giovedì 30 maggio 2024

“FROCIAGGINE”, DIETRO IL CLAMORE DI UNA PAROLA L’URGENZA DI UNA DOMANDA

IL PAPA AI VESCOVI ITALIANI

Federico Pichetto 29/5/24

La parola "frociaggine" pronunciata da Francesco ha il merito di accelerare dentro la Chiesa la posizione di una questione non più rinviabile. Indica anche una opzione


Frociaggine. È la parola che da due giorni aggrega più commenti sulla rete e nei social media. L’ha pronunciata – il fatto è noto – Papa Francesco in un dialogo a porte chiuse, porte che qualcuno ha provveduto ad aprire alla stampa e agli organi di comunicazione, non si sa con quanta intenzione o con quanta malizia. Si sa solo che si tratta dell’ultima parte di una risposta più articolata che il pontefice ha offerto a quanti gli chiedevano conto circa la possibilità di ammettere in seminario candidati con orientamento omosessuale. Negli ultimi anni, seguendo la prassi della Chiesa universale, anche la Conferenza episcopale italiana si è adoperata nel distinguere tra coloro che hanno un orientamento omosessuale e coloro che lo traducono in atti concreti e reiterati. Francesco ha preferito negare questa distinzione, asserendo che la condizione omosessuale, vissuta all’interno di una comunità esclusivamente maschile, espone il futuro presbitero a intraprendere con maggiore facilità una doppiezza di vita non compatibile col ministero ordinato.

Sulla questione si dovrebbe pronunciare anche uno dei tavoli sinodali che faranno il punto il prossimo ottobre a Roma al cospetto del Papa, ma le parole di Francesco sembrano superare il tema e chiudere l’argomento. Immortalato, per l’appunto, dall’osservazione circa il fatto che nei seminari – o nel clero – ci sarebbe già troppa “frociaggine”. Le considerazioni che si potrebbero fare su questo episodio sono molte: è inutile seguire il filone della polemica o quello dell’apologetica ad ogni costo. Il punto di partenza è che queste parole hanno ferito delle persone, hanno destato stupore e hanno interrogato molti. Il motivo si potrebbe riassumere in almeno sei ragioni.

Per prima cosa è giusto evidenziare che il Papa, con questo intervento, mette in luce come la questione omosessuale non sia più un tema culturale, una questione che la Chiesa di Roma si trova ad affrontare, bensì una questione esistenziale, un tema che riguarda la Chiesa al suo interno. Non si tratta di capire come muoversi fuori dal perimetro ecclesiale, ma all’interno. Che cosa intende fare la Chiesa con i fedeli omosessuali? E che cosa intende fare con i preti e i vescovi che sperimentano questo orientamento? 

In secondo luogo le reazioni alle parole di Bergoglio fanno capire che esiste un problema missionario: oggi moltissimi prendono le distanze dalla Chiesa, se ne vanno e la lasciano, per le posizioni del cattolicesimo sull’omosessualità. Sono soprattutto giovani, uomini e donne di trenta o quarant’anni, che diventano atei, agnostici o abbracciano altre confessioni cristiane. Il cattolicesimo può stabilire che va bene così, che questa è la sfida che la fede lancia alla modernità, ma certamente deve diventarne consapevole. Che cosa abbiamo da dire a chi se ne è andato? Perché un giovane omosessuale non dovrebbe prendere le distanze dalla Chiesa?

In terzo luogo è chiaro come per questa enorme problematica morale non ci siano gli strumenti teologici adeguati: categorie e pronunciamenti sono ancorati a circostanze troppo localizzate per poter assurgere a strumenti di interpretazione e di esplicazione universale. Manca un pensiero cristologico e trinitario che sorregga la posizione della Chiesa e la precisi adeguatamente. Ci sono slogan, spinte, contrapposte tifoserie, ma non c’è un’idea in campo. Che cosa significa oggi pensare l’omosessualità alla luce del fatto cristianoC’è poi il tema del celibato, una questione spirituale. Da come lo si descrive in alcuni contesti esso si risolverebbe nel mettersi nelle condizioni migliori per trattenersi, ma il celibato della Chiesa è molto di più: è scelta profetica di un dono totale agli altri che non si esaurisce nel lasciarsi andare o nel disciplinarsi, ma nell’apprendere l’amore. A chi questo oggi è possibile? Che cosa significa davvero essere celibi?

Inoltre, legato a questo, c’è la quarta ragione che rende le parole di Francesco tremendamente dirimenti: il rapporto della Chiesa con il desiderio sessuale. È compatibile il desiderio di Cristo con il desiderio del piacere? In che rapporto sta l’esigenza di felicità di ogni uomo, l’evidenza di trovare in Cristo l’unico bene, con la vita sessuale? Che cos’è il sesso per la Chiesa?

Non è dunque scontato, quinto punto,vista la portata delle domande suscitate, che il tavolo del sinodo dedicato al tema presenti argomentazioni alternative a quelle del pontefice: che cosa significa in questo caso la sinodalità? Che senso ha discutere di qualcosa che il Papa ha così ben circoscritto? Che cos’è, dunque, un sinodo

Infine le parole sfuggite dal seno dei vescovi italiani gettano una domanda più radicale sul rapporto tra la Chiesa e la rivoluzione sessuale. Joseph Ratzinger fu chiarissimo nell’addebitare a tale mutamento dei costumi l’origine della crisi antropologica contemporanea; oggi pare che il papa tedesco non fosse lontano dal vero: il valore teologico dei sentimenti, delle pulsioni, delle perversioni e delle relazioni private è certamente l’appuntamento che la Chiesa ha con la storia del XXI secolo. Che cosa è moda, modernismo strisciante, e che cosa, invece, chiamata dello Spirito alla conversione e al cambiamento? Come gli studi biblici possono aiutare questo delicatissimo discernimento? Come si può notare, è vero che i media hanno parlato solo di “frociaggine”, ma dietro questo infelice sostantivo – di cui Francesco si è apertamente scusato – c’è molto altro. Una teoria di domande che non possono essere risolte su un social o in un bar.

