La campagna elettorale delle elezioni qui in Emilia-Romagna ha
visto come tema predominante quello della sanità. Cosa comprensibilissima per
almeno due buoni motivi:
1) la sanità è la
competenza sicuramente più rilevante attribuita alle regioni dall’articolo 117
della Costituzione e il bilancio sanitario rappresenta circa l’87% dell’intero
bilancio regionale (dati 2018);
2) a livello sociale,
il servizio sanitario, per ovvie ragioni, è l’unico che “tocca” la vita del
100% dei cittadini.
Il dibattito si sta svolgendo su due piani: uno, più squisitamente
amministrativo, con l’opposizione che cerca di evidenziare le lacune del
servizio sanitario regionale e le forze di maggioranza che ribadiscono che la sanità emiliano-romagnola è un’eccellenza;
l’altro, più squisitamente politico, iniziato quando Bonaccini ha tuonato
contro la Borgonzoni, rea di aver fatto riferimento al modello sanitario
lombardo.
Sul primo aspetto,
quello amministrativo, premesso che la qualità dei servizi è assicurata
essenzialmente dalla competenza e dall’abnegazione del personale sanitario, per
cui viene assicurata a prescindere dal nome e dal colore degli amministratori
di turno, mi sembra siano tre i temi più “caldi”:
a) la questione dei
punti nascita in aree montane, chiusi dalla Regione in questi anni, scelta
duramente contestata soprattutto dagli abitanti delle zone montane, rispetto
alla quale Bonaccini ha assicurato che vi sarà, in caso di rielezione, una
marcia indietro, con conseguente riapertura delle strutture;
b) il tema della
mobilità passiva, cioè degli emiliano-romagnoli che scelgono di farsi curare in
altre Regioni, per i quali la Regione nel biennio 2017-2018 ha dovuto sborsare
più di mezzo miliardo (ampiamente recuperati con la mobilità dei pazienti
provenienti da altre Regioni, in particolare del Sud): ma rimane ugualmente
rilevante la necessità di capire perché tanti pazienti “emigrano” per farsi
curare. Per fare un confronto, nel 2017 l’Emilia-Romagna, coi suoi 4 milioni e
mezzo di abitanti, ha speso per la mobilità passiva 253 milioni di euro, mentre
la Lombardia, coi suoi 10 milioni, ne ha spesi 359;
c) la grave
insufficienza di strutture convenzionate per anziani non autosufficienti, che
crea il fenomeno di lunghe liste d’attesa, con gravi disagi per le famiglie: se
si prende come riferimento la Regione che ha la maggior dotazione di posti
letto in Rsa, la Lombardia, l’Emilia-Romagna ne dovrebbe finanziare altri
8.000, oltre ai 16.000 già attivi. Discorso analogo per i posti per malati di
Alzheimer, che dovrebbero passare dagli attuali 190 a circa 2.000.
Ma la discussione più
accesa è sul piano politico, perché i sostenitori di Bonaccini non si stancano
di accusare il centrodestra di voler privatizzare la sanità, trasformando un
servizio pubblico essenziale in un “mercato”, in cui sarebbero favoriti i più
ricchi.
Non c’è molto da
stupirsi di questo, dal momento che non fanno altro che ripetere gli slogan del
loro presidente, il quale, ogni volta che interviene su temi sanitari, ripete
come un mantra queste testuali parole: “…se qualcuno si candida alle elezioni…
per smantellare la sanità pubblica a favore di quella privata, troverà noi a
sbarrargli la strada. Perché l’Emilia-Romagna deve andare avanti, non tornare
indietro. E perché, per noi, un ricco e un povero devono avere gli stessi
servizi quando si parla di salute…”.
I fattori che determinano la salute: i servizi sanitari sono una piccola parte |
Evidentemente Bonaccini dice queste cose per
costruire, secondo il più classico metodo leninista, un nemico da indicare alle
proprie truppe, per cementarle nella
lotta contro un ipotetico invasore alle porte che non c’è e non ci può essere:
infatti il nostro presidente è troppo preparato per non sapere che in Italia
non è possibile privatizzare la sanità, se non altro perché sulle norme
generali in questa materia la competenza è dello Stato ed esse non sono
modificabili da nessuna Regione. Peraltro tutte le Regioni erogano i servizi
sanitari ospedalieri, diagnostici e riabilitativi attraverso un mix di
strutture pubbliche e private e, a quanto mi risulta, la Regione con la più alta percentuale di sanità privata è il Lazio,
guidato dal segretario nazionale del Pd, e non la Lombardia, come molti
pensano.
