Erano mesi che cercavamo di capire quale fosse la natura e il programma politico dei quella nuova creatura chiamata Fli.
Abbiamo letto articoli, studiato saggi, ascoltato interviste, compulsato siti web e guardato talk show, ma niente da fare. Futuro e libertà ci continuava a sembrare sfuggente, contraddittoria, trasformista.
Forse, ci siamo detti a un certo punto, è questa la modernità di cui parlano: un partito inafferrabile, così leggero e mutevole da sfuggire a qualsiasi definizione. Stupidi noi, ancora legati a vecchi paradigmi, che ci arrovelliamo attorno all’identità.
Poi a Todi, Italo Bocchino, ha finalmente sollevato il velo di incertezza che avvolge dall’inizio il movimento di Gianfranco Fini. Con i suoi occhietti intelligenti e furbi, con il suo eloquio elegante e raffinato, ha pronunciato parole chiare e in equivoche ce ci hanno illuminato e confortato.
Ora sappiamo con cosa abbiamo a che fare.
Dice Bocchino: “Non si presenterà per noi il problema della candidatura alla leadership, per questo cerchiamo piuttosto uno speaker che non un leader. Dovrebbe essere una donna, quarantenne, credibile (sic!) e preparata”.
In coro gli hanno subito chiesto se pensasse ad Emma Marcegaglia e lui pronto: “Ma no, con lei si giocherebbe per vincere e questo sarebbe assurdo. L’unica cosa certa dopo le prossime elezioni è che da noi non si potrà prescindere perché saremo decisivi al Senato”.
Bene, alla fine l’abbiamo capita. Futuro e Libertà sarà un partito di rompicoglioni a vocazione minoritaria
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