Riuscirà la Chiesa a iniziare a rispondere prima che le risposte della storia la travolgano? Sarà possibile parlare di tutto questo senza sentirsi terribili bigotti reazionari o fomentatori di eresie progressiste? A chi la Chiesa sta rispondendo in questo momento? Alle istanze dei tempi o al volto del suo Signore?

È chiaro che le battute – e il clamore che suscitano – passano presto. Ma i temi, tutti questi temi, restano. Negli occhi e negli sguardi delle persone che ogni giorno li vivono.

leggi anche

https://www.ilsussidiario.net/news/preti-omosessuali-la-lezione-della-traviata-e-del-cristianesimo-orientale-alla-crisi-della-fede/2711333/

 

martedì 28 maggio 2024

SPES NON CONFUNDIT

 Bolla di indizione del Giubileo Ordinario dell'Anno 2025

FRANCESCO

VESCOVO DI ROMA SERVO DEI SERVI DI DIO A QUANTI LEGGERANNO QUESTA LETTERA LA SPERANZA RICOLMI IL CUORE

1. «Spes non confundit», «la speranza non delude» (Rm 5,5). Nel segno della speranza l’apostolo Paolo infonde coraggio alla comunità cristiana di Roma. La speranza è anche il messaggio centrale del prossimo Giubileo, che secondo antica tradizione il Papa indice ogni venticinque anni. Penso a tutti i pellegrini di speranza che giungeranno a Roma per vivere l’Anno Santo e a quanti, non potendo raggiungere la città degli apostoli Pietro e Paolo, lo celebreranno nelle Chiese particolari. Per tutti, possa essere un momento di incontro vivo e personale con il Signore Gesù, «porta» di salvezza (cfr. Gv 10,7.9); con Lui, che la Chiesa ha la missione di annunciare sempre, ovunque e a tutti quale «nostra speranza» (1Tm 1,1).

Tutti sperano. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé. L’imprevedibilità del futuro, tuttavia, fa sorgere sentimenti a volte contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio. Incontriamo spesso persone sfiduciate, che guardano all’avvenire con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire loro felicità. Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza. La Parola di Dio ci aiuta a trovarne le ragioni. 

(…)

21. Cosa sarà dunque di noi dopo la morte? Con Gesù al di là di questa soglia c’è la vita eterna, che consiste nella comunione piena con Dio, nella contemplazione e partecipazione del suo amore infinito. Quanto adesso viviamo nella speranza, allora lo vedremo nella realtà. Sant’Agostino in proposito scriveva: «Quando mi sarò unito a te con tutto me stesso, non esisterà per me dolore e pena dovunque. Sarà vera vita la mia vita, tutta piena di te».  Cosa caratterizzerà dunque tale pienezza di comunione? L’essere felici. La felicità è la vocazione dell’essere umano, un traguardo che riguarda tutti.

Ma che cos’è la felicità? Quale felicità attendiamo e desideriamo? Non un’allegria passeggera, una soddisfazione effimera che, una volta raggiunta, chiede ancora e sempre di più, in una spirale di avidità in cui l’animo umano non è mai sazio, ma sempre più vuoto. Abbiamo bisogno di una felicità che si compia definitivamente in quello che ci realizza, ovvero nell’amore, così da poter dire, già ora: «Sono amato, dunque esisto; ed esisterò per sempre nell’Amore che non delude e dal quale niente e nessuno potrà mai separarmi». Ricordiamo ancora le parole dell’Apostolo: «Io sono […] persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rm 8,38-39).

22. Un’altra realtà connessa con la vita eterna è il giudizio di Dio, sia al termine della nostra esistenza che alla fine dei tempi. (…) Il giudizio, quindi, riguarda la salvezza nella quale speriamo e che Gesù ci ha ottenuto con la sua morte e risurrezione. Esso, pertanto, è volto ad aprire all’incontro definitivo con Lui. E poiché in tale contesto non si può pensare che il male compiuto rimanga nascosto, esso ha bisogno di venire purificato, per consentirci il passaggio definitivo nell’amore di Dio. Si comprende in tal senso la necessità di pregare per quanti hanno concluso il cammino terreno, solidarietà nell’intercessione orante che rinviene la propria efficacia nella comunione dei santi, nel comune vincolo che ci unisce in Cristo, primogenito della creazione. Così l’indulgenza giubilare, in forza della preghiera, è destinata in modo particolare a quanti ci hanno preceduto, perché ottengano piena misericordia. (…)

Il giudizio, quindi, riguarda la salvezza nella quale speriamo e che Gesù ci ha ottenuto con la sua morte e risurrezione. Esso, pertanto, è volto ad aprire all’incontro definitivo con Lui. E poiché in tale contesto non si può pensare che il male compiuto rimanga nascosto, esso ha bisogno di venire purificato, per consentirci il passaggio definitivo nell’amore di Dio. Si comprende in tal senso la necessità di pregare per quanti hanno concluso il cammino terreno, solidarietà nell’intercessione orante che rinviene la propria efficacia nella comunione dei santi, nel comune vincolo che ci unisce in Cristo, primogenito della creazione. Così l’indulgenza giubilare, in forza della preghiera, è destinata in modo particolare a quanti ci hanno preceduto, perché ottengano piena misericordia.

