Il filosofo, deceduto il 12 gennaio, ha
sempre difeso le nostre radici cristiane e la tradizione. Senza estremismi
Pochi uomini
nella seconda metà del Novecento hanno avuto la capacità di dar vita a un
pensiero organico e strutturato che non tenesse in considerazione le mode, le
influenze e le convenienze della nostra epoca dominata dal politicamente-
corretto come Roger Scruton.
Filosofo,
polemista, scrittore, professore, in una parola intellettuale tout court,
Scruton è stato senza dubbio il massimo interprete del conservatorismo europeo
contemporaneo, fedele alla lezione di Edmund Burke, T.S. Eliot e della secolare
tradizione conservatrice inglese, ha saputo coniugare al rigore del proprio
pensiero la capacità di divulgarlo attraverso una fittissima attività
editoriale, giornalistica e convegnistica.
La sua morte
rappresenta una grave perdita non solo per i conservatori europei ma anche per
tutti gli occidentali perché ci ha lasciato un uomo che ha difeso fino
all'ultimo la tradizione, la cultura e le radici cristiane dell'Europa senza
scendere a compromessi ma al tempo stesso evitando di cadere in posizioni
estremiste, velleitarie o reazionarie.
Scruton ha saputo
con genialità interpretare battaglie all'avanguardia come quella sull'ambiente,
sintesi di un conservatorismo moderno, ben saldo sui propri valori e critico
nei confronti delle derive della società contemporanea.
Su tutte la
denuncia dell'oicofobia che attanaglia
la nostra epoca, un termine coniato da Scruton nel 2004 definendo così
«l'esigenza di denigrare i costumi, la cultura e le istituzioni che sono
identificabili come nostri», in parole povere l'odio per la nostra storia e
cultura.
L'oicofobia mette
in discussione i fondamenti del pensiero conservatore che, al contrario, ha a
cuore la propria civiltà e nazione a partire dal concetto di comunità, intesa
come un insieme di persone che condividono gli stessi valori e idee.
L'oicofobia fa del multiculturalismo il cardine della propria azione, un
concetto che Scruton rifiuta e mette in discussione già dai primi anni Ottanta
quando avviene un episodio destinato a segnare la sua carriera e premonitore di
quanto sarebbe poi accaduto a distanza di più di trent'anni.
Si tratta del
caso Honeyford, il preside di una scuola media di Bradford che si esprime
contro il modello multiculturale e per questo viene licenziato. Secondo
Scruton, Honeyford è vittima dell'establishment britannico intenzionato a
eliminare ogni segno di patriottismo dalle scuole. Lo scrive sulla sua rivista
Salisbury Review venendo a sua volta attaccato, emarginato ed etichettato come
razzista, un insulto utilizzato con frequenza dalla sinistra nei suoi confronti
in assenza di risposte ai cambiamenti prodotti dall'immigrazione di massa e
paragonata a quella di essere un borghese in Russia durante il periodo di Lenin
o un émigré nella Francia rivoluzionaria. Questo episodio lo porta ad
abbandonare la carriera accademica e a comprendere il significato di appartenere a una minoranza culturale perseguitata
e disprezzata dall'opinione pubblica progressista. (…)
Che cosa rimane
oggi della sua lezione? Un'eredità importante per l'Occidente che potrebbe
attingere a piene mani dai suoi scritti ma che la politica, anche da morto, non è stata in grado
di ricordarlo, salvo rare eccezioni. Lo ha fatto il Primo Ministro inglese Boris Johnson, che ci è stato
presentato come un pericolo per l'Europa ma che è in realtà un uomo di grande
cultura e lo ha dimostrato anche in questa occasione, e in Italia Giorgia Meloni con un tweet in cui lo ha definito «una delle
menti più brillanti e acute del nostro tempo».
(…) È compito di
tutti noi fare in modo che la lezione di Scruton non solo non sia dimenticata
ma venga applicata in ogni ambito del quotidiano; Sir Roger ha tracciato la
strada, sta a noi proseguirla tenendo accesa la fiammella del conservatorismo.
IL GIORNALE Mar, 14/01/2020
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