I cattolici sono
chiamati a giudicare un modello culturale e amministrativo basato su assistenzialismo e
statalismo
ROMANO COLOZZI
Le elezioni del 26 gennaio in Emilia-Romagna rappresentano una scadenza importantissima a tre livelli:
- sul piano amministrativo, perché per la prima volta la regione diventa
contendibile e la sinistra, dopo 50 anni, potrebbe passare all’opposizione;
- sul piano politico perché ormai tutti riconoscono che l’esito del
voto, qualunque esso sia, avrà un peso decisivo sul prosieguo della
legislatura e sulla vita del governo Conte 2;
- sul piano culturale, perché l’Emilia-Romagna è il laboratorio della
visione ideologica del Pd, da cui conseguono strategie e prassi
politico-amministrative.
Questo
terzo aspetto mi sembra sia rimasto finora in ombra rispetto agli altri due,
mentre credo sia quello fondamentale, sul quale maggiormente potrebbe essere
decisivo il contributo dei cattolici, se interessati a uscire dal cono di
irrilevanza politica in cui sono caduti.
Al di là, infatti, dei risultati conseguiti dalle amministrazioni a guida
Pd, su cui possono esserci valutazioni anche molto diverse, la questione che
come cattolici dovremmo mettere a tema è quello dei princìpi che stanno a fondamento delle azioni amministrative
regionali e della loro compatibilità con i fondamenti della dottrina sociale,
che rappresentano la più grande novità che come cattolici possiamo e dobbiamo
portare.
Che questo rappresenti una questione cruciale, di grande attualità, e non
un tema riservato a intellettuali e politologi, è confermato da un interessante
intervento svolto dal vicesegretario nazionale del Pd, Andrea Orlando, nel corso
del convegno sul “riformismo comunitario”, tenutosi nei giorni scorsi a Torino. Orlando ha detto: “Abbiamo sottovalutato
una cultura che ha sostituito alla persona l’individuo e per la quale i corpi
intermedi e la famiglia erano residui del passato e si doveva investire solo su
formazione e welfare… Il cambiamento è diventato effettivamente una fonte di
angoscia e noi dobbiamo ricostruire i luoghi in cui, invece, può essere
affrontato serenamente: ecco, ve lo dice un laico al di sopra di ogni sospetto,
la famiglia è uno di quei luoghi”.
Questa autocritica è importantissima, perché va esattamente nella direzione
di riconoscere – finalmente! – come il partito egemone della sinistra abbia negli ultimi decenni sposato
integralmente la concezione di persona individualistica, di stampo
radical-borghese, totalmente opposta al personalismo cristiano, per il
quale la persona, uomo e donna, unica e irripetibile, è immagine di Dio e “non
è un essere solitario”, bensì “per sua intima natura è un essere sociale, e non
può vivere né esplicare le sue doti senza relazioni con gli altri”.
Di qui discende poi il principio
di sussidiarietà, per cui al centro dell’attività sociale e dell’azione
politica devono esserci il singolo e le aggregazioni sociali in cui si svolge
la sua personalità, in primis la famiglia: “La comunità politica è
essenzialmente al servizio della società civile e, in ultima analisi, delle
persone e dei gruppi che la compongono” (Compendio dottrina sociale, 418)
La scelta ideologica di far propria una concezione individualistica, da
parte della sinistra, ha avuto conseguenze concretissime a livello politico e
amministrativo:
1.una sostanziale emarginazione della
famiglia come fondamentale istituzione sociale,
2.una
visione assistenzialista dell’ente pubblico a cui demandare
in primis la risposta ai bisogni,
3.una egemonia del partito sulle
istituzioni e delle istituzioni sulla società.
Ci troviamo di fronte, in fondo, a un
modello amministrativo determinato da una sorta di principio di sussidiarietà
rovesciato: non “le istituzioni sostengono, stimolano l’attività autonoma
di individui, famiglie e soggetti sociali per soddisfare i loro bisogni, a
partire da quelli educativi ed assistenziali, integrandoli quando necessario”, ma al contrario “i soggetti sociali
devono integrarsi con l’ente pubblico, per sopperire alle sue carenze se e
quando non ha sufficienti risorse”.
Questa impostazione ha così informato di sé la cultura amministrativa da
essere stata assimilata, molto spesso, anche da chi ha una formazione politica
diversa da quella di sinistra. È significativo, ad esempio, che proprio mentre
il “laico” Orlando faceva le affermazioni autocritiche che abbiamo citato,
dicendo che bisogna ripartire dalla persona e dalla famiglia, il “cattolico”
Franceschini, al conclave del Pd nell’abbazia di Contigliano, cercando di
delineare le linee per una ripartenza del partito, ha affermato: “Dobbiamo
essere il
partito degli asili per tutti, dei libri scolastici gratuiti per
tutta la scuola dell’obbligo e della sanità gratuita per tutti. Il partito che non ti lascia solo, mi viene
da dire così, in una società che provoca solitudine. Basta la paura
dell’assistenzialismo, ci sono milioni di persone impaurite e alle soglie della
povertà”.
Ma assistenzialismo e statalismo possono
sembrare nell’immediato la soluzione più efficace, mentre di fatto rischiano di
atrofizzare sempre di più la libera e responsabile iniziativa della persona,
vissuta nel contesto di relazioni stabili e con spirito autenticamente
solidaristico.
Per questo i cattolici, con il loro
voto e la loro partecipazione, devono contribuire a voltar pagina rispetto
alla cinquantennale egemonia della sinistra, evitare che il cambiamento sia
solo un passaggio di potere, in cui lo statalismo di sinistra sia sostituito da
uno statalismo di destra e lavorare perché nuove forze di governo siano capaci
di dar vita a un modello amministrativo che finalmente concretizzi quello che
già, a parole, è contenuto nello Statuto dell’Emilia-Romagna:
“La Regione riconosce e valorizza:
a) l’autonoma iniziativa delle persone, singole o associate, per lo
svolgimento di attività di interesse generale e di rilevanza sociale, nel
quadro dello sviluppo civile e socio-economico della Regione, assicurando il
carattere universalistico del sistema di garanzie sociali;
b) la funzione delle formazioni sociali attraverso le quali si esprime e si
sviluppa la dignità della persona e, in questo quadro, lo specifico ruolo
sociale proprio della famiglia, promuovendo le condizioni per il suo efficace
svolgimento”.
foto Lapresse
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