23. L’indulgenza, infatti, permette di scoprire quanto sia illimitata la misericordia di Dio. Non è un caso che nell’antichità il termine “misericordia” fosse interscambiabile con quello di “indulgenza”, proprio perché esso intende esprimere la pienezza del perdono di Dio che non conosce confini. (…)

Il Sacramento della Penitenza ci assicura che Dio cancella i nostri peccati. Ritornano con la loro carica di consolazione le parole del Salmo: «Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue infermità, salva dalla fossa la tua vita, ti circonda di bontà e misericordia. […] Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore. […] Non ci tratta secondo i nostri peccati e non ci ripaga secondo le nostre colpe. Perché quanto il cielo è alto sulla terra, così la sua misericordia è potente su quelli che lo temono; quanto dista l’oriente dall’occidente, così allontana da noi le nostre colpe» (Sal 103,3-4.8.10-12). La Riconciliazione sacramentale non è solo una bella opportunità spirituale, ma rappresenta un passo decisivo, essenziale e irrinunciabile per il cammino di fede di ciascuno. Lì permettiamo al Signore di distruggere i nostri peccati, di risanarci il cuore, di rialzarci e di abbracciarci, di farci conoscere il suo volto tenero e compassionevole. Non c’è infatti modo migliore per conoscere Dio che lasciarsi riconciliare da Lui (cfr. 2Cor 5,20), assaporando il suo perdono. Non rinunciamo dunque alla Confessione, ma riscopriamo la bellezza del sacramento della guarigione e della gioia, la bellezza del perdono dei peccati!

Tuttavia, come sappiamo per esperienza personale, il peccato “lascia il segno”, porta con sé delle conseguenze: non solo esteriori, in quanto conseguenze del male commesso, ma anche interiori, in quanto «ogni peccato, anche veniale, provoca un attaccamento malsano alle creature, che ha bisogno di purificazione, sia quaggiù, sia dopo la morte, nello stato chiamato purgatorio». [18] Dunque permangono, nella nostra umanità debole e attratta dal male, dei “residui del peccato”. Essi vengono rimossi dall’indulgenza, sempre per la grazia di Cristo, il quale, come scrisse San Paolo VI, è «la nostra “indulgenza”». [19] La Penitenzieria Apostolica provvederà ad emanare le disposizioni per poter ottenere e rendere effettiva la pratica dell’Indulgenza Giubilare.

Tale esperienza piena di perdono non può che aprire il cuore e la mente a perdonare. Perdonare non cambia il passato, non può modificare ciò che è già avvenuto; e, tuttavia, il perdono può permettere di cambiare il futuro e di vivere in modo diverso, senza rancore, livore e vendetta. Il futuro rischiarato dal perdono consente di leggere il passato con occhi diversi, più sereni, seppure ancora solcati da lacrime. (…)

Il giudizio, quindi, riguarda la salvezza nella quale speriamo e che Gesù ci ha ottenuto con la sua morte e risurrezione. Esso, pertanto, è volto ad aprire all’incontro definitivo con Lui. E poiché in tale contesto non si può pensare che il male compiuto rimanga nascosto, esso ha bisogno di venire purificato, per consentirci il passaggio definitivo nell’amore di Dio. Si comprende in tal senso la necessità di pregare per quanti hanno concluso il cammino terreno, solidarietà nell’intercessione orante che rinviene la propria efficacia nella comunione dei santi, nel comune vincolo che ci unisce in Cristo, primogenito della creazione. Così l’indulgenza giubilare, in forza della preghiera, è destinata in modo particolare a quanti ci hanno preceduto, perché ottengano piena misericordia. (…)

Lasciamoci fin d’ora attrarre dalla speranza e permettiamo che attraverso di noi diventi contagiosa per quanti la desiderano. Possa la nostra vita dire loro: «Spera nel Signore, sii forte, si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore» (Sal 27,14). Possa la forza della speranza riempire il nostro presente, nell’attesa fiduciosa del ritorno del Signore Gesù Cristo, al quale va la lode e la gloria ora e per i secoli futuri.

Dato a Roma, presso San Giovanni in Laterano, il 9 maggio, Solennità dell’Ascensione di Nostro Signore Gesù Cristo, dell’Anno 2024, dodicesimo di Pontificato.

https://www.vatican.va/content/francesco/it/bulls/documents/20240509_spes-non-confundit_bolla-giubileo2025.html

 

 

 

venerdì 24 maggio 2024

ELEZIONI EUROPEE COSA C’E’ IN GIOCO

INCONTRO CON LORENZO MALAGOLA PIERGIACOMO SIBIANO, 

STEFANO CAVEDAGNA, RODOLFO CASADEI

 INTRODUCE ARTURO ALBERTI

 CESENA 23 maggio 2024


INTERVENTO INTRODUTTIVO DI RODOLFO CASADEI

L’Italia non ha problemi con l’Europa, l’Italia ha dei problemi con l’Unione Europea, di cui siamo uno dei 6 stati fondatori. Eravamo tutti europeisti sfegatati quando l’ideale dell’Europa unita coincideva con quello di Adenauer, De Gasperi, Schumann, i tre capi di governo cattolici e cristiano-democratici che sono alle origini della Comunità europea del carbone e dell’acciaio che è stata l’embrione di tutte le successive integrazioni, dal Trattato di Roma (1957) al Trattato di Lisbona (2007). Ma oggi tanti stati europei e tanti cittadini di stati europei hanno dei problemi con l’Unione Europea.

1.C’è un problema che riguarda gli scambi economici: la Ue moltiplica direttive e regolamenti che creano difficoltà a chi produce e che danneggiano la competitività delle imprese europee, mentre allo stesso tempo non è capace di fare la guardia alle frontiere, e lascia entrare merci che non rispondono ai severi standard qualitativi, ambientali, sociali fissati per le imprese europee. Così le nostre imprese muoiono oppure emigrano; nella Ue entrano prodotti di aziende extracomunitarie oppure di aziende comunitarie che hanno delocalizzato la produzione fuori dalla UE per non dover sottostare agli irrealistici standard europei.

            2.Poi c’è un problema ancora più grande, ideologico, di scelta di civiltà: la UE si è trasformata in una forza al servizio dell’omologazione, dell’omogeneizzazione, dell’uniformità. Che certamente è un processo mondiale, legato principalmente a due fattori. Da un lato l’evoluzione del capitalismo nell’era dell’economia globalizzata, che ha dato vita all’oligarchia capitalista dei Gafam, le multinazionali delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft. Queste grandi imprese puntano tutto sull’omogeneizzazione dei consumi, potremmo dire sull’i-phonizzazione dell’economia, cioè creare prodotti universali come gli i-phone, identici per tutti, che in quanto tali permettono alle multinazionali di sfruttare fino in fondo le loro economie di scala. A danno delle aziende piccole e medie. L’altro fattore è l’egemonia dello scientismo, dell’ideologia scientista che riduce tutto a dati, a flussi di dati. Non esistono più differenze qualitative, ogni realtà, anche quella realtà misteriosa che è l’essere umano, è ridotta a un insieme di dati componibili e scomponibili.

