura il cardine
del suo modo di intendere la missione del papa, e soprattutto specifica che lo
adotta anche nell'affrontare «delle difficoltà di tipo dogmatico»,
in cui «gli viene spontaneo agire in un altro modo».
Mah! Una questione dogmatica su quale
base dovrebbe essere affrontata, se non secondo ragione, ovviamente di una
ragione che non prescinde, ma presuppone la fede? E qual è mai «l'altro modo»
in cui gli «viene spontaneo agire»?
Forse è sfuggito a me, però non mi pare
che vi sia stata alcuna reazione rispetto ad un'affermazione del genere, che
qualche problema dovrebbe suscitarlo. È
davvero così scontato che il papa dica che, di fronte a questioni dogmatiche,
«gli viene spontaneo» agire in un modo diverso da quello della ragione?
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