FERRARA E' FURIOSO CONTRO L'EX PRESIDENTE DELLA CORTE COSTITUZIONALE E CON GLI "INTELLETTUALI" IDEOLOGICAMENTE TOTALITARI
E’ Zagrebelsky o il vice di D’Avanzo?
La china di un presidente emerito smarrito nell’alcova del Cav.
Gustavo Zagrebelsky è troppo torinese e troppo titolato per completare il proprio cursus honorum come vice commissario di Giuseppe D’Avanzo e patron di un antiberlusconismo ozioso che oggi si autoconvoca per la sua Pallacorda milanese. Certo Libertà e Giustizia – l’organizzazione che celebra l’evento e della quale Zagrebelsky è dignitario ad honorem – non è Giustizia e Libertà, perché anche l’azionismo appassionato, accigliato e umbratile del primo Novecento ha patito le ingiurie degli anni. A leggere su Repubblica l’anticipazione del discorso che il presidente emerito della Corte costituzionale terrà oggi – “Le notti di Arcore e la notte italiana” – se ne ricava l’impressione che la calma potenza del diritto, di cui Zagrebelsky suole essere custode, sia stata soffocata da un’emotività di tipo comiziante (una foga simile s’è impadronita ieri del presidente in carica alla Consulta, Ugo De Siervo, che ha pensato bene di contraddire il Quirinale pur di ammonirci così: “Il federalismo municipale è una bestemmia, come dire che un pesce è un cavallo”).
Affaticato nella sua arringa popolaresca, Zagrebelsky chiede “che cessi questo sistema di corruzione delle coscienze e di avvilimento della democrazia”, pretende di entrare nelle “notti di Arcore” senza la falsa protezione puritana, ma poi se ne ritrae inorridito dai “caratteri ripugnanti di un certo modo di concepire i rapporti tra le persone”. Per Zagrebelsky il lupanare del Cav. è molto più che lo scannatoio d’un vecchio satiro, è la rappresentazione semi privata della violenza inflitta da Berlusconi alla facies pubblica dell’Italia. In una parola: mignottocrazia. L’espressione, che Zagrebelsky non pronuncia ma di cui la sua prosa sembra essere una smisurata didascalia, proviene dal padre di Sabina Guzzanti, a sua volta madrina dell’indignazione permanente dei teatranti antiberlusconiani. L’Emerito entra così nella compagnia, lambisce il lato lubrico del Cav. ma sa di non poter affondare il colpo sul fianco giudiziario (“è un capitolo di ipotesi ancora da verificare”) né su quello strettamente umano: “Se si trattasse soltanto della forza compulsiva e irresistibile del richiamo sessuale nell’età del tramonto della vita, non avremmo nulla da ridire. […] Proveremmo semmai, probabilmente, compassione e magari perfino simpatia per questa prova di senile, fragile e ridicola condizione di umana solitudine. Ma non avremmo nulla da dire dal punto di vista politico”. E allora? Allora, esaurito l’inventario dell’impossibile, rimane soltanto da chiudere gli occhi per fissare l’immagine di un troiaio generalizzato costruita con tanta fantasticheria morale. Succede così, quando il ragionamento non è sorretto da un distaccato rigore sabaudo: si finisce per declamare una catilinaria condominiale.
Affaticato nella sua arringa popolaresca, Zagrebelsky chiede “che cessi questo sistema di corruzione delle coscienze e di avvilimento della democrazia”, pretende di entrare nelle “notti di Arcore” senza la falsa protezione puritana, ma poi se ne ritrae inorridito dai “caratteri ripugnanti di un certo modo di concepire i rapporti tra le persone”. Per Zagrebelsky il lupanare del Cav. è molto più che lo scannatoio d’un vecchio satiro, è la rappresentazione semi privata della violenza inflitta da Berlusconi alla facies pubblica dell’Italia. In una parola: mignottocrazia. L’espressione, che Zagrebelsky non pronuncia ma di cui la sua prosa sembra essere una smisurata didascalia, proviene dal padre di Sabina Guzzanti, a sua volta madrina dell’indignazione permanente dei teatranti antiberlusconiani. L’Emerito entra così nella compagnia, lambisce il lato lubrico del Cav. ma sa di non poter affondare il colpo sul fianco giudiziario (“è un capitolo di ipotesi ancora da verificare”) né su quello strettamente umano: “Se si trattasse soltanto della forza compulsiva e irresistibile del richiamo sessuale nell’età del tramonto della vita, non avremmo nulla da ridire. […] Proveremmo semmai, probabilmente, compassione e magari perfino simpatia per questa prova di senile, fragile e ridicola condizione di umana solitudine. Ma non avremmo nulla da dire dal punto di vista politico”. E allora? Allora, esaurito l’inventario dell’impossibile, rimane soltanto da chiudere gli occhi per fissare l’immagine di un troiaio generalizzato costruita con tanta fantasticheria morale. Succede così, quando il ragionamento non è sorretto da un distaccato rigore sabaudo: si finisce per declamare una catilinaria condominiale.