Dunque la Ue ha tradito il suo motto di inizio secolo, “uniti nella diversità”, un motto che interpretava fedelmente la natura più intima e più vera dell’Europa, e lo ha sostituito con la pretesa di imporre a tutti gli stessi standard, a tutti le stesse procedure. Prendendo a prestito dal mondo della biologia l’espressione, possiamo dire che la Ue sta distruggendo la biodiversità culturale, istituzionale, umana delle nazioni europee, sta introducendo una monocoltura politica che, come le monocolture agricole, minaccia la biodiversità. Cioè minaccia la vita, perché la vita fiorisce, si sviluppa e prospera solo se è consentita la diversità. Senza diversità basta un’epidemia, basta un virus per distruggere tutto. 

            3.Poi c’è un terzo punto problematico negli orientamenti attuali della UE – almeno lo è per me: ed è l’assenza di limiti nel processi di allargamento dell’Unione Europea. Se io ora vi chiedessi: quali devono essere i confini definitivi dell’Unione Europea? Dove dovrebbe arrestarsi l’integrazione di nuovi paesi, dopodiché quello è il confine definitivo della Ue? Nessuno qui dentro mi saprebbe rispondere. Ma nemmeno a Bruxelles qualcuno mi risponderebbe. Perché il punto è proprio questo: per quelli di Bruxelles può essere integrato nell’Unione Europea non chi appartiene alla civiltà europea, ma chi adegua il proprio sistema giuridico e le proprie leggi alle procedure stabilite dall’Unione Europea. Perciò qualunque paese del mondo potrebbe far parte dell’Unione Europea: basta che adotti tutte le procedure comunitarie, l”acquis communautaire”, come si dice. L’identità europea non è più storica, è procedurale. Ma dalla storia non può uscire nessuno! E poiché dalla storia non si esce, questo piccolo dettaglio fa sì che le utopie si trasformino in distopie, questa astoricità e proceduralità dell’Europa unita che non pone limiti al suo allargamento fatalmente è il volto di un nuovo imperialismo. Ci strappiamo le vesti per l’imperialismo della Russia, o per quello degli Stati Uniti, o per le velleità egemoniche della Cina, a seconda delle nostre simpatie e antipatie politiche, ma nel momento in cui non fissiamo confini all’allargamento della UE, noi europei riproponiamo il volto più inquietante della nostra storia, quello dell’imperialismo e del colonialismo. E riproponiamo l’errore di fondo dei progetti moderni e post-moderni: l’assenza di limiti. È questa idea dell’assenza di limiti, dell’abolizione dei limiti che sta distruggendo gli ecosistemi naturali e umani, culturali e storici.   

            Faccio qualche esempio dei problemi che ho evidenziato. La questione economica e finanziaria.

“QUELLO CHE MI STUPISCE , DICE DIO, E’ LA SPERANZA”

La domanda, le attese e le risposte dell'uomo a confronto in due opere poetiche che si misurano col Destino

1. “Nulla è in regalo, tutto è in prestito”. Wislava Szymborska con la sua abilità nel tessere parole e significati, dipinge un ritratto implacabile del nostro rapporto con l’esistenza: l’idea che nulla ci sia concesso gratuitamente, che tutto sia in prestito, in un inventario della vita. La voce mancante nell’inventario, l’”anima”, diventa il veicolo attraverso il quale esprimiamo la nostra domanda, la nostra attesa e le nostre speranze.


NULLA È IN REGALO, TUTTO È IN PRESTITO.

Masaccio, Cappella Brancacci
Cacciata dal Paradiso
Nulla è in regalo, tutto è in prestito
Sono indebitata fino al collo.
Sarò costretta a pagare per me
Come me stessa,
a rendere la vita in cambio della vita.
E’ così che è stabilito,
il cuore va reso
e il fegato va reso
e ogni singolo dito.È troppo tardi per impugnare il contratto.
Quanto devo
Mi sarà tolto con la pelle.
Me ne vado per il mondo
Tra una folla di debitori.
Su alcuni grava l’obbligo
Di pagare le ali.
Altri dovranno, per amore o per forza,
rendere conto delle foglie.
Nella colonna Dare
Ogni tessuto che è in noi.
Non un ciglio, non un prduncolo
Da conservare per sempre.
L’inventario è preciso,
e a quanto pare
ci toccherà restare con niente.
Non riesco a ricordare
Dove, quando e perché
Ho permesso che aprissero
Questo conto a mio nome.
La protesta contro di esso
La chiamiamo anima.
E questa è l’unica voce
Che manca nell’inventario.

 

2. "PRIMA CHE SORGA L'ALBA, VEGLIAMO NELL'ATTESA: TACE IL CREATO E CANTA NEL SILENZIO IL MISTERO" (INNO DELLE LODI DEL GIOVEDÌ).

Non c'è una descrizione che, più di questa, scrive don Giussani, definisca il nostro stato, lo stato di uno che ha fatto un incontro, crede e non capisce ancora, non vede ancora, non riesce ancora, perché occorre un tempo.

Il tempo è uno strumento di Dio per la sua creazione.  La materia è tempo e spazio. È lo Spirito che crea la materia e poi investe quello che ha creato con la sua forza assoluta; lo Spirito che è di Cristo, perché lo Spirito del Mistero di Dio, del Verbo di Dio, si è totalmente tradotto nell'energia di quell'Uomo, nel pensiero e nella volontà di quell'Uomo, nato da una donna vergine.

