venerdì 1 febbraio 2013

PUNTI FERMI


Il voto dei cattolici e la prolusione del cardinale Angelo Bagnasco alla Cei. A partire da questi due spunti, Giancarlo Cerrelli, avvocato e vicepresidente centrale dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani, spiega come affrontare le elezioni, quale sia la vera posta in gioco, non solo per i cattolici ma per tutto il paese, e da chi occorre ripartire.

La Chiesa non fa battaglia politica, ha detto il cardinale Angelo Bagnasco ma, citando BenedettoXVI, ha ribadito che non può nemmeno «restare ai margini nella lotta per la giustizia».
Per questo ha chiesto chiaramente la stesura di programmi senza ambiguità lessicali sui princìpi non negoziabili. Vede qualcosa di analogo fra gli schieramenti?

Io vedo programmi populisti e non chiari, se non in alcune parti, sui prìncipi citati dal cardinale: «Tutela della vita»; «libertà di coscienza ed educazione»; «famiglia basata sul vincolo del matrimonio tra uomo e donna»; «la giustizia uguale per tutti e la pace». Questi, come ha detto il Papa e ribadito Bagnasco, «corrispondono alla giusta misura dell’essere umano». Bagnasco ha parlato del dramma che si genera in una concezione contraria, che riduce l’uomo a materia: ha parlato dell’aborto, della fecondazione, degli uteri in affitto e di una visione materialista ed economicista che deriva dal nichilismo e in cui gli uomini sono monadi una accanto all’altra ma che non stanno insieme.

I princìpi non negoziabili, dice Bagnasco citando il Papa, devono «essere difesi con la massima chiarezza». La Chiesa, cita ancora, «deve fare tutto
il possibile per creare una convinzione che poi possa tradursi in azione politica». Cosa vuol dire?

È ovvio che solo una cultura popolare condivisa dai più si trasforma in civiltà. In questo contesto si parla di politica come bene della polis, che diventa bene comune solo se pone al centro questi princìpi unitivi e non divisivi: perciò sono in totale sintonia con il cardinale quando dice che non si può neutralizzare il dibattito in merito per mettersi d’accordo e quindi lasciare libertà di coscienza. Questa è una libertà relativista: non si può mettere ai voti la vita umana né la sua natura. In questo senso, conoscere la dottrina sociale della Chiesa è vincolante per un cristiano: ci dice come si sarebbe mosso Gesù davanti a determinati problemi. Agendo in maniera ragionevole e non confessionale. Per questo seguirla è un bene per tutti, non solo per i cattolici.

È difficile questa volta scegliere partendo da questi criteri, perché se ci sono partiti totalmente contrari ad essi ce ne sono altri che non li ostacolano, ma non li difendono nemmeno chiaramente.

Ci sono partiti che sono chiaramente contro di essi, come il Pd, Sel, il movimento Rivoluzione Civile di Ingroia, quello Cinque stelle di Grillo. Il cardinale è stato chiaro, a
noi cattolici laici la responsabilità di aiutare i piccoli a discernere e a non votare di pancia, sull’onda del sentimento. Ad esempio: la Sinistra parla di solidarietà verso i deboli, i diversi, ma che vuol dire se poi è favorevole ad aborto e eutanasia? Occorre aiutare i giovani ad usare la ragione. Bisogna allora discernere e vedere chi, se non supporta, almeno non attacca apertamente l’uomo. Occorre scegliere chi lascia una maggiore libertà ai cittadini per vivere e difendere questi princìpi. I politici impegnati e i cattolici devono fare poi attenzione anche ad eventuali aperture o alleanze con partiti o coalizioni che hanno nei loro programmi ideologie contrarie a questi princìpi. O con chi potrebbe favorire questi partiti. Il resto, il lavoro, la solidarietà, la giustizia, come dice il cardinale, sono conseguenze. In campagna elettorale tutti parlano di tasse, di Europa, stabilità, ma nulla terrà se al centro non si rimette l’uomo.

Come comunicare la bontà di questi prìncipi in un mondo che, come dice il cardinale, fatica a comprendere il dono di sé?

Innazitutto i princìpi non negoziabili non sono confessionali, ma tutelano la vera natura di ogni uomo. Quella che Cristo è venuto a illuminare, ma che, ripeto, resta la stessa per tutti.

La questione che riguarda Cristo non sembra mai veramente urgente, ha ricordato Bagnasco citando il Papa. Pare poco concreta. Cosa c’entra con
la politica?

C’entra moltissimo: il cristianesimo non è una dottrina, ma la scoperta di una vita nuova, più vera. Vita che nasce dal rapporto con Cristo vivente che riempie l’esistenza, ad esempio nel sacramento matrimoniale in cui l’uomo si compie nell’alterità che è la donna per l’uomo e viceversa. Se l’amore a Lui non è il motivo dell’accoglienza dei figli, dei sacrifici necessari il “per sempre”, allora possiamo proclamare i princìpi ma non cambierà mai nulla. Se non cerchiamo Cristo nel nostro vivere, non capiamo più la convenienza e la bellezza di una vita così e non la sapremo testimoniare. È questa mancanza che ci rende anche tiepidi nella difesa dei princìpi non negoziabili.
Altrimenti? Si produce come per contagio una cultura nuova che poi diventa azione. «C’è una tiepidezza che discredita il cristianesimo», ha detto il cardinale. E citando il Papa ha ribadito che se la fede non diventa «fiamma dell’amore» non può «accendere il fuoco» neanche nell’altro.

Il Papa parla spesso dei monaci che ricostruirono l’Europa ricominciando a cercare Dio in ogni cosa.

Se non cerchiamo Cristo in ogni rapporto o evento, come sottolinea il Santo Padre, non può nascere una nuova società e quindi una nuova politica. Come i monaci attrassero i barbari? Il “Querere Deum” generava un nuovo modo di vivere, più bello e umano, ne derivò una vera antropologia. Per questo, tenuto conto dei prìncipi che nascono da questa esperienza, abbiamo una responsabilità morale sul voto.
tratto da Tempi

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