Il filosofo francese ricostruisce quanto accaduto
durante l'aggressione a Parigi e collega la violenza antisemita alla crescita
dell'islam radicale nelle periferie della Francia
Alain Finkielkraut è il filosofo francese che è stato aggredito da un
gruppetto di gilet gialli durante la manifestazione sdi sabato a Parigi. Gruppetto
di cui uno dei partecipanti è già stato identificato. E si tratta di un islamico vicino
agli ambienti salafiti. All'inizio, tutti hanno pensato fosse un rigurgito
antisemita da parte di alcuni militanti dell'estrema destra francese. Poi la
realtà si è rivelata differente.
Finkielkraut ha raccontato a Repubblica gli attimi dell'aggressione: "Alcuni manifestanti si sono avvicinati per propormi di entrare nel corteo e
indossare il gilet giallo, non so se fossero sinceri o ironici, comunque non
erano ostili". Poi sono arrivati gli insulti: "Erano in tanti, urlavano forte. Ho capito solo che era meglio andarsene
perché rischiavo di essere linciato. Se non ci fossero stati i poliziotti mi
avrebbero spaccato la testa. Detto questo, non mi sento né vittima né martire".
Il filosofo ricostruisce l'accaduto e racconta quello che gli è stato
urlato: "Solo dopo, rivedendo le immagini, ho
ricostruito che non si sente 'sporco ebreo' ma 'grossa merda sionista',
'razzista', 'fascista'. Un uomo ha urlato: 'La Francia è nostra'. Qualcuno
penserà alla citazione del vecchio slogan nazionalista antisemita 'La Francia
ai francesi'. Non credo. L'uomo aveva la barba, la kefiah, il governo l'ha
identificato come qualcuno vicino ai salafiti. Il senso era: 'La Francia è la terra dell'Islam'. Questo insulto
deve farci riflettere".
E sul pericolo del populismo in Europa, il filosofo francese dice "che bisogna rispettare la libertà e la saggezza dei popoli europei quando
rifiutano di aderire a una visione multiculturale della società. Liquidare
l'attuale governo italiano con il termine 'lebbra nazionalista' è stato un
grave errore di Macron".
Finkielkraut afferma che” il
populismo è inquietante, ma è una reazione patologica al fenomeno di
trasformazione demografica che i governi non vogliono affrontare. Se non ci
fosse stata la Merkel che nel 2015 decise di accogliere un milione di profughi
siriani, dicendo “noi ce la faremo” (Wir schaffen das), non avremmo avuto la
Brexit”. “Io -continua- sono figlio di immigrati polacchi, e sono stato
integrato, ma il sistema scolastico francese che ha permesso la mia
integrazione è crollato, e oggi l’ideologia dominante mette tutto sullo stesso
piano, la grande letteratura vale quanto il rap”.
E non si pente di aver sostenuto i gilet gialli: "Grazie alla casacca fluorescente è diventata visibile la Francia rurale, delle periferie lontane.
Sono i perdenti della globalizzazione e dello Stato sociale. Purtroppo il
movimento è stato corrotto dal successo mediatico. Alcuni esponenti si sono
montati la testa, diventando arroganti.
Quel che mi allontana oggi dal movimento non è l'antisemitismo, che è
marginale, ma un egualitarismo pericoloso, in cui uno vale uno, l'intelligenza
e le competenze non vengono più rispettate".
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