 

PRIMA CHE SORGA L’ALBA, VEGLIAMO NELL’ATTESA

 

James Ensor "Christ calming the storm"(1891)
Museum of Fine Arts, Ostense, Belgium
Prima che sorga l'alba,
vegliamo nell'attes
tace il creato e canta
nel silenzio il mistero.

Il nostro sguardo cerca
un volto, nella notte;
dal cuore a Dio s'innalza 
più puro il desiderio.

E mentre, lieve, l'ombra
cede al chiaror nascente,
fiorisce la speranza
del giorno che non muore.

Presto l'aurora in cielo
ci inonderà di luce;
la tua misericordia,
o Padre, ci dia vita.

E questo nuovo giorno,
che l'alba per noi schiude,
dilati in tutto il mondo
il regno del tuo Figlio.

A te, o Padre santo,
all'unico tuo Verbo,
all'infinito Amore,
sia lode in ogni tempo. Amen.

 

lunedì 20 maggio 2024

LA TIRANNIA WOKE

CI VOGLIONO IN MISERIA MA “BUONI”. A QUESTO SERVONO I “DIRITTI CIVILI”

Scrive Francesco Borgonovo sulla “Verità”:

“Ecco la drammatica realtà della tirannia WOKE. Si insiste fino allo sfinimento sull’uso di parole potenzialmente offensive e si sfornano continuamente leggi a favore di presunti diritti civili. Il dibattito pubblico è interamente occupato dai temi politicamente corretti e intanto le popolazioni si impoveriscono, minoranze discriminate comprese. Il meccanismo è sempre lo stesso, in America come in Europa. Dal nostro lato dell’atlantico si polemizza ad esempio sulle questioni Lgbt e la campagna elettorale viene forzosamente orientata sulle norme “antiomofobia”, che le istituzioni europee vorrebbero imporre dovunque. Oppure si discute dei temi ambientali, o ancora del pericolo rappresentato dai fascismi di ritorno. Si punta il dito contro i governi destrorsi accusati di negare il cambiamento climatico o di perseguitare le minoranze, o ancora di accanirsi sui militanti antifa come Ilaria Salis.

E così facendo si evita di affrontare a fondo le conseguenze sociali ed economiche delle politiche europee. Di come le regole green colpiscono le classi medie e medio basse importa a pochi, di come l’austerità continui ad infettare le menti dei governanti europei non si può ragionare. La realtà non ha diritto di cittadinanza, si può discutere e ci si può dividere solo sui provvedimenti arcobaleno, sui regolamenti antiodio e sulla pericolosità dei populisti. Si devia l’attenzione della opinione pubblica su fantomatiche minacce rappresentate dalle destre estreme (“la feccia nera neo-fascista scagliata contro l’Europa” come titola quasi turtti i giorni Repubblica) e intanto si infierisce sui ceti più fragili. L’artificio trionfa, la verità svanisce. Ci si può battere solo per le cause che le ristrette cerchie progressiste giudicano buone, il resto è male associato. Per questo se una attivista antifa viene accusata di aver pestato dei destrorsi diventa una eroina da candidare alle europee, mentre la disobbedienza civile di Flaximan contro gli autovelox che vessano i cittadini è guardata come un atto di intollerabile di insubordinazione egoistica.

Albrecht Durer: I Quattro Cavalieri
dell'Apocalisse, Karlsrhue, 1498

Per questo bisogna approvare senza fiatare i regolamenti delle lobby Lgbt o le leggi antiodio o le restrizioni verdi, e guai ad evocare anche solo per un istante gli interessi delle popolazioni impoverite. Così dispone la nuova religione degli illuminati: sarete poveri, ma buoni, e così purificati potrete attendere serenamente la prossima apocalisse climatica.”

Riprende il tema WOKE anche Claudio Risè che titola:”Non chiamatele comunità, sono Lobby. Si usano spregiudicatamente i problemi di minoranze sessuali per rovesciare il quadro politico e disarticolare la famiglia in favore delle varie tecnocrazie.”

20 maggio 2023

 

RIPARTIRE DALL’EUROPA SIGNIFICA TORNARE ALLE RADICI

L'intervento del sottosegretario di Stato al convegno del Centro Studi Livatino. Il solstizio di Newgrange, il piano Mattei e l'Africa, la speranza di Péguy e le parole di Giovanni Paolo II.

Alfredo Mantovano


Pubblichiamo l’intervento del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano al convegno organizzato dal Centro Studi Livatino “Ripartire dall’Europa. Ripensare l’Unione” svoltosi il 15 maggio 2024 a Roma.

***

1. Le relazioni che si sono articolate finora hanno affrontato in modo magistrale vari profili del tema posto a base del convegno. Farò scendere il livello – ma tanto poi il prof Ronco provvederà a farlo rialzare – proponendovi non delle considerazioni, ma delle cartoline: delle immagini di luoghi che in Europa hanno qualche senso, o di luoghi che, pur non trovandosi in Europa, in questo momento sull’Europa incidono.

La prima cartolina è dall’Irlanda. Drogheda è una graziosa città a nord di Dublino. A pochi chilometri da essa, in campagna, sorge Newgrange, un enorme monumento sepolcrale a forma di tronco di cono, con un diametro di circa 100 metri e un’altezza di 9 metri. È stato realizzato fra il 3.000 e il 2.700 a. C., con materiale condotto sul posto da centinaia di chilometri di distanza. Un passaggio lungo poco meno di 20 metri conduce alla camera sepolcrale, nella quale si aprono tre loculi disposti a croce rispetto al passaggio. L’architetto che ha progettato Newgrange è stato così preciso che da circa 5.000 anni la luce del sole penetra nella camera per qualche minuto una sola volta all’anno, alle nove del mattino del 21 dicembre, il giorno del solstizio d’inverno.

Perché ne parlo d’esordio? Perché, molto prima che i Cristiani si diffondessero sul suolo europeo, l’Europa attendeva, in modo implicito ma non per questo meno reale, il sorgere del sole vero, quello che è venuto al mondo in coincidenza del solstizio d’inverno di 2024 anni or sono.