Ma, a conferma
dell’ambiguità con cui in Regione viene sempre trattato il tema della sanità
convenzionata, basta leggere cosa dichiarò l’assessore competente nel momento
in cui la Regione decise di chiedere allo Stato il riconoscimento del primo
Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs) privato
dell’Emilia-Romagna: “Per la prima volta, questa Regione dà parere favorevole a
un Irccs a carattere privato. Siamo una delle pochissime Regioni ad avere solo
Irccs pubblici o a controllo pubblico. Voglio però ricordare che… qui da noi, in sanità il
privato opera secondo le regole del pubblico. Secondo regole coerenti con la programmazione e il sistema del
controllo regionale”. Come se in altre Regioni il pubblico delegasse ai
privati la funzione di programmazione e controllo.
L’altra cosa che sicuramente Bonaccini sa è che quando
si parla di mix di strutture pubbliche e private, la ricchezza e la povertà
degli utenti non c’entrano assolutamente nulla, perché parliamo in ogni caso di
servizi i cui costi sono sostenuti non dal privato cittadino, ma dal Servizio
sanitario nazionale. Anzi, è vero
esattamente l’opposto: quando la Regione si convenziona con una struttura
privata, mette a disposizione di tutti, anche dei meno abbienti, quelle
strutture di eccellenza che prima erano nella disponibilità esclusiva di chi
poteva permettersi di andare a pagamento.
Peraltro Bonaccini
stesso ha più volte riconosciuto il valore della sinergia fra pubblico e
privato in sanità: “…gli ospedali privati accreditati della nostra Regione sono
uno strumento utile e importante per contribuire a governare e a migliorare
ulteriormente le liste di attesa per i ricoveri chirurgici programmati. Un
esempio tangibile questo, di positiva collaborazione, che ci consente di
continuare ad assicurare a tutti i nostri cittadini un servizio sanitario di
qualità”.
La conferma di questo
sta anche nei numeri della sanità privata convenzionata in Emilia-Romagna: il
25,9% dei posti letto totali della Regione (di cui il 93% accreditato con il
Sistema sanitario nazionale), il 18,4% dei pazienti dimessi e il 19,9% delle
giornate di degenza complessive. La rete ospedaliera privata fornisce un
supporto determinante nella riabilitazione (65,7% del totale dei dimessi) e la
cardiochirurgia (57%).
Perché, dunque, agitare strumentalmente lo spauracchio
del privato, cercando quasi di nascondere ai cittadini che anche
l’Emilia-Romagna, per cercare di migliorare le liste d’attesa, si serve,
eccome, della sanità privata? Tra l’altro, stupisce molto che Bonaccini sia così insistente su una
questione che non solo non crea danno, ma solo vantaggi ai cittadini, come
quello della sanità convenzionata e non parli quasi mai, invece, del vero problema, che sta mettendo in crisi il
principio, che dovrebbe essere a lui molto caro, dell’universalismo: cioè il
fatto che vi sia una crescita esponenziale della spesa sanitaria a carico del
privato cittadino, costretto a rivolgersi al cosiddetto privato-privato (circa
800 euro pro capite, in costante ascesa)
Qualche maligno potrebbe
perfino pensare che questo fenomeno non sia così sgradito in una Regione in cui
una delle aziende, che entra nelle top ten per fatturato, è una compagnia
assicuratrice che si sta sempre più specializzando nella sanità integrativa e
che non vedrebbe assolutamente male se in sanità si attivasse, come in altri
Paesi, il cosiddetto secondo pilastro,
per integrare appunto il Ssn con gli strumenti messi a disposizione dalle
compagnie assicuratrici.
Piuttosto che far
finta, dunque, che sia in atto una specie di lotta per la civiltà o per la
difesa dei diritti fondamentali, gli amministratori regionali dovrebbero caso
mai preoccuparsi di meglio utilizzare le risorse, per poter ulteriormente
ampliare l’offerta di servizi ai cittadini, dando loro la possibilità effettiva
di liberamente decidere dove farsi meglio curare e di rendere più trasparenti i
criteri con cui si sceglie il privato da “integrare” nel servizio pubblico.
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