L'esordio di Davide Van De Sfroos
di Marcello Filotei
Tratto da L'Osservatore Romano del 17 febbraio 2011
di Marcello Filotei
Tratto da L'Osservatore Romano del 17 febbraio 2011
Sembra un festival di controfigure quello che è cominciato martedì sera a Sanremo. In mancanza di grandi personaggi, nella prima serata si allude prima di tutto a quelli che non ci sono: un presentatore come quelli di una volta (ricordati con innegabile eleganza) e i fidanzati delle aiutanti presentatrici. Fanno eccezione due comici che continuano a fare i comici e a dissacrare tutto, che poi è il ruolo della satira.
Nel turbinio di personaggi costruiti a tavolino appare a un certo punto una persona vera: Davide Van De Sfroos, l'unico originale, nel senso che non interpreta se stesso, ma è proprio fatto così. Le platee affollate le affronta da decenni e quindi lo emozionano quel tanto che basta per dare il meglio. La canzone Yanez, come altri brani di un repertorio molto vasto, è un gran miscuglio: il Bob Dylan di Desire, il suono di certe ballate di Willy DeVille, il Paolo Conte che usava le chitarre ritmiche, gli ottoni latinoamericani ed echi lirici di Morricone, dal quale in molti hanno imparato a usare la tromba nel cantabile. Tutto ben mescolato con gusto e annaffiato con qualcosa da dire. Peccato che la lingua laghée parlata a Mezzegra (sull'altro ramo del lago di Como) non permetta di cogliere appieno le vicissitudini dei protagonisti salgariani invecchiati e ridotti a frequentazioni da riviera romagnola. Un po' di malinconia per la Perla di Labuan, la Lady Marianna che ha popolato i sogni di intere generazioni e ora s'è rifada i tètt, l'ha mea pudüü rifàss el coer ("si è rifatta il seno, non ha potuto rifarsi il cuore"), commiserazione per Kammamuri, che da sessant'anni sta in soel dondolo de la pension ("sta sul dondolo della pensione"), e James Brook che el giüga ai caart giù al Bagno Riviera e i hann dii che l'è sempru ciucch ("gioca alle carte giù al bagno Riviera e dicono che è sempre ubriaco"). Ce n'è per tutti, compreso Sandokan che g'ha l'artrite e g'ha el riporto, partiss per Mompracem cul pedalò ("ha l'artrite e il riporto, parte per Mompracem con il pedalò"): "M'hai rotto un mito", chioserebbe un personaggio di Carlo Verdone.
Sembra lo stesso metodo usato da Sergio Caputo al festival del 1987 con Il Garibaldi innamorato, ma anche - fatte le dovute proporzioni (a favore di Van De Sfroos, malignerebbe qualcuno) - da Gabriel García Márquez nel celebre El otoño del patriarca: prendi un uomo potente, trattalo male, descrivilo quando la sua parabola ha definitivamente toccato il punto più basso. Risultato: malinconia dei bei tempi andati.
Per il resto la sfilata delle controfigure. Le più tristi sono quelle dei cantanti che imitano se stessi quando avevano successo: Max Pezzali, rigorosamente con tutti gli accenti delle parole che non coincidono con il ritmo (stile 883 quando vendevano i dischi), Patty Pravo che potrebbe essere scambiata facilmente per una delle sue numerose parodie, Albano Carrisi che continua a interpretare Al Bano che voleva fare il tenore lirico, così come le temporaneamente eliminate Oxa o Tatangelo (figuriamoci se non ne ripescano almeno una), la prima ingabbiata da anni nel suo personaggio, la seconda che propone un brano Bastardo, di cui il titolo sembra essere la cosa più elegante. Per non tralasciare Tricarico che non c'entra niente con il festival ma ci va quasi tutti gli anni, e Vecchioni che forse predica un po' troppo, sarà l'età, ma la zampata del poeta ce l'ha ancora.
Si intravede ogni tanto qualcuno che sa cantare, La Crus con la soprano Susanna Rigacci, e balugina pure qualcuno che era stato annunciato come protagonista, Franco Battiato, che si concede brevemente in duetto con Luca Madonia (in stile "Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?"). Tutto come da copione, insomma. San-remo è fatto così, quando non ci sono canzoni adatte, prendono il sopravvento esauste evocazioni dei brani che hanno avuto meritato successo in passato. Ma non bisogna pensarci troppo e prendere il festival per quello che è. Come dicono in America: "Se la vita ti dà solo limoni, fatti una bella limonata".
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