Se dalla periferia ci spostiamo al centro dell’Europa precristiana e ci avviciniamo al più importante dei solstizi d’inverno, quello dal quale continuiamo gli anni, è difficile dimenticare la realizzazione dell’Ara Coeli sul Campidoglio, che la tradizione attribuisce ad Augusto in onore del figlio di Dio (è la seconda cartolina che mi permetto di proporvi). E forse non è un caso se i trattati dai quali nel 1957 hanno tratto vita le istituzioni europee siano stati firmati a pochi metri di distanza da esso.

Il “partito anti-italiano” esiste eccome

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2. Che cosa voglio dire? Voglio dire che non c’è angolo d’Europa che non sia stato illuminato dalla luce che in un posto così periferico come Drogheda veniva evocata per indicare la speranza nella vita oltre la morte. Non c’è opera letteraria o artistica europea che possa prescinderne, anche solo per provare a spegnarla. Lo attesta perfino la bandiera dell’Unione Europea, con le dodici stelle su fondo azzurro, che rinvia direttamente alla Madre del figlio di Dio, al di là della consapevolezza del suo significato da parte di chi l’ha adottata.

Non rivendico primazie confessionali. È sempre attuale la magistrale lezione di papa Benedetto XVI a Ratisbona, quando – riprendendo il dialogo di Manuele Paleologo col saggio sufi – sottolineava che la fede non si impone con la spada. Quello che vorrei dire è un’altra cosa: a prescindere dalla religione di riferimento, e perfino per un ateo, è certo che senza la radice cristiana, che ha inverato e vivificato le radici greca e romana, l’Europa sarebbe rimasta una penisola occidentale del grande continente asiatico: tale è geograficamente. Se l’Europa è qualificata come continente è esclusivamente per ragioni storiche e culturali: è perché sulle terre che avevano visto espandersi e rovinare gli imperi greci e romani hanno arato e seminato in tanti, da San Benedetto in poi, i quali hanno fatto crescere i contadi e le città, e in esse le università, i luoghi di cura, le cattedrali, e poi le strutture politiche e gli ordinamenti giuridici.

Ripartire dall’Europa e ripensare l’Unione, come recita il titolo di questo convegno, è concretamente praticabile se si vince un paradosso, che ha preso piede da anni, anzi da decenni: quello di istituzioni europee che puntano a rendere tutto eguale, da Stoccolma a La Valletta, dalle dimensioni degli ortaggi alle realizzazioni del PNRR, ma poi rifiutano il solo elemento realmente che identifica e unisce l’Europa. Irrigidiscono elementi di dettaglio e rendono fluido quello che invece esige compattezza e decisione: nella verifica preordinata al pagamento di una delle rate del PNRR vi è stato, per es., il minuzioso accertamento, stanza per stanza, dei posti effettivamente occupati dagli studenti ai fini del finanziamento dell’housing universitario, ma poi ogni Nazione europea sembra andare per conto proprio di fronte alle crisi in atto su scenari importanti e critici, interni ed esterni all’UE.

 

giovedì 16 maggio 2024

ATTENTATO A ROBERT FICO

QUELLO “SDEGNO” GENERALE CHE NASCONDE LE DOMANDE SBAGLIATE

Renato Farina

Ieri il presidente slovacco Robert Fico è stato gravemente ferito in un attentato da parte di Juraj Cintula, 71enne di sinistra. Tutti hanno espresso "sdegno"

L’attentato al premier slovacco Robert Fico non si sottrae alla consueta domanda: a chi giova? Per un momento mi permetto di sfuggire a questo interrogativo classico, introdotto dal grande Seneca, e certo utile a individuare il mandante.

Un attimo, fermiamoci. Incentrare l’analisi geopolitica sull’a-chi-giova rischia di allontanarci dalla questione più seria e grave: si può uccidere? Ci può essere una buona ragione per cui sparare a un leader diventa lecito e persino necessario?

Oggi tutti i leader del mondo, dei contrapposti fronti, si dicono “scioccati” dal fatto e lo condannano: da Biden a Meloni, da Putin a Zelensky, da Macron a Orbán, usano tutti le stesse parole. E si dichiarano solidali con l’uomo che si dibatte tra la vita e la morte, vicini alla famiglia e al suo popolo. Mentono? Praticano la retorica della convenienza? In realtà essi – siano tutti più o meno sinceri – sanno però che esiste al fondo di loro stessi e di ciascuno dei loro interlocutori un giudizio originario, che precede l’ideologia, su quanto sia preziosa la vita di ogni persona, e che esiste un livello della coscienza della gente comune che non accetta la logica dell’omicidio, neppure per una supposta buona causa.

Dunque è il tempo giusto, se mai ce n’è uno, per dire: nessuna uccisione giova alla pace. Nessuna guerra “giova alla pace”.

A chi giova attentare a Mr. Fico? A nessuno! Fa precipitare un millimetro in più verso l’abisso l’intera umanità. La risposta dev’essere proprio questa. Bisogna avere il coraggio di guardare al fatto in sé, al male che è intrinsecamente davanti ai nostri occhi.

Da qui può e deve partire l’analisi geopolitica, che non ne viene affatto svilita. Esiste infatti la necessità di declinare il giudizio essenziale nella situazione contingente.

Sono due momenti che non vanno tenuti separati. Sono certo distinti, ma guai a cambiare la tavola dei valori nel passaggio dal giudizio su uno specifico fatto omicida (choc, sgomento, condanna) e quello sul contesto di guerra che alla fine è un continuo susseguirsi di omicidi, dove certo ci sono aggressori e aggrediti, ma il sangue versato da ambedue i fronti “grida vendetta al cospetto di Dio”,  e accusa l’incoscienza di chi nulla fa per impedire che la strage continui.