Belle anime del Palasharp, la vostra mancanza di vita è inescusabile
Al Palasharp di Milano, contro il populismo rozzo e grintoso dei berluscones, è sceso in campo per Libertà & Giustizia il moralismo dei ricchi veri, cioè l’azionismo, ma quello di oggi, quello senza alcuna gloria e solo con molto pennacchio, quello dei finti perseguitati, quello degli scrittori billionaires che dicono di andare a letto tardi, sì, “ma solo perché leggo Kant” (così ha specificato Umberto Eco ammiccando con una battuta miserabile a una platea di devoti preoccupati dell’onore dell’Italia e della brutta figura che si fa all’estero). E che orrore la fosca antropologia di Zagrebelsky, una caricatura lagnosa, saccente, falsamente mite e professorale, la voce chioccia e la perfidia negli occhi, della giovinezza squinternata, un po’ folle, ma viva di un Gobetti. “Niente per noi, tutto per tutti”: uno slogan riferito al trionfo liberale dello stato di diritto e della cittadinanza costituzionale, ma nella bocca di questi bardi delle intercettazioni e della magistratura militante, e in associazione con il cattolicesimo reazionario e sessuofobico di uno Scalfaro, un passaparola ideologicamente totalitario. No, miei cari: vogliamo qualcosa per noi e per gli altri, non abbiamo orrore dello scambio e del denaro, ci fa senso il vostro disgusto per la bigiotteria galante di Arcore, e ciò che è “tutto per tutti” sa di stato totalitario, sa di regime della virtù, sa di marcio. Torino è una città che ho molto amato, ma il succo del suo famoso giansenismo è così tremendamente condito di ipocrisia, e questa ipocrisia è così perfettamente rappresentata dal timbro vocale, dalla tonalità e dall’inflessione piccolo dialettale di Zagrebelsky che in fondo in fondo preferisco la banda Cavallero. Per fortuna – e so di dirla grossa per molti lettori – quel mondo ha prodotto anche i Violante, persone di razza che ne hanno fatte più di Carlo in Francia ma non si abbasserebbero mai a scrutare condiscendenti e morbosi i giorni, le notti e le vite degli altri. Non ho parole per descrivere il timore e il tremore che mi hanno provocato le altre esibizioni dal palco del Palasharp, la telefonata mediocre di Ginsborg, le banalità di Saviano, e che delusione la Camusso a rapporto dai suoi nemici di classe. Per un momento ho pensato che vorrei leggere nelle vite di questa brava gente impeccabile, vorrei intercettare questi censori moralmente al di sopra della comune umanità italiana, saggiare le anime e i peccati di questi ottimati che vogliono sradicare Berlusconi fornicatore per “andare oltre”, come dicono, e organizzare il lavacro del paese profano e sporcaccione che siamo. Ma subito mi sono vergognato anche solo di aver pensato di comportarmi come loro. E mi ha raggiunto, per il mio e per il vostro benessere spirituale, il messaggio mail di un amico da Milano, una citazione di Ralph Waldo Emerson che riguarda anche Berlusconi e le sue nottate: “E ho tutto sommato l’impressione che dove ci sia una grande ricchezza di vita, sebbene intrisa di grossolanità e di peccato, lì troveremo anche l’argine e la purificazione, e alla fine si scoverà un’armonia con le leggi morali” (1). La pazzia di Berlusconi sarà in qualche modo riscattata, belle anime azioniste, la vostra mancanza di vita è inescusabile.
(1) “And we have a certain instinct, that where is great amount of life, though gross and peccant, it has its own checks and purifications, and will be found at last in harmony with moral laws”.
(1) “And we have a certain instinct, that where is great amount of life, though gross and peccant, it has its own checks and purifications, and will be found at last in harmony with moral laws”.
Siamo una piccola comunità di lettori. Forse dobbiamo di nuovo mobilitarci come possiamo e sappiamo. Con l’obiettivo di smascherare una minoranza etica rumorosa, ricca, compatta, sicura di sé, che vuole ripulire l’Italia in nome di criteri fondamentalisti e totalitari. Le minoranze etiche spesso sono rispettabili. Vedono quello che non vede l’uomo comune impigliato nella vita quotidiana. Nel nostro passato seppero essere eroiche, testimoniarono in molti modi l’idealismo introvabile nei “costumi degli italiani” e nel loro “stato presente” che dura dai tempi di Leopardi, da due secoli almeno (un paginone all’interno parla di questo). Ma questa minoranza etica è diversa dalle altre. E’ mossa da orgoglio, da superbia, da interessi consolidati e visibili. E fa un uso smodato della morale, fino a ferire il significato, la forza residua e l’autonomia della politica repubblicana. Della stessa democrazia liberale, alla quale oppongono un inaudito idolo virtuoso che chiamano Costituzione.
Dicono che il presidente del Consiglio si comporta male, e magari non si è comportato meravigliosamente bene in parecchie occasioni. Ma è questo il problema? Siamo convinti di no. Il problema è che vogliono mettergli le mani addosso per evidenti ragioni politiche alimentate da spirito facinoroso e da avversione antropologica a un’Italia popolare rigettata e odiata; ma non basta, dichiarano di voler “andare oltre” Berlusconi, bandiscono una crociata puritana in cui arruolano anche i tredicenni, allagano ogni spazio informativo gridando alla libertà di stampa conculcata, parlano con disprezzo del denaro di cui hanno piene le tasche e le menti, si intromettono nei capricci dell’altrui sangue senza fare i conti con le loro colpe, agitano il corpo femminile come un simbolo di vergogna. Spiano, intercettano, guardano dal buco della serratura e stanno inculcando in una generazione di italiani il disprezzo per la politica. Una minoranza etica degna del suo nome dovrebbe sapere distinguere tra conflitti politici e funzionamento delle istituzioni.
Questi virtuosi talebani, che però rischiano niente e hanno un mondo da guadagnare, devono essere messi in discussione da un’Italia che non si sente superiore e non pretende per sé il crisma della purezza virginale. Perché non diamo vita a una campagna di passione e denuncia pubblica? Che ne dite? Vi sentite di far parte di una minoranza che non ha niente da insegnare ma non accetta prediche da pulpiti privi di decenza e di senso del limite?
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