L’appello inesorabile, instancabile, fremente, di papa Francesco – in totale coerenza con i predecessori – ad una tregua delle armi, l’invito perché la diplomazia trovi strade creative ad una soluzione che mitighi il dolore degli inermi, si pone esattamente in continuità non solo morale ed esistenziale, ma persino geopolitica, con il non-uccidere. Un ordine mondiale, che mai sarà perfetto, ma esprima l’anelito di concordia e di pace che sta al fondo di ogni popolo, può trovare forma solo nella condanna della violenza senza se e senza ma, e nelle decisioni conseguenti dei capi delle nazioni.

Ed eccoci con lo sguardo sulla Slovacchia, Paese di 5,5 milioni di abitanti. Robert Fico non è amato dalla stampa internazionale. In certe ricostruzioni della sua storia umana e politica già consegnate ai quotidiani online in queste ore non si nasconde il disprezzo nei suoi confronti, l’idea che puntasse alla autocrazia. Si sottolinea il suo cinismo, l’“avidità di potere”, si stigmatizza la sua appartenenza allo schieramento dei leader occidentali più vicini a Putin. Fico, giovane comunista al tempo della caduta del muro di Berlino, ha saputo poi indossare parecchie divise e sventolare bandiere di colori alternativi. Fondatore del Partito socialdemocratico (Smer-SD) oggi è qualificato populista di sinistra. Considerato il premier dell’Unione Europea più vicino a Orbán, non vuole che si consegnino armi agli ucraini.

Dimessosi nel 2018, travolto dalle polemiche per certe sue ambiguità – vere o supposte – a proposito dell’assassinio del giornalista Ján Kuciak che aveva investigato sulla penetrazione della ’ndrangheta in Slovacchia, era tornato imprevedibilmente al potere lo scorso anno. Si dichiara insieme favorevole alla democrazia ma non a quella liberale.

Il killer, subito fermato dopo aver sparato a Fico, in compenso è un poeta e scrittore, militante progressista, forse in passato agente di sicurezza e poi fondatore di un partito non-violento. Per mesi a Bratislava si sono succedute in piazza manifestazioni antifasciste. L’antagonismo si è radicalizzato durante le elezioni presidenziali che hanno visto trionfare il candidato di Fico, anche se con posizioni più moderate, Peter Pellegrini, di ascendenze italiane, il quale non è ancora entrato in carica.

Non c’è leader neppure locale, di destra o di sinistra, che non si dica sdegnato per l’attentato a Fico. Ma a chi giova? A nessuno! Servisse almeno a un esame di coscienza fermando la spirale dell’odio. Ma è difficile, spes contra spem.

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FOSSE COMUNI IN CANADA, SMENTITA LA CAMPAGNA DENIGRATORIA ANTICATTOLICA

Niente resti umani, solo una grande bugia per screditare la Chiesa: è l'unica vera "scoperta" a tre anni di distanza dalla campagna denigratoria, con tanto di chiese vandalizzate e di mea culpa papale.

La scoperta di "fosse comuni" di bambini indigeni canadesi nella primavera del 2021 era una grande bugia per screditare la Chiesa cattolica. Tre anni dopo quelle segnalazioni, a causa delle quali 85 chiese hanno subito incendi e vandalismo, le fosse comuni non sono state trovate.

proteste in Canada: era tutto falso!

Nonostante le dicerie contro la Chiesa cattolica fossero già state smentite negli anni precedenti, tre anni fa in Canada era scoppiata l'incredibile e scandalosa narrazione che confermava ogni pregiudizio immaginabile dei circoli liberal, socialisti ed atei contro i cristiani ed in particolare i sacerdoti cattolici e le loro opere caritative: non erano i comunisti che mangiavano i bambini, erano preti e suore che li lasciavano morire di fame, stenti e malattie. Una fossa comune contenente i resti di bambini indigeni sarebbe dovuta venire alla luce sul terreno di quello che un tempo era stato un collegio governativo statale gestito dalla Chiesa cattolica.

Ora si scopre che l'intera faccenda non era altro che una moderna calunnia conclusasi, ad oggi, con almeno 85 chiese cattoliche in tutto il Canada distrutte da incendi dolosi, vandalizzate o profanate. Non c’è alcun minimo dubbio che una tale campagna disonorevole e denigratoria – sin da subito sostenuta da Papa Francesco e da una parte del clero canadese – provocherà una ulteriore diminuzione dei fedeli e dei praticanti cattolici e cristiani nel Paese, già in calo di quasi 2 milioni di credenti negli ultimi 10 anni, secondo il censimento canadese dell’ottobre scorso sono diminuiti da 12,8 a 10,9 milioni nel 2021.

I leader politici, in testa l’attuale primo ministro Justin Trudeau, avevano giustificato la distruzione degli edifici di culto cattolici e cristiani nel luglio 2021, dicendo che pur essendo sbagliati, la rabbia era assolutamente «comprensibile data la storia vergognosa di cui tutti stiamo diventando sempre più consapevoli». Ebbene ad oggi, nessun resto umano è stato recuperato nel sito della presunta fossa comune, nonostante quasi 8 milioni di dollari spesi dal governo federale per cercarli e le prebende milionarie assegnate alle popolazioni indigene per le supposte violenze subite dai loro bimbi.

Il Manifesto 11/1/22 denuncia il genocidio
 di 50.000 bambini indigeni
ma oggi tace
La mera esistenza storica di questi ex collegi, che hanno operato dal 1860 al 1990, rimane una fonte di indignazione tra i canadesi liberal, perché in quelle scuole si diventava buoni cristiani e buoni cittadini. Il sistema scolastico residenziale, come veniva chiamato, spesso separava i bambini indigeni canadesi dalle loro famiglie e comunità, costringendoli a frequentare scuole governative sottofinanziate, il cui scopo era quello di assimilare e acculturare gli indigeni canadesi all’interno della società occidentale ed europea canadese.

I preti e le suore cattoliche che gestivano la “Kamloops Indian Residential School” nella Columbia Britannica avevano, secondo la vulgata, gettato i cadaveri di centinaia di scolari morti in fosse comuni nel cortile della scuola. Grandi testate massmediatiche come la CNN, la NPR e la “Canadian Broadcasting Corporation avevano semplicemente e senza alcuna verifica rilanciato e promosso la narrazione nei termini più scandalosi e disonorevoli iperbolici possibili. La CNN l’aveva definita una scoperta «impensabile», il New YorkTimes «l’orribile storia», mentre per il Washington Post era la conferma dell’orrore dei maltrattamenti dei popoli indigeni da parte del Canada e delle conversioni forzose al cattolicesimo. Il primo ministro Justin Trudeau aveva ordinato di abbassare le bandiere a mezz'asta e chiesto a Papa Francesco di recarsi in Canada per chiedere perdono, cosa che il Papa fece nel 2022, scusandosi per il vergognoso trattamento e chiedendo alla Chiesa canadese una profonda umiliazione per le pratiche inaccettabili del passato. (sic!)

L'Ufficio dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani aveva dichiarato che si trattava di «una violazione dei diritti umani su larga scala» ed i leader tribali canadesi avevano accusato preti e suore assimilandoli ai nazisti per aver compiuto un tentativo di genocidio. Questo è stato il carburante di menzogne e improvvide ammissioni di colpe mai commesse che ha alimentato incendi e vandalismo verso le chiese in tutto il Canada, la maggior parte delle quali cattoliche e alcune vecchie di più di un secolo, rase al suolo per rappresaglia.

Ebbene in quasi tutti i casi, non si trattava di fosse comuni, ma di fosse individuali che si trovavano nei cimiteri dove erano sepolti anche sacerdoti e suore, tombe non contrassegnate e croci di legno marcite perché il governo si rifiutava di pagare per le lapidi. Tutto già noto grazie ad un rapporto pubblicato nel 2015 dalla “Commissione per la verità e la riconciliazione”. Quindi non c'è stato né insabbiamento, né abusi, né fosse comuni, nonostante i milioni di dollari spesi. La velenosa diceria, parte del progetto di demolizione della storia e civiltà occidentale cristiana, è servita anche in questo caso per screditare la Chiesa cattolica ed i suoi sacerdoti, distruggere chiese e provocare un panico morale generalizzato. Cui prodest? Telefonare ad Ottawa e Città del Vaticano per informazioni.

LUCA VOLONTE' lanuovabussola

 https://ilmanifesto.it/il-genocidio-dei-bambini

11 gennaio 2022

PER NON MORIRE AL VERDE

 

PER NON MORIRE AL VERDE

“Il livello di follia che stiamo toccando con la transizione verde è troppo esagerato, troppo folle; insomma troppo tutto per non essere raccontato”. Fabio Dragoni apre con questi toni incendiari, da toscano doc, il libro Per non morire al verde (Edizioni Il Timone).

E mantiene le promesse visto che lo stesso Chicco Testa, nella sua contro-prefazione, risponde così: “Mi sono divertito a leggere il libro di Dragoni”. Pur ritenendo “probabile” che vi sia “anche” un contributo umano nel riscaldamento globale, Testa diffida di chi lo considera “completamente determinante” e riconosce che vi è “una certa parte del mondo scientifico, non la maggioranza, ma questo poco vuol dire perché fra quei nomi vi sono scienziati di livello assoluto, che la pensa diversamente” rispetto all’ideologia catastrofista sul clima.

Naturalmente Dragoni – che da vecchio bocconiano è documentato e rigoroso nell’analisi dati – attinge a quella letteratura scientifica dissidente e agli esperti non allineati al pensiero mainstream, ma il tono del libro è brillante e la lettura – che consiglio a tutti – è agile e divertente.

Addirittura esilarante dove snocciola le famose “profezie” con cui gli eco-apocalittici alimentano da anni l’allarmismo in forza del quale poi si pretendono misure green tanto draconiane quanto inefficaci e spesso costosissime e dannose.

Una “profezia” per tutte: “Intere nazioni potrebbero essere spazzate via dalla faccia della Terra a causa dell’innalzamento del livello del mare, se il trend del riscaldamento globale non viene invertito prima del 2000”, così annunciava l’Associated Press, il 29 giugno 1989.

Il 2000 è passato da un quarto di secolo e l’apocalisse acquatica non si è vista. Ma catastrofista più famoso è l’ex vicepresidente Usa Al Gore che nel 2009 tuonava: “La calotta polare artica potrebbe scomparire in cinque/sette anni”. Invece la calotta sta ancora lì e al Polo Sud la superficie ghiacciata è addirittura cresciuta di 5.304 km quadrati.

Queste profezie catastrofiste si sono rivelate tutte sbagliate, eppure la narrazione apocalittica continua spostando la fine del mondo sempre più in là.

Peraltro negli anni Settanta – al contrario di oggi – si riteneva che il mondo non fosse minacciato dal riscaldamento, ma da una glaciazione: “Gli scienziati americani vedono in arrivo una nuova era glaciale. Se questo declino delle temperature si mantiene costante per cinque-dieci anni, questo sarebbe sufficiente a innescare una glaciazione” (Washington Post, 9 luglio 1971).

A dimostrazione di quanto poco sappiamo tuttora del clima e di quanto siano inattendibili certe previsioni a lungo termine. Anche perché il clima è sempre cambiato, fin dall’origine del mondo, e sempre cambierà(com’è noto nel Medioevo faceva più caldo di oggi): ha le sue leggi e i suoi cicli governati da fattori immensamente più potenti dell’uomo (per esempio il sole).

Questa è la convinzione di molti scienziati a cui aderisce Dragoni che, nel suo libro, si diverte – dati alla mano – a demolire uno per uno tutti i pilastri della narrazione catastrofista.

Il principale riguarda la “famigerata” anidride carbonica che gli apocalittici vorrebbero mettere al bando, ma che in realtà non è un inquinante, anzi è la base stessa della vita.

Un altro riguarda la presunta desertificazione (che non c’è). Basti un dato: la superficie verde in Italia è crescita del 25% negli ultimi trent’anni e del 75% negli ultimi ottanta. Questo è il verde davvero utile. Prezioso.

Antonio Socci

Da “Libero”, 11 maggio 2024